Ma è la sola risposta alla crisi del mondo arabo
A. A. 16 January 2008

Questo testo è il secondo intervento di Andrew Arato nel dialogo svoltosi tra l’autore e il filosofo Hassan Hanafi, pubblicato dalla rivista Reset nel numero 103 (settembre-ottobre 2007).

Che confusione! L’attuale ondata di democratizzazione non inizia con l’11 settembre; al contrario, quella data corrisponde all’inizio della fine di quel processo che culmina nella guerra all’Iraq. Lo scritto di Hanafi è il sintomo di quanto è accaduto: una sempre maggiore confusione che getta discredito sulla democrazia. Di ciò dobbiamo ringraziare Bush, i neoconservatori e i falchi dei diritti umani. Dopo aver letto le parole di Hanafi mi sento come Sisifo. A cosa serve tentare di trascinare questa pietra in cima alla montagna? Alcuni punti ovvi dovrebbero bastare. Sì, la democrazia è un’idea europea. E allora? È un’ottima idea. Alcune idee europee lo sono, altre molto meno. Prima che il mondo fosse europeizzato, forse non vi era una reale giustificazione per affermare, come più o meno fecero i Greci, che soltanto l’autenticità della politica richiedeva la partecipazione e l’autodeterminazione di cittadini eguali, mentre il resto non era che barbarie e dispotismo. Oggi, tuttavia, una tale affermazione trova molte più giustificazioni.

Ciò significa che l’Occidente, l’India, il Giappone, la Turchia, ecc. sono democratici? No di certo. Si dovrebbe distinguere tra la regola e la realtà. Il massimo che possiamo affermare è che, in questi paesi, le regole della democrazia sono più salde che altrove e che sono in contrasto con gran parte delle realtà oligarchiche e autoritarie. Questa è la ragione per la quale questi paesi hanno un numero di movimenti democratici e democratizzanti molto maggiore di altri; e tali movimenti raggiungono qualche obiettivo anche a livello istituzionale. Quando la distanza tra regole e istituzioni si fa troppo grande, diventa allora impossibile per un sistema usare il termine democrazia. Pertanto i migliori pensatori israeliani descrivono il loro paese come una «etno-democrazia», o Herrenvolkdemocratie (democrazia del popolo eletto).

La democrazia può essere imposta ad altri? Certamente no! Il modo più sicuro di screditare le regole della democrazia è quello di cercare di imporle, specialmente attraverso la forza militare. La storia del colonialismo ha prodotto quasi sempre questo risultato, e soltanto laddove il movimento anticoloniale era saldamente democratico, come in India, le regole democratiche hanno potuto sopravvivere. Le istituzioni che includono alcuni aspetti delle regole democratiche producono necessariamente una politica buona e giusta? Certamente no. Tuttavia direi che i risultati da esse ottenuti sono ancora migliori di quelli riportati dalle dittature per ciò che riguarda la pace e la guerra, quando gli antagonisti sono anch’essi «democratici». Le dittature sono aggressive rispetto a tutti gli antagonisti. Sarebbe meglio se i paesi osservassero il diritto internazionale nei confronti di tutti gli Stati (ciò che Israele decisamente non fa: tutti territori di altri popoli!); ma la pace in Europa, se non altro, è molto meglio della guerra tra Iran e Iraq o tra Iraq e Kuwait.

I paesi apparentemente democratici sono protetti dalla possibilità che la maggioranza scelga la dittatura? No, sebbene di certo non si ebbe un cambio di maggioranza prima o durante l’ascesa al potere di Mussolini o di Hitler, i quali furono piuttosto facilitati da quei conservatori che detenevano il potere (elementi non democratici della struttura istituzionale). Anche i plebisciti napoleonici avvennero sulla punta delle baionette, per quanto i due Bonaparte fossero popolari. Ciò potrebbe comunque sempre accadere, ma questo non è un argomento contrario alla democrazia. Perché il pericolo di una dittatura dovrebbe rendere quest’ultima preferibile alla democrazia? La dittatura benevola che il saggio di Hanafi a volte celebra può trasformarsi facilmente nel suo opposto, più facilmente di quanto una democrazia possa trasformarsi in dittatura. Pensiamo alla strada dai vecchi Bolscevichi a Stalin; si tratta di un percorso abbastanza tipico.

Perciò mi dispiace che Bush e i suoi emissari l’abbiano confusa in questo modo. Resta probabilmente vero che la democrazia è l’unica risposta alla crisi profonda del mondo arabo, ed ora lei è sul punto di rifiutarla. Cosa avremo, allora? Un nazionalismo che già sta andando a pezzi, un fondamentalismo religioso che ne distrugge un altro, come accade in Iraq, oppure nazionalisti e religiosi che si uccidono a vicenda, come nei territori palestinesi. La risposta migliore, e più efficace, ad Israele che volta le spalle alle elezioni palestinesi (e alla democrazia) dovrebbe essere quella di una maggiore democrazia. L’attuale sanguinosa risposta è la più stupida possibile, fatta eccezione per l’ancor più stupida giustificazione: che anche questa è semplicemente colpa di Israele. Israele può essere incolpata di molte cose, ma non della confusione araba circa la democrazia.

Andrew Arato, costituzionalista, è professore di Political and Social Theory presso la cattedra Dorothy Hart Hirshon della New School University di New York. Nel corso delle sue ricerche si è occupato della Scuola di Francoforte, di storia del pensiero sociale e di teorie delle società dell’estremo Oriente e dei movimenti sociali. Le sue attuali ricerche vertono sulla sociologia del diritto e sulle teorie delle società modello. È autore di numerose pubblicazioni, tra le quali Sistani v. Bush: Constitutional Politics in Iraq (2004), The Occupation of Iraq and the Difficult Transition from Dictatorship (2003), Civil Society, Constitution and Legitimacy (2000).

Traduzione di Antonella Cesarini

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