“Senza laicita’ dello stato non esiste liberta’ religiosa”
Intervista a Theo Klein, ex presidente del Consiglio delle istituzioni ebraiche 24 April 2007

“Per risolvere la crisi della quinta Repubblica – ammonisce il partigiano antifascista – è necessario stabilire che i diritti individuali dei cittadini precedono e fondano quelli delle comunità”. Senza laicità dello stato – sostiene Klein, che nel 2002 ha pubblicato un libro dal titolo Il manifesto di un ebreo libero – non esiste libertà religiosa né multiculturalismo. Molti, fa sapere, sono i contatti e fruttuosa è la collaborazione tra comunità ebraica e musulmana sulla base di questi principi.
 
Quali sono gli aspetti del dibattito politico in corso che la preoccupano di più ?

Dirò una banalità ma è la prima volta che abbiamo una campagna elettorale basata sulle persone fisiche dei candidati e non sui programmi. Guardi Ségolène Royal, che pure seguo con simpatia. La candidata socialista sta giocando tutto sul fatto di non essere un uomo. Il suo messaggio si riduce a questo: sono una donna, quindi dotata di una sensibilità diversa, capace di rinnovare la politica. Nicolas Sarkozy si presenta come se fosse nato per fare il presidente della Repubblica. Non chiede ai suoi elettori di votarlo per il suo programma, ma per il suo carisma naturale. Poi c’è François Bayrou che cerca di farsi apprezzare per la sua presunta verginità politica, per il fatto di non aver mai occupato cariche di rilievo. Ma insomma, le pare un merito?

Poca chiarezza sui programmi, dunque.

Sì. Personalmente non ho ben capito quale sia il programma di questi candidati. E credo non l’abbiano capito neppure i francesi. Come le dicevo, siamo di fronte ad un’identificazione pressoché totale tra carisma personale e rappresentanza politica. Con conseguenze estremamente negative: tanto per cominciare, visto che nessuno parla di cose concrete, il prossimo presidente riceverà un mandato in bianco.

Lei ha dichiarato la sua simpatia per Ségolène Royal. Quali sono le probabilità che venga eletta?

Della Royal apprezzo l’evoluzione di cui è stata capace in questi mesi di campagna elettorale. L’apprezzo, anche se le persone a me vicine che l’hanno conosciuta ne parlano molto male. È maturata molto e mi sembra all’altezza del posto cui ambisce. Detto questo, però, vorrei sapere da lei quale sarebbe il suo primo ministro. E a quali temi rivolgerebbe con priorità l’azione di governo.

Negli ultimi anni la comunità ebraica francese si è spostata notevolmente a destra. Secondo alcuni sondaggi sosterrà quasi compatta il candidato Ump. Colpa del filoarabismo acritico della sinistra?

Credo poco ai sondaggi cui lei fa riferimento. È mia convinzione, infatti, che quando vanno a votare, gli ebrei francesi si comportino esattamente come gli altri cittadini. I quali, prima di appartenere a una o a un’altra comunità, seguono d’istinto i propri interessi immediati. Qualche tempo fa, il mio barbiere mi ha raccontato che sua moglie, insultata da un arabo mentre faceva la fila al seggio elettorale, è entrata nella cabina e ha votato Jean Marie Le Pen. Ripeto, gli ebrei sono cittadini come tutti gli altri, con le stesse esigenze e le stesse paure. Non vedo perché dovrebbero votare seguendo uno spirito comunitario. Tanto più che in Francia non c’è ostilità nei confronti di Israele. Tutti, da Sarkozy a Royal, si impegnano per una pacificazione rapida del Medio Oriente, che passi attraverso la fine del conflitto israeliano-palestinese.

Smentisce, dunque, che Sarkozy sia filoatlantista. E che in politica estera potrebbe rompere con il fiero indipendentismo gollista?

Sarkozy è un uomo intelligente. Un uomo che sa distinguere tra una campagna elettorale e la gestione del potere. Una volta eletto presidente non farà che seguire le linee guida che la Francia segue ormai da decenni.

I conflitti tra palestinesi e israeliani, le crisi che affliggono il mondo islamico, hanno risvolti di rilievo nella politica interna francese. Sono ancora recenti i moti delle banlieues e le denunce israeliane di una nuova ondata di antisemitismo in Francia. Assistiamo ad una crisi della Repubblica?

Oggi il comunitarismo è il rischio più grande per la nostra democrazia. Non c’è niente di più pericoloso, infatti, di considerare gli individui – prima che come cittadini identici davanti alla legge – come persone appartenenti ad una o ad un’altra comunità. Innanzitutto perché si tratterebbe di una deroga inaccettabile al principio di uguaglianza; poi perché si svilirebbe il patto civile che fonda lo stato e la pacifica convivenza tra le persone. Nella storia del XX secolo, la Francia ha visto da vicino le conseguenze del comunitarismo. Con l’affare Dreyfus, ad esempio, e poi con Vichy. Le sembra una coincidenza che durante guerra, in un momento in cui fame e distruzione erano al loro massimo, il regime fantoccio di Philippe Pétain come prima cosa si sia occupato della deportazione degli ebrei? Si trattava di una resa dei conti, dell’epilogo di una stagione in cui lo stato era diventato luogo di scontro tra comunità.

Secondo lei l’egualitarismo della Repubblica francese è ancora valido?

Certo. Anche se il sistema repubblicano è attualmente in crisi, questo non vuol dire che i principi su cui è fondato siano sbagliati. Al contrario, unico modo di risolvere la crisi sta nel combattere il comunitarismo per stabilire che i diritti individuali dei cittadini precedono e fondano quelli delle comunità. Senza laicità dello stato non esiste neanche libertà religiosa. La ragione è molto semplice: prima di essere ebreo, sono una persona come tutti gli altri, i miei bisogni di essere umano precedono quelli di credente. E, perché la mia fede sia autentica, deve essere scelta ed esercitata in assoluta libertà, condizione possibile soltanto in un regime di democrazia.

Queste sue convinzioni sono condivise dalla comunità islamica francese?

La comunità dei musulmani francesi condivide in pieno questi principi. Condivide che la laicità dello stato sia l’unico principio capace di permettere la libertà di culto e la convivenza pacifica di tutti in una stessa società e nelle stesse istituzioni. E proprio sulla base di questi valori, frequente è la cooperazione tra il Crif e i massimi rappresentanti dell’Islam francese.

Smentisce, dunque, l’esistenza di un’ondata di antisemitismo in Francia, come denunciato più volte da Israele?

Esistono, è vero, episodi di razzismo che colpiscono a vario titolo gli ebrei, ma non si può parlare di antisemitismo vero e proprio. A mio avviso, infatti, si può parlare di antisemitismo soltanto quando sono messe in discussione le libertà civili degli ebrei e della loro comunità. Cosa che non si sta verificando. Ciò non toglie che, come in ogni paese, anche da noi esiste una categoria di persone che esprime il proprio malessere, insultando o attaccando altre persone. Si tratta di razzismo ordinario, che colpisce gli ebrei, ma anche gli omosessuali o gli immigrati. Insisto, in passato sono stato molto criticato per questo, ma la disinvoltura con cui si usa il termine “antisemita” mi sembra deprecabile e pericolosa. Da una parte perché desta false allarmi e non permette più di riconoscere l’antisemitismo vero. Poi perché l’uso inappropriato di questo termine produce una banalizzazione della Shoah di per sé pericolosissima.

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