«Perché noi israeliani dobbiamo preoccuparci»
Gideon Levy intervistato da Marco Cesario 10 June 2010

L’attacco alla Freedom Flotilla ha provocato una grave crisi tra Israele e la Turchia. Intanto qual è la sua opinione su ciò che è accaduto in mare?

Sin dall’inizio ho pensato che si è trattato di un’operazione non solo molto stupida, ma anche sbagliata da tutti i punti di vista. Credo si tratti dell’ennesima prova che Israele non conosce i limiti dell’uso della forza, i limiti intrinseci dell’uso del potere. A mio avviso si è trattato di una mini-operazione dello stile ‘Piombo Fuso’ (nome in codice dell’offensiva israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza avvenuta nel dicembre 2008/gennaio 2009, ndr). Non è certo sulla stessa scala, ma rispetta lo stesso tipo di comportamento, ovvero quello di credere che con la forza si possa risolvere tutto. Da qualunque prospettiva la si guardi, l’operazione è stata un disastro anche per l’immagine di Israele, e molta gente qui da noi sembra averlo capito. Proprio come nell’operazione Piombo Fuso, ma su scala minore, il prezzo da pagare è stato fin troppo alto rispetto ai poveri risultati ottenuti. Ma il problema maggiore è un altro. Gli israeliani sono troppo chiusi in se stessi e non si rendono conto di ciò che accade attorno, nel mondo. Circa sei miliardi di persone nel mondo pensano in un certo modo. I 5 milioni di ebrei israeliani però la pensano in modo opposto. Questo è molto strano.

La Turchia era forse il migliore ed il più antico alleato d’Israele nel mondo musulmano prima dell’attacco alla nave Mavi Marmara…

Certo. E questo forse è stato il prezzo più alto da pagare per Israele. La Turchia era un alleato ed un paese amico. Israele non ha molti amici nella regione e perderne uno è traumatico. In realtà però la rottura era già avvenuta in precedenza. Israele ha perso l’amicizia della Turchia quando ha rifiutato di considerare questo Paese come possibile mediatore tra Israele e la Siria. Questo è stato uno dei più grandi errori. Invece di incoraggiare i turchi a tentare una mediazione con il governo siriano, Israele ha brutalmente detto “no”. E’ stato questo e non il blitz alla Mavi Marmara a costituire l’inizio della rottura tra i due paesi.

Dietro la Mavi Marmara c’è una Turchia che sembra stia cambiando la sua politica nel Mediterraneo ed anche nei riguardi di Israele.

Non c’è alcun dubbio che la Turchia stia cercando di riguadagnare il suo status nella regione e di diventare più influente nel Medio Oriente. Non credo che questa sia una cosa negativa perché i due paesi maggiormente influenti nella regione sono l’Iran e la Turchia e tra i due è sicuramente preferibile, da tutti i punti di vista, la Turchia. Non c’è dubbio che pian piano la Turchia diventerà sempre più influente nel Medio Oriente. Ma la vera questione è questa. Come reagisce Israele a questo fatto? Decide di allearsi con la Turchia o di inimicarsela? Purtroppo il governo israeliano ha optato per quest’ultima soluzione. Detto questo, però, occorre dire che la violenza commessa dagli attivisti sulla nave non era assolutamente necessaria e non credo ci fosse bisogno di presentarsi con la bandiera degli attivisti della pace per poi dimostrarsi tanto violenti nei fatti. Ciò è davvero problematico, sebbene io creda che la vera violenza sia stata quella dei soldati israeliani che sono piombati sulla nave.

A quanto pare non c’erano solo pacifisti su quella nave…

Nessun dubbio su questo. So che c’era una minoranza di persone, alcuni cittadini turchi, che aveva già deciso che avrebbero resistito con la forza. Purtroppo è così.

Dopo quest’incidente con la Turchia lei crede che sia possibile ritornare allo status quo ante?

Non credo sia possibile ritornare alla configurazione che esisteva prima di questo incidente. Credo che in Israele e in Turchia adesso i media e l’opinione pubblica siano in uno stato di militanza e non credo che in quest’atmosfera le cose possano migliorare. Né vedo in questo momento Israele o la Turchia fare sforzi perché le cose ritornino come erano in precedenza.

L’attacco alla Flotilla evidenzia un altro problema, ben più grave. Quello del blocco di Gaza.

Sono ormai quattro anni che dura questo blocco. E’ chiaro a tutti che non ha portato nessun risultato positivo per Israele. Se avessimo una classe politica capace di pensare e non di agire in maniera automatica, ma soprattutto se non avessimo una classe politica così cieca, forse le cose sarebbero già cambiate da anni perché è chiaro che questo blocco non serve a nulla. Non solo è un blocco a mio avviso criminale e crudele nei confronti del popolo palestinese, ma poi non è neanche nell’interesse israeliano. Ma Israele purtroppo non farà marcia indietro. Adesso però c’è una possibilità da parte della comunità internazionale di fare pressione sul governo israeliano affinché ponga fine a questo stato d’assedio. Ma non so se sarà sufficiente.

www.marcocesario.it

 

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