“La sinistra radicale sbaglia, è giusto avere prudenza”
Mario Scialoja intervistato da Daniele Castellani Perelli 10 October 2007

Londra, Berlino, Colonia, e poi Bologna e Genova. In tutta Europa nascono polemiche, e la gente scende persino in piazza, ogniqualvolta si ipotizza la costruzione di una moschea. Come spiega queste proteste?

Siamo di fronte a ingenti spostamenti di popolazione all’interno di società che fino a poco tempo fa erano monoculturali, monoetniche e monoreligiose. Queste migrazioni, questi mutamenti, provocano preoccupazioni e resistenze abbastanza comprensibili, perché nessun paese vede con favore migrazioni ingenti condotte da persone generalmente povere e con una cultura diversa dalla propria. Le migrazioni, inevitabilmente, alterano equilibri precostituiti e pongono problematiche nuove. Sono timori legittimi, se pensiamo che l’uomo è nato e cresciuto con la paura dello sconosciuto. I nostri antenati preistorici si difendevano con delle pietre all’ingresso delle caverne, poi sono arrivate le palizzate, le mura delle città e infine le frontiere. Davanti alle migrazioni bisogna solo imparare a conoscere l’altro e a non averne paura. Servono mutamenti psicologici e atteggiamenti sociali che prenderanno molto tempo, le resistenze delle popolazioni sono purtroppo del tutto naturali.

Veniamo ai casi di Bologna e Genova. Come giudica l’atteggiamento dei due sindaci, che peraltro sono entrambi di sinistra? Davanti alla proposta di costruzione della moschea, Sergio Cofferati farà ricorso a un referendum locale, mentre Marta Vincenzi, a Genova, si è rivolta al Ministro degli Interni Giuliano Amato in cerca di “chiarezza”.

Ho l’impressione che l’atteggiamento dei due sindaci corrisponda a una salutare prudenza e gradualità. Io poi sono sempre favorevole alla consultazione dei cittadini sulle tematiche più importanti, in questo ho uno spirito un po’ svizzero. Per aprire una piccola sala di preghiera rionale non ci vuole niente, sono state sempre costruite e sempre si costruiranno, purché si tratti di sale attrezzate per ricevere il pubblico, con le uscite di sicurezza e nel rispetto delle norme di sicurezza. Ma quando si tratta di costruire un grosso complesso, che può modificare l’aria urbana in cui sorge (ed è questo il caso della megamoschea di Bologna, che sarebbe dovuta sorgere su un terreno di 52.000 metri quadrati), mi sembra che sia legittimo chiedere il consenso dei cittadini che vivono in quell’area, attraverso un referendum o perlomeno un sondaggio molto accurato. Le faccio il caso della Grande moschea di Roma, presso cui ha sede il nostro centro culturale islamico e che sorge in una zona quasi disabitata. Quando cominciò la costruzione, gli abitanti delle zone circostanti giustamente si preoccuparono, perché temevano che sul posto sorgesse una baraccopoli di immigrati o perché più semplicemente credevano che sarebbero stati disturbati cinque volte al giorno dal richiamo della preghiera dall’alto del minareto (il primo richiamo, lo ricordo, è prima dell’alba, nel pieno della notte). Quelle preoccupazioni sono state poi superate, e il Tar ha dato il via senza problemi alla costruzione. Nei casi di Genova e Bologna, dove si prevede la costruzione in zone abitate, ha ancora più senso tenere conto delle preoccupazioni dei cittadini, ed è giusto che Cofferati consulti la popolazione del quartiere.

Sul Corriere della Sera Magdi Allam, contrario al progetto della moschea bolognese, ha scritto che in Italia ci sono già troppe moschee.

Prima di tutto in Italia c’è solo una moschea, quella di Roma. Le altre sono luoghi o sale di preghiera. Il numero complessivo ammonterebbe oggi a 735. Può sembrare un numero molto elevato, ma dobbiamo tenere presente che la capacità media di quelle sale, secondo un mio calcolo, si aggira intorno alle 70-80 persone, contro le 4.000 della moschea di Roma. E 735 per 80 fa 58.800.

Meno dello stadio Olimpico.

Esatto. Il che significa che tutte le moschee presenti oggi in Italia riescono ad ospitare solo il 7%, più o meno, della comunità musulmana residente in Italia. Magdi Allam ha ragione quando fa notare che non si sa da chi siano gestite queste sale o chi siano le guide della preghiera del venerdì. In massima parte si tratta di imam non qualificati, che predicano in luoghi improvvisati. Ed è tutt’altro che chiaro quale tipo di predicazione facciano. C’è di che essere preoccupati, perché è un fenomeno che si sta sviluppando in maniera abbastanza tumultuosa in una situazione internazionale molto delicata che vede i paesi islamici vittime, o parti attive, in conflitti sanguinosi che alimentano movimenti fondamentalisti anche transnazionali, o gruppi terroristici di tutti i tipi che nulla hanno a che fare con l’autentico messaggio dell’Islam ed ai quali deve essere impedito di infiltrare le comunità islamiche occidentali. Le moschee in Italia non sono tante, non sono nemmeno sufficienti ad assicurare il servizio di assistenza religiosa della popolazione musulmana italiana.

Quanto sono trasparenti le nostre moschee? E sono finanziate da soldi di paesi stranieri, con tutto quello che ciò può significare in termini di dipendenze ideologiche e politiche?

Soldi stranieri potranno arrivare a qualche grosso centro di qualche moschea particolare, ma la massima parte di queste piccole sale di preghiera (che io ho visitato a lungo tra il 1997 e il 1999) è sistemata in locali di fortuna, e si regge sulla raccolta dei soldi del venerdì o con commerci vari, il cosiddetto “islam business”. Facendo un caso particolare, Bouiriqi Bouchta, l’imam marocchino espulso due anni fa, aveva tre macellerie islamiche a Torino e importava e vendeva generi alimentari di produzione egiziana, marocchina e tunisina. Il centro islamico di Roma è finanziato dall’esterno, ma il Ministero degli Interni lo sa benissimo. L’Arabia Saudita investe in Italia, ma relativamente, perché il suo obiettivo è di investire nelle repubbliche centro-asiatiche per battere la competizione iraniana. Il mio timore è invece un altro. Non che soldi stranieri di dubbia provenienza arrivino alle moschee italiane, ma che i centri islamici italiani raccolgano soldi per finanziare attività al di fuori del nostro paese, ad esempio per finanziare l’opposizione interna a governi di paesi d’emigrazione amici dell’Occidente, nella speranza di sovvertirne l’ordine costituito.

Uno degli argomenti portati contro la costruzione della moschea di Bologna è che c’è il timore che venga monopolizzata dal movimento islamico dell’Ucoii, accusato da molti di avere delle posizioni molto radicali. Per lei questo è un problema? E come si può uscire da questa situazione?

E’ molto probabile che l’Ucoii sia dietro la costruzione della moschea di Bologna. L’unica soluzione è imporre l’osservanza di determinate regole: l’assoluta trasparenza sui fondi che servono a costruire i luoghi di culto e l’assoluta trasparenza della gestione. Un lavoro difficile e delicato, ma che deve essere compiuto. L’Islam in sé non è un pericolo, ma lo è l’Islam politicizzato e fondamentalista, che è una conseguenza di un panorama internazionale pervaso da moltissimi conflitti, che in realtà, ripeto, non avrebbero nulla a che fare con quella grande religione e quella grande cultura che è l’Islam.

Oggi quindi questa trasparenza nelle moschee italiane non esisterebbe?

Da quello che percepisco, parlando anche con le Istituzioni, purtroppo nella maggioranza dei casi no. In questo Magdi Allam ha perfettamente ragione.

Ha qualcosa da rimproverare alla sinistra italiana, in questo dibattito?

Vedo che la sinistra cosiddetta radicale, purtroppo, soffre di un abbaglio. Vede certi movimenti islamici come la rappresentanza della vera base, del vero proletariato. Ha una certa affinità con loro perché li interpreta come movimenti antimperialisti e antiamericani. Ma questo è un abbaglio.

Secondo L’Economist è molto più facile costruire una moschea in America che in Europa. Sorpreso?

No, affatto. L’America, come sappiamo, è un paese in cui la libertà di iniziativa è maggiore rispetto ai paesi europei, dove il controllo dello Stato sulla società è molto maggiore.

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