La memoria collettiva araba tra vendetta, giustizia e riconciliazione
Brahim El Guabli 14 September 2011

Questi giorni sono un momento di svolta nella storia degli Arabi. È un periodo oscuro nel quale non si riesce a distinguere il genuino dal corrotto, i ribelli dagli opportunisti. Abbiamo scoperto che alcune persone del “vecchio regime” cambiano alleanza più velocemente dei calzini. Quanti funzionari della dittatura – che hanno contribuito a darle forma in ragione delle posizioni chiave ricoperte nel passato – sono diventati “ribelli” nel giro di una notte solo perché hanno defezionato a favore del campo opposto? Si tratta di una tradizione estremamente dannosa che potrebbe essere letale per la costruzione di una reale democrazia nel mondo arabo. I funzionari della dittatura non possono costruire una democrazia perché essi senza dubbio lavoreranno dall’interno per stabilire una dittatura più forte di quella che hanno servito e perduto.

Questa è un’importante introduzione alla delicata questione della memoria collettiva araba, specialmente con la caduta del regime di Gheddafi e l’inizio del processo a Mubarak. I disaccordi non mancano tra coloro che cercano vendetta e coloro che vogliono vedere giustizia e riconciliazione. Per coloro che cercano giustizia, quest’ultima è la maggiore garanzia che questi Paesi sono pronti ad entrare nell’era della costruzione della nazione e delle istituzioni e, quindi, dell’instaurazione di una genuina democrazia. La vendetta è più dannosa della dittatura stessa perché soffierà semplicemente sulle fiamme del rancore e farà deragliare le rivoluzioni dal loro iniziale obiettivo della costruzione dello Stato e della democratizzazione.

Non possiamo dissociare vendetta, giustizia e riconciliazione dalla memoria collettiva. Quest’ultima è stata sempre circondata da un acceso dibattito, non solo perché riguarda il passato, ma anche perché riguarda il presente e il futuro. La memoria si affida al ricordo e noi tendiamo solitamente a ricordare gli avvenimenti per servire ai nostri obiettivi nel presente. Perciò parlare di memoria collettiva è sempre spinoso e carico di conflitti. Quelli che riescono a imporre la loro versione della memoria, riescono anche a imporre la loro versione della storia e perciò decidono chi si addossa le responsabilità negative, simboliche e storiche, del passato. Da quando la stretta morsa delle dittature arabe sulla memoria collettiva delle popolazioni si è allentata (se non è totalmente finita), gli Arabi si sono trovati faccia a faccia con la prova della memoria collettiva e delle sue implicazioni per la costruzione delle istituzioni, dello stato di diritto, i diritti umani e il risarcimento per tutti i tipi di violazioni individuali e collettive dei diritti umani inflittegli durante il defunto periodo dittatoriale. Le rivoluzioni non sarebbero complete senza la definizione delle responsabilità storiche e simboliche per le violazioni del passato. È un importante passo in avanti verso la riconciliazione con il passato. Riconciliazione non significa oblio, ma innalzamento delle nostre memorie al livello di eredità nazionale cosicché la ripetizione di queste dolorose violazioni sarà evitata in futuro.

La grande domanda ora è: come affrontare l’eredità di una memoria collettiva araba ferita dopo le rivoluzioni? Basta la vendetta a riconciliare le persone con il loro passato o la giustizia dovrebbe fare il suo corso e solamente tramite essa può essere raggiunta la riconciliazione? Per quanto riguarda le commissioni di riconciliazione che hanno operato in diversi Paesi e sono riuscite a stabilire dei precedenti che posso inspirare gli Arabi a fare i conti con il proprio passato collettivo?

I periodi di transizione sono molto delicati in tutte le storie delle popolazioni, e tutte le atrocità sulla Libia che abbiamo guardato e di cui abbiamo letto, che guarderemo e di cui leggeremo, sono solo una manifestazione della rabbia profonda che ha covato nei cuori e nelle menti delle persone per più di quarant’anni a causa della presa “ferro e fuoco” di Gheddafi sul potere. È normale che le persone abbiano conti da saldare con il vecchio regime e i suoi accoliti. Inoltre, le richieste provenienti da ampi settori della società egiziana di linciare Mubarak mostrano quanto questi sia disprezzato e quanto dolore abbia inflitto alla popolazione egiziana durante il suo governo trentennale. Ad ogni modo, all’opposto di queste voci cariche di vendetta, abbiamo sentito anche decisi sostenitori di una giustizia trasparente e equa. La giustizia, ai loro occhi, è il modo più civile per mostrare la maturità per la transizione in uno Stato democratico dove regni lo stato di diritto. Il ricorso alla giustizia e l’organizzazione di giusti processi per i dittatori e i loro accoliti permetteranno alle popolazioni di conoscere la verità sui loro lunghi anni al potere. La giustizia è l’unica salvaguardia per gli Arabi di fare i conti con il loro passato doloroso, ma soprattutto di mandare un fermo messaggio a chiunque governerà in futuro che i crimini nei confronti della popolazione non resteranno impuniti.

La riconciliazione viene solo dopo la giustizia e non può sostituirla. La riconciliazione è vitale nei periodi di transizione e ci sono tre esempi di Paesi che sono riusciti a fare i conti completamente o parzialmente con la loro memoria collettiva all’interno di una cornice di concordia nazionale sensibile alla salvaguardia della memoria collettiva, documentando i crimini del passato, risarcendo i danni e fornendo sostegno alle vittime della dittatura. Questi esempi, malgrado i loro limiti e il disaccordo di molte delle vittime, possono servire come modelli per il nuovo mondo arabo nella sua ricerca di riconciliazione:

• la Commissione di Equità e Riconciliazione (IER) in Marocco. È stata creata nel 2004 per risarcire le violazioni collettive dei diritti umani e per la riabilitazione delle vittime dei cosiddetti “anni di piombo” marocchini (1958-1999). È la prima commissione di questo tipo in un Paese arabo. Ha cercato di risolvere completamente la questione delle sparizioni politiche forzate e delle detenzioni arbitrarie, e di provvedere a risarcimenti economici per le vittime. Malgrado il suo importante lavoro, durante la presidenza di Driss Benzakri, l’IER è stata al centro di violente critiche da parte delle vittime che pretendevano la persecuzione dei loro torturatori.

• La Commissione di Verità e Riconciliazione in Sud Africa. Quest’ultima fu creata nel 1995 per indagare sulle violazioni dei diritti umani durante il regime di apartheid. La commissione ah ascoltato le vittime, ha documentato i crimini perpetrati contro di loro e ha animato un dibattito nazionale sulle atrocità dell’apartheid. Alle vittime non è stata concesso alcun risarcimento economico ma esse non hanno rinunciato al loro diritto di portare i loro torturatori davanti alla giustizia.

• La Commissione Nazionale sui Desaparecidos in Argentina. Creata nel 1983 e “incaricata di indagare sulla scomparsa di persone tra il 1976 e il 1983 e di scoprire tutti i fatti inerenti quei casi, inclusa la localizzazione dei corpi”. Nel 2004 è stato previsto un risarcimento economico per le vittime di detenzioni illegali tra il 1976 e il 1979. Le vittime di questo periodo hanno mantenuto anche il loro diritto a perseguire i loro torturatori.

Oltre a indagare sui crimini commessi dagli apparati di Stato nel passato, identificare le vittime e garantire loro risarcimenti economici, queste commissioni hanno rivolto delle raccomandazioni molto importanti alle rispettive leadership politiche affinché consolidino l’edificio istituzionale, assicurino le loro nascenti democrazie e garantiscano che queste violazioni non si ripeteranno. Malgrado i loro limiti, queste raccomandazioni rimangono un documento storico molto importante per capire il passato di queste società e conoscere meglio le loro memorie collettive nazionali. Questi tre esempi possono servire come punto di partenza per le nazioni arabe nel loro cammino verso il pluralismo politico e una cittadinanza responsabile basata sui valori della giustizia, della verità e della rottura totale con il tribalismo e l’odioso settarismo che non porterà mai alla giustizia, e non contribuirà alla transizione degli Arabi verso uno Stato civile, democratico e moderno.

Ora che i processi nei confronti dei dittatori sono in corso, almeno in Egitto, è importante che i progetti di riconciliazione nazionale vengano implementati al fine di ricostruire la memoria collettiva nazionale. Un passo importante per le popolazioni arabe per liberarsi dalle catene del loro passato doloroso. Giudicare i dittatori spodestati dovrebbe essere una priorità senza vendette o compiacimenti. Dovrebbe essere visto come un supremo dovere nazionale per preservare la memoria collettiva e commemorare coloro che hanno sacrificato le loro vite sull’altare della libertà nella loro lotta contro la dittatura. La vendetta non può costruire uno Stato moderno, solo attraverso un dialogo nazionale globale una nazione può fare i conti con la propria storia. Perciò, aprire gli archivi della corruzione, smembrare gli apparati dell’oppressione, trasformare i loro quartier generali in musei, costruire monumenti per le vittime, aprire i microfoni delle televisioni alle persone perché parlino e ricordino gli eroi della liberazione sono tutte azioni simboliche che dovrebbero essere intraprese dal nuovo ordine al fine di mantenere viva la speranza di una nuova cultura e un nuovo ordine trasmessi al mondo arabo dalle rivoluzioni. Ultima cosa, ai dittatori dovrebbero essere garantiti i processi più giusti anche se essi hanno rifiutato di accordarli ai loro oppositori nel passato. È importante voltare pagina e ricominciare da capo senza dimenticare le atrocità della dittatura.

Traduzione di Salvatore Corasaniti

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