“Il nuovo governo, l’Islam e il Medio Oriente”
Renzo Guolo intervistato da Daniele Castellani Perelli 29 April 2008

Quanto ha contato, nella vittoria della Lega Nord alle elezioni del 13-14 aprile, la battaglia anti-immigrazione e in particolare anti-musulmana? Ricordiamo, ad esempio, la colorita polemica di Roberto Calderoli con il suo “maiale-day”contro la costruzione della moschea di Bologna.

Il voto leghista ha diverse componenti, ma sicuramente il tema dell’immigrazione e della sicurezza è stato centrale, in special modo la lotta all’immigrazione clandestina e, sulla questione dell’Islam, un discorso identitario che ha fatto breccia nell’elettorato. Il discorso sulle culture e sulle religioni diverse da quelle tradizionali genera sempre diffidenza. La Lega, a livello locale, ha condotto una battaglia sull’agibilità delle moschee, che ha cercato di affrontare non tanto con un approccio di chiusura verso la libertà religiosa, ma adducendo come motivo il rispetto della legge uguale per tutti, per quanto riguarda la destinazione d’uso degli immobili. La Lega ha fatto quindi un discorso sull’identità, che ha rappresentato una delle componenti del suo successo, insieme alla sicurezza, al fisco, al conflitto centro-periferia.

Questo clima di chiusura verso gli immigrati, che si è respirato in campagna elettorale, ha condizionato anche il Partito Democratico, che sul tema è sembrato molto timido?

Il Pd è una creazione giovane, e non ha potuto mettere in campo una cultura politica solida. La Lega ha sfruttato una sorta di copyright su queste tematiche. Pertanto anche i discorsi recenti che Walter Veltroni ha fatto sulla sicurezza sono apparsi sostanzialmente del tutto nuovi, non hanno potuto sedimentarsi nell’elettorato, mentre battaglie di questo tipo si costruiscono nel tempo. Per quanto riguarda l’immigrazione il discorso del centrosinistra non è stato riduttivo o inconsapevole dei problemi, ma ha sempre cercato di evidenziare l’ottimismo della volontà, di enfatizzare un approccio positivo, senza mai riuscire a comprendere le dimensioni conflittuali che stanno a cuore ai cittadini. Al di là della sicurezza e dell’immigrazione, ha contato molto il peso dei flussi globali, soprattutto in aree come la Pedemontana, che va dal Veneto alla Lombardia, o nei piccoli centri, dove l’impatto locale dell’immigrazione è stato molto forte. Gli immigrati si sono spesso posti come una nicchia comunitaria, negli stili di vita o nelle modalità di relazione con lo spazio circostante, e tutto ciò non ha favorito un processo di integrazione. Paradossalmente, il fatto che l’immigrazione sia stata diffusa e capillare è stata percepita da molta gente come un qualcosa che veniva a modificare anche uno spazio sociale che da tempo si presupponeva fisso e immutabile. Questo aspetto è stato vissuto come un elemento negativo della globalizzazione, al cui non si può solo rispondere con un generico appello all’ottimismo della volontà. Il limite della sinistra è stato questo, non essersi fatta carico delle contraddizioni che sul territorio generano questi processi “glocali”, che non sono stati mediati in termini comprensibili alla popolazione.

Come si farà sentire il peso della Lega Nord nella politica estera del nuovo governo?

Sicuramente il nuovo governo non avrà grandi aperture verso il mondo islamico in generale, ma penso che su questo punto la politica estera italiana verrà trasformata non solo dalla Lega, ma dal partito di Silvio Berlusconi stesso, chiunque sia il ministro degli esteri. Berlusconi riorienterà la nostra politica su diverse questioni, dal conflitto israeliano-palestinese all’Iran, dall’Afghanistan al Libano.

E’ facile prevedere, vista l’esperienza dell’ultimo governo Berlusconi e le dichiarazioni della campagna elettorale, che il nuovo esecutivo sarà molto più filo-israeliano di quanto sia stato il centrosinistra. Ma un paese mediterraneo come l’Italia, che negli ultimi anni ha stretto fortemente i rapporti commerciali con diversi stati arabi (come l’Egitto di Mubarak), può permettersi una posizione pregiudizialmente a senso unico sulla questione israeliano-palestinese?

No, certo, ci sono dei vincoli sistemici e geopolitici che vanno al di là delle idee di un singolo leader. Un paese mediterraneo non può non avere buoni rapporti col mondo arabo. Sicuramente però la famosa “equivicinanza” del ministro degli esteri uscente Massimo D’Alema sarà sostituita da una vicinanza a Israele.

Parliamo delle missioni all’estero. L’ex ministro della difesa del governo Berlusconi, Antonio Martino, in campagna elettorale ha detto che l’Italia dovrebbe ritirare le truppe dal Libano e riportarle in Iraq. Sono parole rivelatrici del pensiero del centrodestra, oppure no?

Queste potrebbero essere le intenzioni, ma è chiaro che le decisioni non le si prendono da soli. In Libano, in particolare, le regole d’ingaggio sono determinate dalle Nazioni Unite e non dall’Italia. Per quanto riguarda l’Iraq, non credo che sia possibile rischierare le truppe dopo averle ritirate, è troppo difficile anche organizzativamente. Tutt’al più l’Italia potrebbe intensificare il suo ruolo nell’addestramento militare dell’esercito iracheno, mentre è probabile che il nuovo governo sarà più disponibile ad accogliere le richieste americane per quanto riguarda un diverso impiego del contingente in Afghanistan, anche per quanto concerne le regole d’ingaggio.

Inviando anche le truppe al sud, nelle zone in cui la battaglia con i talebani è più cruenta, come chiedono gli americani?

E’ possibile, se ci sarà una rotazione dei contingenti. Ad oggi infatti gli unici ad essere impegnati davvero in prima linea sono gli americani, gli olandesi, gli inglesi e i canadesi.

Nelle trattative sul nucleare iraniano l’Italia sarà ora più intransigente?

Molto dipenderà dalla posizione francese o americana. E’ probabile che Roma si agganci alla linea dura di Sarkozy. Anche lì però l’Italia dovrà fare i conti non solo con il possibile aumento del prezzo del petrolio in caso di conflitto con Teheran, ma soprattutto con i rilevantissimi interessi economici italiani nel paese.

Quanto dipenderà la nostra politica dai risultati delle elezioni americane?

L’impatto della nuova politica estera italiana sarà determinato moltissimo dall’esito delle elezioni americane di novembre. Solo se Berlusconi avrà una sponda repubblicana, come già ha avuto in passato con Bush, la sua politica potrà essere veramente diversa da quella dell’ultimo governo Prodi. In caso contrario, con un democratico alla Casa Bianca, dovrà probabilmente mediare la sua vocazione seguendo inclinazioni di maggiore realismo internazionale, sia in chiave europea sia in chiave atlantica. Dalla campagna elettorale sembra che Obama abbia una posizione più dura e interventista di quella di Hillary Clinton sul Pakistan e l’Afghanistan, mentre il senatore dell’Illinois appare più dialogante sulla questione mediorientale, sulle forze radicali arabe, sull’Iraq e in particolare sull’Iran.

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