Perché il Marocco non ha paura
Elisa Pierandrei 19 January 2011

Nel 2006 il Marocco ha concesso le prime dieci licenze a radio private, nel tentativo di mettere fine al monopolio di stato nel settore audio-visivo. All’epoca, alle radio (ma anche alla stampa indipendente) gli osservatori avevano riconosciuto il merito di animare un dibattito sulla censura e la liceità di affrontare temi tabù. Un’iniziativa che – insieme ad altre riforme come l’approvazione della Mudawwana, un rivoluzionario codice di famiglia per il mondo islamico – potrebbe tenere il Paese lontano da rivolte come quelle che hanno insanguinato la Tunisia e l’Algeria.

Mohamed El Ghoul, giornalista di Cap Radio, emittente di Tangeri, fra le prime dieci radio a ricevere la licenza nel 2006, non ha dubbi in proposito. “In Marocco è diffuso un clima di relativa libertà. Certo attraversiamo ancora una fase di transizione. Ma le licenze a radio indipendenti sono state un segnale importante”, ci dice in un’intervista. El Ghoul aggiunge anche che, nel suo Marocco, i particolari della cosiddetta Rivolta del Gelsomino nella vicina Tunisia sono stati raccontati dai canali indipendenti. Younes Boumehdi, Presidente dell’Associazione delle Radio Private del Marocco e Ceo di HitRadio, emittente commerciale di Rabat, la pensa allo stesso modo. Anche secondo lui il presente nel suo Paese non è grigio. “Anche se lottiamo ancora ogni giorno per difenderla – ci dice – credo che qui si respiri un clima di relativa libertà”. L’ottimismo di cui Boumehdi parla riporta indietro di dieci anni. “L’apertura è iniziata circa dieci anni fa, con la nascita di riviste come Le Journal e Tel Quel”, dice.

Certo, non ci troviamo davanti a parametri “occidentali” di democrazia e partecipazione. La cronaca ci suggerisce che negli ultimi due anni in Marocco c’è stato un brusco ritorno al passato. Tra l’agosto del 2009 e il gennaio del 2010 si sono susseguiti numerosi casi di censura: il caricaturista Khalid Gueddar è stato bandito dai media marocchini; il numero di agosto 2009 di Tel Quel è stato ritirato dalle edicole per aver pubblicato un sondaggio sui primi dieci anni di regno di Mohammed VI. Ultimo evento, datato novembre 2010, quando sono stati cacciati dal paese i corrispondenti di al Jazeera, accusati di diffondere un’immagine negativa del Marocco (documenti dal blog italiano (R)umori dal Mediterraneo – http://rumoridalmediterraneo.blogspot.com).

In Marocco la società civile è strutturata. Ma resta viva un’importante questione socioeconomica: la difficoltà di creare nuovi posti di lavoro che frustra le nuove generazioni al punto da arrivare al suicidio e alla rivolta di piazza. “Preoccupa i giovani più del carovita e della corruzione”, secondo El Ghoul. Il Marocco è la quinta economia dell’Africa, ma restano importanti sacche di povertà e scontento (disoccupazione al 9,1 per cento e crescita del Pil 4,9 per cento – Dati 2009), e gran parte delle ricchezze del Paese sono controllate direttamente da Re e dal suo entourage. Durante le manifestazioni dei diplomés-chomeurs marocchini, che da anni sfilano quotidianamente a Rabat di fronte al parlamento, si sono registrati in passato diversi tentativi di suicidio. L’ultimo caso reso noto dalla stampa è quello del 2 giugno scorso, quando alcuni giovani si sono cosparsi di benzina di fronte al parlamento, ma sono stati bloccati dagli agenti mentre stavano per darsi fuoco. Il problema difficilmente potrà essere risolto nel breve periodo.

Tuttavia, secondo i due giornalisti, resta contenuto il timore di un effetto domino delle rivolte in Maghreb. “E’ meglio evitare facili generalizzazioni”, esordisce El Ghoul. “Io credo che la monarchia marocchina sia capace di gestire il dissenso”. In questo modo El Ghoul ci ricorda soprattutto che il Maghreb è abitato da fattori differenti. Il Marocco è l’unica monarchia dell’area, con un Paese guidato da un re “giovane” (Mohamed VI, 48 anni) fortemente intenzionato a chiedere al suo popolo di contribuire alla costruzione di una nuova architettura costituzionale. In particolare, della revisione costituzionale si è parlato all’inizio dell’era Mohamed VI, anche se nel 2003 gli attentati di matrice islamista di Casablanca hanno innescato una nuova stretta autoritaria del regime.

Il clima respirato in Marocco nei due decenni Settanta e Ottanta che vanno sotto il nome di “anni di piombo” – raccontati da quattro detenuti in “Sole nero” (Mesogea, 2004) e da Malika Oufkir e Michele Fitoussi in “La prigioniera” (Mondadori, 2000) – è lontano. Il Ceo di HitRadio dice invece di “sostenere l’attivismo di Muhammed El Baradei”, l’uomo politico egiziano ex direttore dell’AIEA. El Baradei, in Egitto, si trova alla guida di un movimento di riforma e cambiamento invece di un partito con cui presentarsi alle urne.

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