L’imbarazzo della Turchia
Marta Federica Ottaviani 8 January 2009

Tutto si può dire, tranne che non abbia cercato di trasformare un grosso intoppo in un’occasione per la Turchia. Il peggio nella nuova crisi fra Israele e Hamas sembra essere passato, e il premier islamico-moderato Recep Tayyip Erdogan tira le somme di una situazione in cui la posizione della Turchia è stata quanto mai difficile. Con tutti i problemi che aveva e la difficile situazione economica, infatti, a Erdogan mancava solo la rottura della tregua fra Israele e Hamas. Da quando quasi due settimane fa la Siria ha deciso di interrompere le trattative con Gerusalemme sulle alture del Golan, il premier è stato impegnato su un unico fronte: rilanciare il ruolo di grande mediatore della Turchia. Un ruolo che ha dovuto necessariamente tenere conto della decennale amicizia con Israele e, dall’altra parte, del popolo turco, che da giorni scende in piazza a favore dei “fratelli palestinesi” e che fra due mesi andrà alle urne per le elezioni amministrative, dove l’Akp, il Partito per la Giustizia e lo sviluppo (di orientamento islamico-moderato e che ha la maggioranza parlamentare), si presenta in calo nei consensi.

Il conflitto nella Striscia è stata una brutta sorpresa, capitata a sproposito. Da mesi la Turchia stava cercando di accreditarsi come un grande mediatore in area mediorientale e caucasica, e i risultati, su entrambe le sponde, iniziavano a vedersi, con i colloqui fra Siria e Israele per la cessione delle Alture del Golan a Damasco e la ripresa del dialogo fra Armenia e Azerbaijan sulla regione del Nagorno-Karabakh. Stando a quanto hanno detto fonti diplomatiche europee, nella sua ultima visita ad Ankara, datata 22 dicembre, Olmert aveva rassicurato Erdogan circa le intenzioni di Israele sulla Striscia, per quanto il premier si sia affrettato a smentire, dicendo che i due leader hanno parlato solo dei negoziati con Damasco. Dopo tre giorni si è verificata la prima reazione di Gerusalemme. A Erdogan non è rimasto altro che usare parole pesanti, definendo i bombardamenti “un crimine contro l’umanità” e una “mancanza di rispetto nei confronti degli sforzi pacificatori di Ankara”. Il governo di Ehud Olmert è corso ai ripari come poteva.

Il quotidiano Hürriyet ha riportato una dichiarazione del Ministro degli Affari Sociali, Isaac Hertzog, secondo cui Israele ha compreso la reazione della Turchia alle operazioni militari di Gerusalemme sulla Striscia. Hertzog ha aggiunto che lo Stato ebraico “non ha intenzione di mettere in imbarazzo il primo ministro e il popolo turco”, paragonando però nello stesso tempo gli attacchi di Hamas a quelli del Pkk, tema su cui i turchi sono quanto mai sensibili. Malgrado il premier sia stato visibilmente contrariato dalla situazione, Ankara non ha perso il dinamismo diplomatico che l’ha caratterizzata in questi mesi e anzi sembra essersi impegnata ancora più di prima. Settimana scorsa il Ministro degli Esteri, Ali Babacan, è volato in Egitto e ha chiesto con la sua controparte Ahmed Aboul Gheit un cessate il fuoco, ricordando furbescamente che è stato Hamas a violare la tregua.

Nelle stesse ore Erdogan è partito per un tour di tre giorni, dicendo che la Turchia si opporrà a una escalation di violenza. È andato in Egitto, Giordania e Arabia Saudita, per non perdere una coesione che rischia di essere gravemente compromessa, e in Siria per dire a Damasco che deve stare calma. Anche se Israele non sembra al momento aver riconosciuto allo sforzo diplomatico turco tutto il valore che secondo il primo ministro e la sua squadra merita, va comunque sottolineato che la partita è stata difficile e divisa su più fronti. Il premier islamico-moderato infatti ha dovuto pensare all’amicizia con Israele, con cui pure in passato ha avuto qualche momento di tensione. Un’amicizia solida da decenni e cementificata dalla lotta al terrorismo, da esercitazioni militari congiunte e soprattutto da una serie di progetti su impianti di gas, acqua e petrolio dal Mar Nero al Mar Rosso. Erdogan non si sarebbe materialmente mai potuto permettere di rovinare il rapporto con un alleato chiave anche per le conseguenze sul piano interno.

Se infatti l’elettorato ha marciato contro il governo Olmert, i militari sono fra i più energici sostenitori dei buoni rapporti con Gerusalemme. Tutti motivi per cui Ankara deve mantenere i nervi saldi e cercare di preservare l’alleanza. Deve tenere conto degli umori del popolo turco, a due mesi dal voto amministrativo di marzo e con il suo partito in vistoso calo dei consensi. Qualche risultato è stato ottenuto. Il 14 gennaio sarà Istanbul a ospitare la seduta straordinaria dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica. I soldati turchi potrebbero andare a presidiare la Striscia di Gaza e avere quindi un ruolo centrale nella tenuta della tregua. Erdogan poi ha fatto un giro di telefonate (tra gli altri a Silvio Berlusconi, Gordon Brown e Vladimir Putin). Un dinamismo degno di chi vuole calcare la scena internazionale e giocare un ruolo sempre più importante. Un’influenza sempre crescente che la grande diplomazia internazionale, forse per una forma di snobismo, ancora non riconosce pienamente.

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