Bin Laden criminale da catturare o nemico da uccidere?
Giancarlo Bosetti 12 May 2011

L’uccisione di Bin Laden, il 2 maggio ad Abbottabad, sotto il fuoco di un commando di Navy Seals degli Stati Uniti, è un evento che ha provocato valutazioni discordanti: Angela Merkel si è dichiarata soddisfatta, mentre l’ex primo ministro Helmut Schimidt l’ha considerata una violazione del diritto internazionale, in Francia Libération ha criticato duramente la «retorica tossica» del patriottismo che si è manifestata nel giubilo davanti alla Casa Bianca. Anche sulla stampa italiana sono apparse valutazioni critiche. Antonio Cassese, giurista, già presidente del Tribunale per i crimini internazionali dell’ex Jugoslavia, ha sostenuto sulla Repubblica del 6 maggio che gli Stati Uniti hanno commesso in questa circostanza tre violazioni del diritto internazionale: la prima consisterebbe nell’averlo individuato nel compound attraverso l’uso della tortura (elemento che però non è stato confermato e provato), la seconda nell’aver compiuto una operazione militare in territorio pakistano senza averne chiesto la autorizzazione (della quale colpa però lo stesso Cassese scagiona Obama dal momento che le omissioni di parte pakistana sono assai evidenti), la terza nell’uccisione stessa, che uno Stato non è autorizzato a compiere che in due circostanze, in una situazione bellica, oppure anche in una operazione di polizia durante la quale il ricercato reagisca sparando e mettendo a rischio la vita degli inseguitori.

L’opinione di Cassese è che invece fin da principio vi fosse la decisione di ucciderlo, alla quale egli è disposto a riconoscere attenuanti, ma non accettandola come legittima: si tratta di Realpolitik che prevale indebitamente su etica e diritto.

Diversa l’opinione di Mario Pirani, sulla Repubblica del 9 maggio 2011, che si dice d’accordo con Jonathan Safran Foer: «Si può fare giustizia in molti modi diversi. E non tutti sono egualmente buoni. In questo caso forse si poteva fare meglio. Ma non vuol dire che giustizia non sia stata fatta» e contro Cassese per il quale «tra gli Usa e Al Qaeda non c’ è guerra, né internazionale né civile, e che l’ azione statunitense contro le reti terroristiche è solo azione di polizia». Solo in questo caso si può parlare, secondo Pirani, di «assassinio». Ma non è il caso di Abbottabad, dove era in corso una guerra, cominciata con il “bombardamento” di New York, una guerra scatenata dai terroristi, secondo parametri diversi da quelli convenzionali, ma pur sempre una guerra, che non concede spazio a comportamenti cavallereschi del tipo “Messieurs les anglais, tirez les premiers”.

Pirani sbaglia definendola una guerra scatenata dal «fondamentalismo islamico», perchè Al Qaeda è per fortuna una sottospecie molto più piccola della più vasta categoria del «fondamentalismo», come ha più volte ribadito il generale Petraeus sulla base dell’esperienza in Iraq, ma di guerra si tratta. E Pirani propone un paragone, famigliare alla sua generazione, con la fine di Mussolini, che fu catturato, ucciso dai partigiani a Dongo, ed il cui corpo fu esposto in piazzale Loreto. «L’ evento, malgrado la sua brutalità, venne salutato da milioni di italiani come un atto di giustizia indispensabile e tempestivo. Le rare voci che lamentarono il mancato arresto e conseguente processo vennero giudicate con diffidenza.» Per quanto la decisione di Obama sia dunque stata difficile, perché il raid militare comportava molto probabilmente, nella sua pericolosa dinamica, la morte del ricercato numero uno ha evitato il pericolo che il summum jus si confermasse summa iniuria.

Analoga discussione è avvenuta tra diverse voci della cultura liberal americana. Interventi significativi sono ospitati dal sito di Dissent, la rivista diretta da Michael Walzer. L’intervento più convincente è proprio quello del filosofo di Guerre giuste e guerre ingiuste, che alla domanda se Osama Bin Laden fosse un nemico da uccidere in guerra o un criminale da catturare con un’azione di polizia, risponde sostenendo che in momenti diversi sono giuste entrambe le ipotesi. La lotta contro il terrorismo di Al Qaeda tocca alla polizia,come avviene in Europa. «E se bin Laden si fosse nascosto in Francia, sarebbe stato catturato, arrestato e messo sotto processo.» Invece il conflitto in Afghanistan anche a causa degli errori nella sua conduzione si è esteso al Pakistan, uno stato che non riesce a impedire che nel suo territorio si sviluppino azioni ostili agli Stati Uniti: «Il Pakistan non è una zona di pace né per al Qaeda né per gli Stati Uniti. L’uccisione di Osama bin Laden, dunque, è stata un atto di guerra. E la sua uccisione dunque «non è stata un’ingiustizia».

Leggi, tradotto in italiano, l’articolo di Michael Walzer apparso su Dissent

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x