La Turchia dopo la sentenza della Corte Costituzionale
Andrew Arato 12 September 2008

La Corte Costituzionale turca ha preso la sua decisione più importante. Il partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) non verrà messo al bando. È la decisione giusta, anche se multare il partito per attività apparentemente anti-laiche è stato legalmente discutibile e politicamente inutile. In quanto una delle pochissime persone che credevano che la decisione del 4 giugno, che annullava gli emendamenti agli articoli 10 e 42 della Costituzione (emendamenti riguardo al velo), implicasse logicamente che, questa volta, non ci poteva essere la chiusura di alcun partito, anche contro il peso della storia, mi sono sentito sollevato, specialmente perché questo tipo di azione sarebbe stata antidemocratica e ingiusta.

Ma sono sorpreso del fatto che molti oppositori ottimisti e sostenitori pessimisti dell’AKP sembrano agire come se il partito fosse stato chiuso. Parlano della restaurazione di un regime di tutela o dominato dallo Stato, che mette l’AKP in una camicia di forza, nella quale sarebbe incapace di fare qualsiasi cosa, soprattutto innovazione costituzionale. Né la parte sbagliata (ma piccola) della decisione della Corte, né la situazione politica odierna, né le opzioni possibili in questo caso giustificano una simile interpretazione. Ma la risposta non sta nemmeno nel tentativo dell’AKP di ritornare semplicemente alla situazione immediatamente precedente al lancio del caso della chiusura del partito da parte del procuratore capo della Corte Suprema, e l’aperta crisi costituzionale di marzo. Sebbene esso non si trovi in una camicia di forza, sia la decisione del 4 giugno sia quella della Corte Costituzionale sono simboli dei limiti alle azioni del governo e il limite è rappresentato dal consenso, un termine sfortunatamente deriso da alcuni intellettuali sostenitori dell’AKP. Il progetto d’innovazione democratica deve andare avanti e l’unica strada per farlo è quella degli emendamenti costituzionali, anzi preferibilmente una nuova costituzione. Ma in una società divisa ciò può avvenire, dove non c’è rivoluzione politica, solamente attraverso un approccio altamente consensuale.

Molti sostenitori dell’AKP sembrano credere che sia possibile fare a meno del consenso. Ma la loro concentrazione solo sul Partito Repubblicano del Popolo (CHP) e sul rifiuto delle proposte provenienti dalle associazioni civili come TÜSIAD, l’associazione degli industriali che ha richiesto una convenzione costituzionale con entrambi i partiti e con l’intervento della società civile, risulta egoistica, al servizio del sistema maggioritario e di una comprensione parlamentare ristretta del processo costituente. Quanto al CHP, sembra che si stia facendo coinvolgere troppo, con i suoi recenti attacchi all’esercito, per cosa, poi: intraprendere negoziazioni consensuali con il proprio governo!

Sembra che le negoziazioni e l’accordo siano possibili con l’elite kemalista (come succedeva con il CHP) quando vengono coinvolti altri protagonisti oltre ai rappresentanti odierni. Ricostruite in questi tre anni, nemmeno le azioni dell’elite giudiziaria sembrano seguire coerentemente una linea dura. Nonostante la decisione contraria all’AKP rispetto alla questione del velo, la Corte Costituzionale ha appoggiato i suoi emendamenti precedenti nei casi riguardanti l’elezione diretta del presidente, la riduzione della durata parlamentare e i requisiti per il quorum. E ora la Corte è stata gravemente divisa (6 a 5) sulla questione della chiusura del partito. Solamente 6 degli 11 membri sembrano essere irriducibili incapaci di compromessi, ma questa proporzione può cambiare e lo farà. Il pubblico ministero e i giudici che conducono il processo contro Ergenekon sembrano essere fatti di tutt’altra pasta, molto più professionale.

A ogni modo, l’ipotesi che il consenso e il compromesso siano possibili conduce all’azione all’interno della situazione odierna, così come l’opposto porta all’impotenza o ad atti disperati che ributterebbero solamente la Turchia nella crisi costituzionale. Quindi, cosa dovrebbe fare l’AKP? A New York, il 3 marzo, durante una conferenza prima del caso della chiusura del partito, quando io già segnalavo le possibili conseguenze di un approccio maggioritario durante la realizzazione della Costituzione, il Signor Dengir Mehmet Firat, vice presidente dell’AKP e presidente di un comitato del partito riunitosi per una nuova costituzione, mi chiese di elaborare una formula per il consenso poiché il CHP (e forse i kemalisti) non ne erano capaci. Quello che farò, semplicemente, sarà rinnovare il mio discorso fatto allora, solamente rafforzato da quanto è accaduto in questi mesi. Anche se un compromesso costituzionale fra i tre partiti del governo odierno (dopo la società civile e la consultazione dei lavoratori) non è possibile, l’AKP non dovrebbe andare avanti cercando semplicemente di far passare la sua proposta costituzionale, usando i 3/5 della maggioranza, la firma presidenziale più un referendum (una delle vie legali possibili secondo l’articolo 175).

Il lavoro della commissione di Ozbudun dovrebbe essere protetto – comunque nel modo più legale possibile, poiché la proposta del partito per una nuova costituzione non dovrebbe essere introdotta con forza. Come si sono accorti anche gli opinionisti, si dovrebbero indire nuove elezioni mentre l’AKP potrebbe e dovrebbe fare campagna sulla sua proposta costituzionale. Se vince, dovrebbe andare avanti con il progetto e allo stesso tempo cercare di ricostituire le vecchie Commissioni per l’accordo tra i partiti che ebbero così successo nell’emendare la costituzione tra il 1995 e il 2001. Sfortunatamente, esiste il grande vero pericolo che, con il 10% della vigente legge elettorale, un parlamento, poi eletto, possa ricalcare quello attuale o addirittura, dato l’attacco del CHP all’esercito e anche il suo comportamento imprevedibile, che esso sarebbe semplicemente un governo bipartitico, assolutamente il tipo sbagliato di struttura per fare una costituzione. Molti partiti, che insieme rappresentano forse il 40-50% dell’elettorato, potrebbero essere esclusi (più o meno il tipo di parlamento bipartitico del 2002 e quello a tre partiti del 2007). Questa prospettiva farebbe felice l’AKP, se esso desidera tornare sulla strada maggioritaria che è già fallita. Se, comunque, spera di rifondare la Repubblica con una nuova costituzione consensuale, dovrebbe fare qualcosa riguardo alla possibilità di un risultato elettorale altamente sproporzionato, prima che sia troppo tardi.

L’alternativa sarebbe quella di cambiare la legge elettorale, abbassando fortemente la soglia, cosa che richiederebbe un emendamento costituzionale, se si dovesse applicarlo alle prossime elezioni. Questo tipo di emendamento non sarebbe solo costituzionale ma anche nell’interesse delle forze laiche che desiderano essere rappresentate da altri partiti rispetto all’ormai ridicolo CHP. Le nuove forze di centrosinistra e quelle di centrodestra potrebbero essere ansiose e capaci di competere, se la soglia venisse rimossa. Se questo tipo di emendamento non fosse possibile prima delle prossime elezioni, allora l’AKP potrebbe dichiarare immediatamente che, durante la successiva sessione parlamentare, si impegnerà a usare una commissione costituzionale ingrandita facendo accettare ciò all’ex commissione parlamentare e acconsentirà a rappresentanti di tutti i partiti che, alle elezioni, abbiano superato la soglia del 3-4% (più bassa la percentuale, tanto meglio). Ovviamente, si dovrebbe trovare una regola di decisione per questa commissione allargata, che darebbe a tutti i partecipanti una voce reale, preservando gli interessi legittimi della maggioranza che comunque è sorvegliata dal voto finale parlamentare necessario a far passare legalmente una costituzione.

E questo mi porta all’ultima importante questione. La Turchia non sta avendo una rivoluzione politica anche se la nuova costituzione che dovesse avere rimpiazzasse completamente il suo regime dualistico con una democrazia costituzionale. Perciò, anche la nuova costituzione dovrebbe passare come un emendamento alla vigente, che è quella del 1982, usando il suo articolo 175 e prendendo in considerazione le clausole immutabili (articolo 1, 2 e 3, consolidati dal 4). Ciò significa, come è successo con la decisione del 4 giugno, che la nuova costituzione della Turchia potrebbe aver bisogno di essere fatta sotto la supervisione della Corte Costituzionale. Un tale fenomeno non sarebbe nuovo come molti turchi immaginano; recentemente, nel 1996, la Corte Costituzionale sudafricana ha usato i propri poteri per dichiarare una costituzione fatta da un’assemblea costituzionale (in parte) non costituzionale. Questo potrebbe succedere in Turchia, perché a causa di quegli articoli immutabili la sua Grande Assemblea Nazionale non è un’assemblea costituente suprema. È importante che l’approccio consensuale riesca a neutralizzare quei protagonisti politici importanti che potrebbero fare appello alla Corte Costituzionale per rivedere la costituzionalità degli emendamenti: stando all’articolo 148, solo il presidente o 1/5 dei deputati può farlo, e la Corte non può iniziare una revisione da sola. Dato il caso incredibile dell’emergenza di una costituzione consensuale, e l’opposizione di 1/5 dei deputati, sarà anche importante prendere in considerazione le opinioni e gli interessi della Corte Costituzionale, che si concentrerebbe maggiormente sui suoi interessi istituzionali.

In breve, una corte combatterebbe soprattutto contro la diminuzione della sua propria autorità. E io sarei d’accordo, non solo per questioni di pragmatica ma anche di principio. In una società in cui ci sono delle divisioni così nette su problemi rappresentativi e culturalmente esplosivi, potrebbe essere un’ottima idea quella di abbandonare il solito procedimento e togliere tali questioni dal processo politico dove, in ultimo, in caso di disaccordo, esse conducono a violenti confronti e alla soppressione dei deboli, minoranza o maggioranza. Pertanto, mentre a me piacerebbe dare un significato più preciso al secolarismo e al repubblicanesimo in una nuova costituzione, non toglierei queste clausole dalle parti immutabili della Costituzione, come ha cercato di fare una fazione dell’AKP, molto disponibile con me. Infatti, vorrei aggiungere alcuni diritti fondamentali alle clausole immutabili, anche se questo aspetto rafforza inevitabilmente la Corte Costituzionale. Naturalmente sarebbe rischioso rafforzare corti che sono costituite e nominate in questo modo.

Una nuova sintesi costituzionale ha la possibilità di emancipare ulteriormente la magistratura turca, così come la Corte Costituzionale dall’antico sistema dualistico, in poche parole, più elezioni di cariche professionali da parte di giudici più professionali e maggiore supervisione e responsabilità. Ma così emancipate, le corti potrebbero ottenere spazi ulteriori per il compromesso e anche per l’innovazione. Che una cosa sia possibile, è risultato chiaro dall’ultima decisione della Corte Costituzionale turca, un segnale della sua parziale, non ancora completa, evoluzione, da guardiano dello stato a guardiano della Costituzione.

Traduzione di Federica Campoli

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