Giornata Internazionale delle Bambine: quando il futuro non è rosa
Antonella Vicini 29 October 2012

Per la prima volta, lo scorso 11 ottobre, le Nazioni Unite hanno celebrato l’International Day of the Child Girl, la Giornata internazionale delle bambine, per ricordare proprio le molte, troppe, situazioni di abuso, discriminazione, violenza che ancora oggi subiscono le bambine nel mondo.

Tema di quest’anno è “il matrimonio precoce”, la pratica cioè dei matrimoni prima dei diciotto anni che riguarda generalmente maschi e femmine, ma che colpisce soprattutto le ultime, in età assai prematura, talvolta ben prima dei dieci anni.

L’obiettivo, oltre al rispetto dei più basilari diritti umani, è quello di promuovere il concetto e la coscienza di uguaglianza di genere anche attraverso l’istruzione. Come sottolinea il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, “l’istruzione è una delle migliori strategie per proteggere le bambine dai matrimoni precoci”.  E allo stesso tempo, è un modo per costruire una vita migliore “per sé e le proprie famiglie”.

Girls Not Brides

“Ogni volta che lo vedevo mi nascondevo. Odiavo guardarlo”. Tehani, yemenita, parla così del suo sposo. All’epoca del loro matrimonio lei aveva soltanto sei anni, lui venticinque. Quello di Tehani è solo uno dei casi testimoniati all’Unicef, in Yemen, ma nonostante si parli molto di Asia Meridionale, i Paesi più interessati sono quelli dell’Africa Sub Sahariana.

L’organizzazione internazionale Girls Not Brides (http://www.girlsnotbrides.org/where-does-it-happen/) ha stilato una top venti guidata, infatti, dal Niger (col triste primato del 75% dei matrimoni precoci) seguito dal Ciad (72%), dal Bangladesh (66%) e poi da una sfilza di Stati centrafricani (Guinea, Repubblica Centro Africana, Mali, Mozambico, Nepal, Malawi, Etiopia, Sierra Leone, Madagascar, Burkina Faso, Eritrea, Uganda, Somalia, Zambia) fino, appena fuori lista, all’Afghanistan (39% dei casi), Yemen (32,3%), Pakistan (24%). Il contesto è sempre lo stesso: povertà, mancanza d’istruzione e discriminazioni violente fra uomo e donna.

Ed è per questo che la Giornata internazionale delle bambine nasce all’interno delle politiche legate ai Millenium Goals, fra i quali compare proprio la garanzia di un’istruzione primaria  insieme alla promozione dell’uguaglianza di genere; obiettivi a cui sono legati indirettamente anche gli altri, come il miglioramento della salute delle madri e la lotta contro all’Aids. Perché le “spose bambine” diventano molto spesso “mamme bambine” e sono esposte sia al rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili, sia al pericolo di morte a causa di maternità così premature.

Qualche dato…

Pensate a dei corpi ancora acerbi, ancora non completamente sviluppati, e provate a immaginare questi stessi corpi che portano in grembo già altre vite, mettendo inconsapevolmente in pericolo la loro: l’Unicef calcola che ogni anno, nel mondo, sono circa 50mila le giovani donne tra i 15 e i 19 anni che perdono la vita per ragioni legate alla gravidanza o al parto. Rischi che si moltiplicano, naturalmente, per chi ha un’età ancora minore, tra i 10  e i 14 anni.

Nel 2009 fece scalpore il caso della piccola Fawziya Abdullah Youssef, ragazzina yemenita di dodici anni, morta insieme al suo bambino dopo tre giorni di travaglio. Anche lei una sposa bambina nel Paese più povero del Medio Oriente.

I matrimoni precoci rispondono prevalentemente a delle norme sociali basate sulla discriminazione di genere, in contesti per lo più rurali in cui la figlia femmina non viene vista come una risorsa, ma come un fardello di cui liberarsi.

Si tratta in molti casi di una strategia di sopravvivenza economica ben tollerata socialmente: le bambine vengono allontanate il prima possibile dalle famiglie e affidate a uno sposo adulto (ma non necessariamente adulto), negando così loro non solo la possibilità di andare a scuola e di crescere con i coetanei, ma anche di vivere una vita coniugale regolare.

Non siamo lontani, seppur con le dovute differenze, a quella cultura che condanna alla morte le figlie femmine in Cina.

Ad oggi, stando alle stime diffuse dall’UNICEF, sono circa 400 milioni le donne ormai adulte (tra i 20 e i 49 anni) che in tutto il mondo hanno subito questo destino; e sebbene i numeri dimostrino che la percentuale di spose bambine sia diminuita nel corso degli ultimi trent’anni, i dati più recenti parlano ancora di una donna su tre costretta a sposarsi prima della maggiore età.

L’India è esemplare con il primato di 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni che sono state fatte sposare prima dei 18 anni, tra queste 23 milioni prima dei 15.

Dati drammatici che, secondo il Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA http://www.unfpa.org/public/home/publications/pid/12166), sono destinati a salire drammaticamente nei prossimi dieci anni: le previsioni parlano di 14,2 milioni di spose bambine tra il 2011 e il 2020 che diventeranno 15,1 milioni nella decade successiva.

Asia, Europa, Africa: un mercato fiorente

Al di là del tema di questo primo International Day of the Child Girl, le bambine sono vittime designate anche della tratta di essere umani.

Protagonista, in negativo, è ancora una volta l’India dove ogni anno arrivano tra le 5mila e le 7mila ragazzine nepalesi da mandare a lavorare nei bordelli di Bombay e Nuova Delhi. Mentre in Tailandia, ben nota per essere la terra della prostituzione minorile, gli sforzi del governo per fermare questo fenomeno si sono tradotti in un intensificarsi dei traffici provenienti dal Myanmar, dalla Cina meridionale, dal Laos e dalla Cambogia.

Senza andare troppo lontano, anche nella civile Europa ogni anno circa 120 000 tra donne e bambini, provenienti dalla parte orientale e sudorientale del Vecchio Continente, vengono vendute ai paesi della zona occidentale. Qui i dati si mescolano ed è difficile risalire a un computo preciso. Ciò che è chiaro è che le ragazzine a partire dai dodici anni vengono avviate alla prostituzione; le più piccole (ma con loro ci sono anche maschietti) sono costrette invece a mendicare e a rubare.

A poco più di tre ore di volo dall’Italia esiste, invece, un altro commercio che attrae non poco i ricchi uomini del Golfo.

In Egitto, le centinaia di migliaia di ragazzini di strada rappresentano un ricco bacino (i dati citati dal Dipartimento di Stato Usa in un report (http://www.state.gov/j/tip/rls/tiprpt/2012/192366.htm) sul traffico di esseri umani parlano di cifre variabili tra i 200mila e 1milione) in cui trovare bambine da vendere a uomini facoltosi provenienti da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait per i cosiddetti “matrimoni temporanei” o “matrimoni estivi”: unioni che durano alcune settimane, giusto il tempo di abusare sessualmente delle minorenni e di utilizzarle anche per i lavori domestici. Ad officiare il rito di vendita sono a volte le donne della stessa famiglia o intermediari.

Il Cairo, Alessandria e Luxor sono i luoghi principali di questi traffici, ma l’Egitto è la meta designata anche per le donne e le bambine provenienti dall’Asia e dall’Africa Sub Sahariana, incluse migranti e rifugiate, che vengono avviate al mercato della prostituzione.

L’UNICEF stima che in tutto il mondo, ogni giorno, tremila bambini finiscano nelle mani  dei trafficanti di essere umani. Secondo l’Oim i guadagni derivanti da questo tipo di commercio si aggirano tra i sette e i dieci miliardi di dollari l’anno.

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