Cio’ che e’ in ballo – e cio’ che non lo e’
Suzan Erem e Paul Durrenberger 3 July 2007

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dalla rivista americana Monthly Review.

Il gioco delle tre carte

Il 29 maggio è un bayram, o festività ufficiale, che celebra l’avvio della campagna di Ataturk contro il sultano con la marcia del 1919, da Samsun sul Mar Nero a sud verso Ankara. Durante il bayram i ritratti del padre della patria in pose nobili ed austere pendono ovunque dagli edifici, ricoprendo più di 10 o 20 balconate insieme, spesso con bandiere della stessa immensa proporzione su entrambi i lati. Piazze di paese e rotatorie spartitraffico, edifici cittadini, quartieri generali della jandarma e molto altre cose ancora sono adornate con le immagini di Ataturk e la stella con la mezzaluna crescente della Turchia, entrambi simboli dell’orientamento secolarista di Kemal Ataturk. Perciò i secolaristi si definiscono spesso come kemalisti. Allora com’è che questo paese, che celebra così entusiasticamente un uomo che separò la religione dal governo, è finito sotto il controllo degli islamisti riuniti nella sigla di AKP? Come mai sempre più donne camminano per le strade delle città indossando particolari veli che nascondono tutti i loro capelli, donne “coperte” o “kapali”, come le chiamano i turchi? Come può essere che il velo sia il protagonista di un progressivo come back, quando Ataturk, il padre della patria, lo ha bandito nel 1920? Questa discussione riguarda la politicizzazione degli accessori di moda femminile, o ha delle implicazioni economiche o politiche per il cittadino medio turco?

C’è chi dice che i partiti del centro e della sinistra si sono scissi troppe volte nel corso degli anni. Ci sono 21 partiti che corrono alle prossime elezioni. Al contempo gli islamisti sono riusciti a rimanere insieme in un solo partito, pur sotto una successione di sigle. Negli anni novanta era conosciuto come Refa, adesso come Partito AK o AKP, transformandosi ogni volta in un apparato politico più sofisticato e con un messaggio più sottile. Nelle sue manifestazioni attuali rivendica di essere secolarista, o laico, ma più di una volta ha mostrato la sua vera natura. Recentemente la Turchia si è conquistata l’attenzione dei media americani quando i secolaristi in parlamento hanno boicottato i lavori facendo mancare il quorum alla seduta che avrebbe dovuto eleggere Abdullah Gül dell’AKP come presidente. Quando le corti hanno dichiarato illegittimo il tentativo, Gül si è dimesso. Sulla stampa statunitense Gül è stato descritto come un “islamista moderato”, e in Turchia una persona ha descritto l’AKP come “islamista liberale”, ma per la maggior parte dei laici, essendosi gli islamisti appena organizzati in un nuovo partito, esso rigetta ogni usuale definizione di sinistra o destra, conservatore o radicale, ed aggiunge un’altra dimensione alla politica: essi sono tutti conservatori in confronto ai secolaristi. Gli spostamenti di titoli e sigle, le complesse manovre politiche, ed una economia che va sempre più polarizzandosi tra chi ha e chi non ha, fanno della politica turca un gioco delle tre carte di cui tutti possono discutere mentre sorseggiano un caffè al bar; ma come andrà a finire questo gioco di prestigio, e chi vincerà la posta?

Le persone che affermano di avere votato a “destra” in precedenza (il 40 per cento della Turchia tradizionalmente vota a destra del centro) dicono che stavolta devono votare per la “sinistra” per mandare un forte segnale di laicità, o, nelle parole di una donna, per “farla finita” con gli islamisti una volta per tutte. Distrutta dal colpo di stato militare del 1980, che portò stabilità dopo anni di caos ma che fece anche tabula rasa di tutte le organizzazioni politiche a sinistra del centro, la “sinistra”, come gli americani potranno immaginare, riesce a malapena a respirare in Turchia. Tutta la politica si è spostata a destra. Questo, insieme all’incapacità della sinistra di restare unita per più di un cambio del tempo, impedisce alla sinistra di fornire una visione alternativa rispetto alle politiche neoliberiste e al ben foraggiato movimento religioso populista di destra. Come ci ha detto un’importante eminenza dell’editoria, “tutti i partiti sono di centro”. La politica si articola sull’asse secolarizzati/islamisti, piuttosto che sull’asse destra-sinistra.

Quando un velo è più di un velo

Mentre portare il velo potrebbe essere descritto come una questione di scelta religiosa, un argomento a cui le femministe hanno abboccato con tutto l’amo, in realtà esso è percepito come una dichiarazione politica, e ne ha perciò la forza. Non c’è dubbio che la maggior parte delle donne che lo portano stiano dimostrando la loro pietà religiosa, ma ciò di cui si preoccupano i laici è la progressiva tendenza della cultura popolare a scivolare nella pressione sociale, e nel lungo periodo, in politica dello stato. Ci sono anche una gran quantità di aneddoti di donne che vengono pagate per portare i loro veli di giorno con lo scopo di creare una immagine di grandi numeri per gli islamisti, i quali poi dopo il tramonto spendono i loro stipendi nei night club. Come i cristiani conservatori negli Stati Uniti è facile e popolare per gli islamisti dire che loro non sono politicizzati e non sono retrogradi. In fondo, essi credono in Dio – ciò può mai essere controverso? Ed essi credono nel seguire la parola di Dio – che male c’è ad insegnare la moralità ai nostri figli? Ma come negli Stati Uniti, credenti e non credenti che non seguono la causa della politica religiosa riescono a capire quello che c’è dietro. Essi rispondono che uno può credere in Dio senza però permettere a Dio (o a coloro che pretendono di rappresentarlo) di guidare il governo. Un uomo d’affari riportava la storia di un collega che gli diceva che era l’ora della preghiera. Il laico disse: “Tu va’ a pregare, io mi riposerò all’ombra di Ataturk.”

Gente di città oppure no?

Ma sia i laici (secolaristi) che le fazioni anti-laiche dicono di sostenere una modifica radicale della costituzione turca: invece di fare eleggere il presidente dal parlamento – una carica largamente onorifica fatta eccezione per il suo determinante diritto di veto, di cui il presidente secolarista ha fatto abbondantemente uso contro il parlamento a maggioranza islamista – il popolo eleggerà il suo presidente direttamente. Questo è un gioco d’azzardo per entrambe le parti. Gli islamisti hanno messo in luce la loro abilità organizzativa. La politiche di industrializzazione della Turchia degli ultimi 80 anni hanno causato una massiccia migrazione di abitanti dei villaggi verso le città, senza fornire loro abbastanza occupazione o altre forme di impiego provvisorio. (Secondo un altro resoconto, non necessariamente in contrasto col primo, le politiche del Fondo Monetario Internazionale hanno accelerato questo processo negli ultimi 25 anni, imponendo il pagamento di sussidi agli agricoltori al fine di fargli togliere le loro terre dalla produzione e creare così un bisogno di importazioni di cereali ed incrementare la dipendenza della Turchia dai mercati internazionali.) Sono diventati dei campagnoli di città, piuttosto che gente di città. “Macellano capre nei loro bagni!” ci dice sgomento un abitante medio-borghese di Ankara. Intorno al 1960, all’apice di questa transizione, la metà dell’intera popolazione di Ankara viveva in insediamenti illegali o “paesi di latta”, detti anche “sbarchi notturni”, perché nottetempo un intero vicinato poteva spuntare dal nulla. Per legge, se queste abitazioni erano dotate di tetto ed abitate, non potevano venire spianate. Il golpe del 1980 fece piazza pulita della sinistra, ma i generali compresero che la gente aveva bisogno di incanalare le proprie passioni da qualche altra parte, così incoraggiarono una limitata crescita religiosa in forma di costruzioni sovvenzionate di moschee e formazione di imam. Quando l’asse politico si è spostato, è cominciata l’espansione della destra religiosa. Di fronte all’urbanizzazione, all’industrializzazione e allo spostamento radicale dei luoghi e delle condizioni di vita, le persone si sono affidate più legami tribali e di clan che si stavano indebolendo, che non ad un governo solo sporadicamente in grado di fornire sicurezza economica. Organizzatori e organizzazioni anti-secolariste hanno fornito servizi ed informazioni indispensabili per queste famiglie rurali sradicate e nuove utili forme di strutture ed identità. Ma a questo si sono accompagnate implicazioni politiche e nuove fedeltà.

Essi soddisfarono anche il disperato bisogno di fede, in forma di un rinnovato appello all’islam, che aiutava le famiglie a fronteggiare quei tempi difficili e forniva un senso di identità nell’estraneo paesaggio sociale ed economico delle città. Perciò che danno potevano arrecare? I laici dicono “parecchio”. La Turchia si è sempre erta con orgoglio come paese laico tra i suoi vicini islamisti, sebbene il 99 per cento della sua popolazione sia musulmano. Persino oggi, il 70 per cento dei Turchi sostengono la laicità dello stato, mentre solo il 30 per cento sostengono una repubblica islamica. I turchi laici si vantano delle loro università, delle loro industrie, del loro pensiero progressista e della loro costituzione che già a partire dal 1922 concesse la parità alle donne. Gli islamisti minacciano queste conquiste, dicono loro, con del pensiero retrogrado e con delle politiche che getterebbero la repubblica indietro di 50 anni. Vogliono tenere le donne lontane dallo sguardo degli uomini. Vogliono costruire piscine d’albergo coperte solo per donne (e lo hanno già fatto a Istanbul e in stabilimenti lungo la costa).

Vogliono che le donne siedano in posti separati sugli autobus. (Che lavoro può svolgere veramente chiunque indossi uno chador? E’ un impaccio quasi quanto portare la minigonna e i tacchi a spillo!) E la questione femminile è solo la punta dell’iceberg, un sintomo piuttosto che il problema. Secolaristi convinti dicono che quello che è in ballo è la differenza tra il governare attraverso la costituzione laica turca e governare con la legge islamica. La pretesa di un “islam moderato” è una manovra machiavelliana per prendere il controllo dell’apparato politico, dicono loro. Un regime controllato completamente dagli elementi religiosi turchi indica una svolta verso l’est, che molti sospettano stia finanziando il movimento tramite l’Arabia Saudita, mentre un potere secolarista indica una pressione persistente da ovest. Alla fine, dicono, l’AKP l’ultima volta ha ottenuto solamente il 35 per cento dei voti al parlamento, ma a causa delle divisioni fra i secolaristi, controlla il 60 per cento del parlamento. (In una elezione negli Stati Uniti quando meno del 50 per cento degli aventi diritto vanno a votare, noi subiamo la stessa regola con poco più di ¼ di maggioranza).

D’altra parte, questo potrebbe anche essere un dibattito politico tra liberali e conservatori, o tra modernisti e tradizionalisti, semplicemente amplificato dalla valenza simbolica di un velo. Oramai siamo alla seconda, alla terza, alla quarta generazione di questi paesani che stanno “seduti in campidoglio”, come dice un esperto. Sono gente di città nello stile di vita, ma che hanno sviluppato nuove radici conservatrici e religiose nei loro sobborghi urbani.

Le mani dell’UE nella faccenda

E’ difficile dire qualche volta quello che i leader dell’Unione Europea debbano pensare quando si tratta di questo complicato punto di svolta nella storia della Turchia. Da un lato stanno costringendo la Turchia a saltare attraverso una serie di cerchi chiamati “riforme democratiche”, per renderla maggiormente conforme al modello europeo. Mentre il termine “riforme democratiche” ha un suono gradevole e familiare in America, alcune di queste riforme hanno l’effetto di aprire le porte al potere islamico, il quale sostengono i secolaristi è fondamentalmente antidemocratico, mentre altre semplicemente allargano la portata delle politiche neoliberiste che riforniscono di instancabile manodopera le compagnie multinazionali, perennemente alla ricerca della prossima abbuffata di salari bassi e regolamentazione zero. Ma difficilmente un governo islamico può essere quello che l’UE speri che accada in un paese così prossimo a diventare membro, a meno di non voler semplicemente creare una situazione no-win per la Turchia – o conformi agli standard politici europei, e permettere una presa di potere da parte degli islamisti che poi elimineranno qualsiasi idea di partecipazione all’UE, o non conformi, proseguire con un governo secolarista, e fronteggiare l’ostilità dell’Europa. Ma forse la questione cristiani, musulmani o laici non è la più importante per il potere che verrà. Per citare un turco di sinistra politicamente sagace, tutti i maggiori partiti, incluso l’AKP, sostengono le politiche neoliberiste e l’ingresso nell’UE, e questo sembra essere la visione ristretta che l’UE e il FMI stanno impiegando nel loro sostegno all’AKP, il candidato di punta in questo momento.




Le elìtes

Di ritorno ad Istanbul alla conferenza di antropologia alla fine di maggio, parliamo con Jenny White che ha condotto studi etnografici nei quartieri di Istanbul per più di un decennio. Quando le abbiamo chiesto che cosa fosse in balo nelle prossime elezioni, la sua risposta è stata rapida: “E’ una lotta di potere tra vecchie e nuove elìtes,” ci ha detto. La questione è soprattutto su chi riesce a raccattarsi i favori e i danari. Intorno alla metà del 1900 questi favori erano andati alla famiglia Koç, alla famiglia Sabanci e altri che erano veri capitalisti ma anche autentici seguaci della visione kemalista. La famiglia Koç rimane la più ricca del paese, ma successivamente la generosità dello stato è andata a tutto un altro giro, come quello che dirige Aytaç – una delle maggiori aziende di salsicce che è anche dentro al business del formaggio e dell’acqua – tutto halal ovviamente, la versione islamica del kosher. Essa viene elargita con parsimonia a coloro che sono noti come le Tigri dell’Anatolia, che si sono recentemente fatti avanti sotto il potere dell’AKP, ricevendo favori dal governo. “Hanno reso chic l’essere islamista, specialmente quando il loro partito ha vinto, “ dice White. “Erano socialmente in ascesa, belli, ricchi… per forza hanno fatto impazzire i secolaristi!” Ma le elìtes secolariste non sono i soli a risentirsi. Una piccola imprenditrice kemalista di Ankara si lamentava di aver perso i risparmi di una vita quando la sua azienda è stata messa alle corde dall’AKP che dirotta via il lavoro dai “figli di Ataturk” verso i propri sostenitori.

Vincitori e perdenti

Da un punto di vista economico, comunque, sembra che non cambierà molto, a prescindere da chi verrà eletto. Come dice un attivista politico, “comanda il Fondo Monetario.” Gli Stati Uniti stanno effettivamente sostenendo gli islamisti dell’AKP – sono timorati di Dio e sono stati il partito di governo, quindi conviene politicamente ed economicamente fare così – mentre continuano ad addestrare i capi militari turchi, alcuni dei quali hanno reso la vita difficile all’AKP durante queste elezioni. E mentre i soldi degli investitori internazionali e del FMI scorrono, non fanno poi molta strada. “Stanno seguendo il piano del FMI, e gli indicatori macroeconomici delle Turchia sono buoni, ma non la ricchezza non penetra verso il basso,” dice White. “Si fanno enormi, enormi quantità di denaro, ma svanisce nelle tasche, tasche politiche.”

Turchi di diversi strati sociali ce l’hanno confermato. Un pezzo grosso dell’industria turca della carne ha verificato che nella maggior parte delle fattorie i salari sono di circa 400 dollari al mese, crescendo di circa un 20 per cento dopo il primo anno a 500, ma dopo di ciò in maniera piuttosto discontinua e in quantità modeste. Il revisore dei conti di una fabbrica tessile ci ha raccontato che i lavoratori in quell’industria fanno 290 dollari al mese. Nonostante il ruolo da guardiano del revisore, altri ci dicono che le fabbriche sono dei forni, i lavoratori non hanno la polizza malattia, e la maggior parte delle famiglie devono cercarsi delle entrate in svariati posti diversi. E no, le paghe non arrivano a tanto in un paese come la Turchia. I costi abitativi per una casa modesta si aggirano intorno ai 250 dollari, e gli alimenti e i vestiti risucchiano molto più di ciò che rimane. Nel frattempo, uno degli uomini più ricchi delle Turchia ci ha detto che Recep Tayyip Erdogan, il primo ministro dell’AKP, è stato “molto buono per gli affari.” Lui lo saprà.

Ciononostante i lavoratori sindacalizzati si aggirano attorno al 5 per cento, e ci sono pochi segni di una rinascita. La sinistra è largamente distaccata dagli operai delle fabbriche, e tende invece ad aggregarsi nelle università, ad organizzare forum sociali, e persino a mettere in piedi festival dei lavoratori sempre più popolari, mentre le donne kapali passano al pettine i loro vicinati parlando ai nuovi arrivati e facendo man bassa di proseliti. Dov’è allora che avviene il distacco? Come ci ha spiegato un turco, nonostante la sua rapida crescita la Turchia non è un tradizionale stato occidentale industrializzato. La gran parte della Turchia è ancora uno stato feudale con sopra una impalcatura industriale. (I signori feudali descritti da Yashar Kemal, romanziere molto amato dai nazionalisti, durante tutto il ventesimo secolo operano ancora in larga parte dell’Anatolia orientale, e in questo momento vengono perfino raffigurati una popolare serie televisiva.) Mentre gli stati europei sono organizzati secondo interessi di classe, ci ha detto, i turchi mantengono i loro legami con il clan, la famiglia, e la regione, i quali offuscano i loro interessi di classe. Il distacco della sinistra da questi network rurali è solamente una parte del successo delle Tigri dell’Anatolia e la relativa mancanza di coscienza di classe fra i contadini neo-lavoratori.

I secolaristi con cui abbiamo parlato ci hanno predetto un alto tasso di affluenza per le elezioni parlamentari di luglio, nonostante circa il 35 per cento dei Turchi vadano in vacanza in quel periodo e non saranno là dove possono votare. Gli hotel sulla costa, prevedendo un calo del turismo interno in base ad un minor numero di prevendite del solito, stanno facendo varie offerte a potenziali clienti. Queste spaziano da escursioni giornaliere gratuite in pullman per le città di residenza delle persone per andare a votare, a tariffe azzerate per la notte che si potrebbe perdere per tornare a casa in macchina. Nel frattempo, trucchetti vecchi come il mondo come distribuire contratti terrieri ed altri favori pre-elettorali (un’eco della politica stile Al Capone) certamente continuano nelle comunità più isolate. La gente vive con passione le elezioni che si avvicinano. Il 31 maggio Izmir ha ospitato la prima corsa di cavalli notturna in assoluto. Migliaia di famiglie hanno atteso l’arrivo della notte, bambini a a cavalcioni sulle spalle di papà, donne a spingere bebè in carrozzina, ragazzini a salutare le telecamere che riprendevano dal vivo la festa e le corse. Una luna piena si è illuminata da arancione a bianco mentre sorgeva dietro alla pista illuminata, a completare una bella notte di festa. Lo schermo televisivo gigante che trasmetteva repliche e moviole delle corse ha mostrato per un attimo una immagine della luna crescente dietro al minareto della vicina moschea. La regione di Izmir è la sola dove l’AKP non ha ottenuto seggi alle ultime elezioni, e la folla è impazzita quando uno dei presentatori si è lanciato in quella che è diventata la ballata dei secolaristi che negli ultimi anni hanno vissuto sotto il governo dell’AKP. E’ la canzone che Ataturk commissionò per il decimo anniversario della repubblica, e come nella scena della “battaglia degli inni nazionali” nel film Casablanca, la folla si è alzata in piedi cantando a squarciagola, applaudendo e gridando dopo che era finita.

Ma basta questa passione, alle corse dei cavalli, nei caffè, nelle caffetterie universitarie, e persino fra i tassisti e i panettieri, a garantire un futuro alla repubblica laica? “I turchi non sanno quello che vogliono, sanno solo quello che non vogliono,” ci ha detto un uomo. Molti con cui abbiamo parlato (ammettendo beninteso che erano dei secolaristi) credono che la marea montante dell’islam politicizzato sarà sufficiente per smuovere la maggioranza dei turchi a dichiarare al mondo, una volta per tutte, ciò che essi non vogliono. E dopo? Al di là di chi vince, farà poca differenza per il proprietario del caffè che perde la sua impresa famigliare per un nuovo Starbucks in fondo alla strada o per l’artigiano in Anatolia il cui lavoro viene assorbito dalla fabbrica Wal-Mart. La disuguaglianza sociale crescerà. Lo smog, che aleggia sopra ai siti industriali incontrollati, si infittirà. L’ingresso nell’UE rimarrà elusivo. Così, mentre il prestigiatore dice ai turchi e al resto di noi di tenere d’occhio la mano con il velo, starà nascondendo il neoliberismo sotto ogni carta che noi non pescheremo mai.

Traduzione di Matteo Landricina

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x