Il quinto presidente americano (Da quando c’è Mubarak)
Federica Zoja 7 November 2008

Il Cairo, Egitto

“Obama fonderà i nuovi Stati Uniti”, “Obama sul trono d’America”, “Vittoria storica di Obama”. Questi sono solo alcuni dei titoli con cui la stampa egiziana ha salutato l’elezione del 44esimo presidente statunitense, il 47enne Barack Hussein Obama, lo scorso 4 novembre: al pari delle testate europee ed asiatiche, anche i mezzi di comunicazione del Cairo hanno accolto con entusiasmo l’avvenimento, sottolineandone la valenza storica. E talvolta sfruttandone la carica democratica come cartina di tornasole delle falle del sistema politico locale: “Il primo presidente nero alla Casa Bianca e il quinto presidente americano dall’arrivo di Mubarak al potere”, ha denunciato il quotidiano indipendente Al Dustour (La Costituzione) con lucido pragmatismo. Come a dire, mentre la Repubblica araba d’Egitto si avvia a diventare una monarchia – con il presidente Hosni Moubarak sovrano totalitario dal 1981 e il figlio minore Gamal pronto a succedergli in occasione delle elezioni presidenziali, nel 2011 – gli Stati Uniti continuano a stupire per la loro capacità di voltare pagina.

Allo stesso tempo, c’è chi non nasconde dubbi e, talvolta, scetticismo: “Obama sarà con noi o contro di noi?”, scrive il periodico Rose El Youssef, dando voce al sentire comune, alle attese delle persone qualsiasi. Il dubbio amletico che abita i commentatori arabi in queste prime ore dal risultato è quello di capire se si sia trattato di un voto davvero pro Obama – e quindi di adesione al suo progetto – oppure di un voto contro Bush. Questo e altri spunti di riflessione animano le discussioni sui giornali, in tv e su Internet. L’elezione di Obama ha monopolizzato la programmazione televisiva, con approfondimenti giornalistici e pronostici – a volte, più auspici – rispetto alla futura piattaforma di politica estera di Washington. La parola d’ordine è “non guardare a ciò che di negativo è successo in passato”, ha commentato Nabil Fahmi, già ambasciatore egiziano negli Stati Uniti, ospite di “Dietro gli avvenimenti”. Gli ospiti dell’emissione “Buongiorno Egitto”, invece, hanno invitato l’opinione pubblica araba a fare “prova di pragmatismo”, non aspettandosi “cambiamenti spettacolari”.

Ma Obama ha dalla sua il colore della pelle – e quindi, forse, una maggiore sensibilità verso le problematiche del continente africano – e un Dna religioso in parte islamico, ribadito dal nome. In lui, il quotidiano governativo Al Gomhurria (La Repubblica) vede l’erede politico di Martin Luther King, ma sospende il giudizio fino a quando il nuovo presidente si dovrà occupare di processo di pace in Medio Oriente. Il popolo dei diari in rete, i blog, non stenta a definire Obama un simbolo: simbolo di rinnovamento, di melting-pot culturale – grazie alla sua originale storia familiare – e anche di capacità autocritica degli americani: “Rispetto il popolo americano perché ha il fegato di riconoscere di essersi sbagliato negli ultimi 8 anni e che è il momento di porre rimedio agli errori”, scrive il blogger Mohaly.

Intanto, l’inequivocabile verdetto delle urne americane anima le discussioni del cittadino medio, al pari del primo discorso di Obama, trasmesso quando in Europa e Nord-Africa erano da poco passate le 5 di mattino: “Non sono americana, vivo qui in Egitto, eppure sentirlo parlare di diritti e uguaglianza davanti a quella folla – riferisce Iman, docente di arabo in una scuola per stranieri – mi ha fatto venire i brividi”. “Se Dio vuole è in arrivo la pace in Medio Oriente”, commenta, rivolgendo lo sguardo al cielo, Sadeya, proprietaria di una lavanderia nella capitale egiziana. “Ha vinto Obama”, scandisce il giornalaio Ali consegnando ai clienti mattinieri i quotidiani appena arrivati. E anche la domanda “Entu amricaniin?”, siete americani?, negli ultimi anni rivolta con sospetto e rabbia agli stranieri, si è finalmente liberata del suo peso funesto, per riacquistare sfumature neutre, se non rosee. Da martedì scorso, essere americano in Medio Oriente non è più un handicap.

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