Quelle voci che sostengono Obama
Margot Badran 6 July 2009

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Al-Ahram Weekly (18 – 24 giugno 2009, N. 952).

L’uguaglianza delle donne e la libera scelta, necessarie agli ideali religiosi, ai diritti umani e alla democrazia, sono i principi che hanno risuonato forte e chiaro nel discorso tenuto da Obama all’Università del Cairo, con la collaborazione dell’Università Al-Azhar, roccaforti dell’istruzione laica e religiosa in Egitto. Esattamente cento anni prima, Malak Hifni Nasif, una scrittrice di 23 anni, pubblicava sotto lo pseudonimo di Bahithat Al-Badiya, il volume Al-Nis’iyyat, una raccolta dei suoi scritti e dei discorsi pronunciati in difesa dei diritti delle donne –nel contesto dei diritti religiosi, umani e nazionali- essenziali per la liberazione delle donne e dell’Egitto durante l’occupazione coloniale. Allora come ora, le voci dei giovani e delle donne si levarono per rivendicare con passione una serie di diritti e una nazione libera e democratica.

Nel corso di quello stesso 1909 in cui le donne egiziane non furono ammesse come studentesse regolari all’ Egyptian University (come allora veniva chiamava l’Università del Cairo) da poco fondata, esse organizzarono delle conferenze tenute da donne per le donne in particolari aule universitarie durante il venerdì, il giorno della settimana in cui gli studenti maschi erano assenti. Venti anni dopo, nel 1929, un gruppo di donne decise ad ottenere un livello di istruzione più elevato si presentarono semplicemente all’Università, dove rimasero fino al conseguimento della laurea, quattro anni più tardi. Grazie al generoso lascito di terra e denaro concesso da una donna (la principessa Fatma Ismail) quando alle donne veniva ancora negato l’accesso all’istruzione superiore, l’Università si trasferì nell’edificio in cui lo scorso 4 giugno il presidente Obama ha pronunciato le parole in difesa dei diritti delle donne, della libertà e della democrazia in cui riecheggiavano quelle pronunciate cento anni prima dalle donne egiziane.

Rendendo omaggio alla storia, Obama avrebbe potuto evocare la lunga e onorevole tradizione femminista – nel contesto islamico e nazionale- in Egitto e in altre zone di quella regione e del mondo arabo, con cui si è rivendicata l’applicazione dei diritti umani, l’autodeterminazione e la democrazia. Nel 1911, al Cairo, Malak Hifni Nasif inviò al Congresso egiziano riunito una serie di istanze femminili finalizzate ad individuare una strategia per l’indipendenza e a far progredire quelle rivendicazioni. Quell’elenco, tra le altre cose, includeva la richiesta di istruzione superiore per le donne in tutti i campi e a tutti i livelli, la tutela dei diritti delle lavoratrici e il diritto a partecipare alle cerimonie religiose all’interno delle moschee. La Nasif non poté presentare personalmente le sue richieste perché, all’epoca, il volto di una donna non poteva essere visto in pubblico, né la sua voce udita.

Il 4 giugno 2009 è stata la voce di una donna a risuonare nell’ Aula Magna dell’Università del Cairo per annunciare “il presidente degli Stati Uniti d’America”. Quella voce, e il mare di volti femminili presenti tra il pubblico, avrebbero fatto piacere alle femministe e alle nazionaliste egiziane alle quali (fatta eccezione per uno sparuto gruppo di mogli di leader nazionalisti), nel 1924, era stato impedito di assistere all’inaugurazione del primo Parlamento nel periodo immediatamente successivo alla conquista dell’indipendenza (quantunque parziale) per la quale avevano attivamente combattuto a fianco dei nazionalisti maschi.

Nel corso dell’ultimo secolo, le donne egiziane, grazie alle loro iniziative, hanno conquistato molti diritti ed hanno accresciuto la libertà di occuparsi della propria vita e di fare le proprie scelte. Esistono numerosi esempi di attivismo femminista anche in altri Paesi arabi e in generale in tutto il mondo islamico. Se oggi, in Egitto, le donne musulmane sono libere di indossare lo hijab, o di coprirsi il capo, un tempo non erano libere di non coprirsi il volto, come non lo sono ancora oggi in alcuni luoghi. Alle donne è stato fatto credere che l’hijab, che allora nascondeva tutto il viso, fosse un precetto islamico. Quando le donne si sono rese conto che un velo confezionato in quel modo (oggi chiamato più correttamente niqab) non era qualcosa che veniva richiesto dalla religione, iniziarono a toglierselo, ma ciò non fu affatto facile a causa del persistere delle convenzioni e delle pressioni sociali. Al giorno d’oggi, l’hijab, nella versione che si limita a coprire il capo – e che molti musulmani , ma non tutti, considerano un precetto religioso- non è che uno dei modi in cu le donne decidono di vestirsi. L’hijab non equivale alla “ donna musulmana”. E’ bello, presidente Obama, che in America le donne musulmane siano libere di indossare l’hijab come di non portarlo. Le donne musulmane, come le altre, scelgono tante forme per esprimere se stesse, comprese quelle legate al modo di abbigliarsi, se le considerano aderenti alle loro convinzioni profonde.

Il discorso di Obama ha spaziato da questioni quali quelle dei musulmani e degli arabi, a quella dei Paesi e delle comunità a maggioranza musulmana o dei Paesi arabi. In ogni contesto vi sono musulmani e popoli che seguono altre fedi. All’interno di tali contesti, e tra ciascuno di essi e gli altri, possiamo individuare punti di contatto e differenze; ciò significa che possiamo individuare differenze che sono occasioni di creatività. La libertà, i diritti e la dignità di un individuo, di un gruppo e di un sesso sono la libertà, i diritti e la dignità di tutti. Ricordare i lunghi decenni di attivismo femminista delle donne egiziane, musulmane e cristiane assieme, e delle donne di altre zone della regione e del mondo islamico in generale, è significativo. E rendergli omaggio è forse ancora più significativo.

Il messaggio è oggi lo stesso di allora: le donne e le nazioni rivendicano, e vogliono conservare, la propria indipendenza, vogliono decidere le proprie forme di autogoverno, godere attivamente dei propri diritti individuali e collettivi e della giustizia. Nel discorso del presidente americano si può udire l’eco delle voci di generazioni passate di donne egiziane e del mondo islamico, assieme a quelle della generazione femminile di oggi, chiedere che gli inscindibili principi della giustizia e dell’uguaglianza, essenziali ai diritti umani e alla democrazia, siano tradotti nella realtà.

L’autrice è docente presso il Woodrow Wilson International Centre for Scholars. Il suo libro più recente è “Feminism in Islam: Secular and Religious Convergences”.

(Traduzione di Antonella Cesarini)

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