“Quella maggioranza invisibile di musulmani moderati”
Intervista a Ezhar Cezairli, membro laico della Islam Konferenz 4 June 2007

A quali risultati ha portato la Conferenza islamica tedesca?

La Conferenza islamica non è una pagina chiusa, bensì un processo che si dipana tuttora. E, come ha affermato il ministro dell’Interno Wolfgang Schäuble, potrebbe protrarsi per altri due anni. Ancora non vediamo risultati tangibili, ma possiamo dire di avere incassato una vittoria: siamo riusciti a fare dialogare i rappresentanti del governo con parte della comunità musulmana. Non è, va da sé, che un piccolo successo, ma è importante ricordare che la conferenza islamica ha avviato anche un dialogo tra gli stessi musulmani. Che sono parte di una comunità affatto omogenea, bensì dominata da una profonda diversità, tante sono le posizioni riguardo come l’Islam debba essere vissuto.

In che misura coloro che hanno preso parte alla Conferenza sono rappresentativi della comunità tedesco-musulmana?

Abbiamo avuto 5 rappresentanti di gruppi organizzati, e altre 10 personalità presenti a titolo individuale, ossia non appartenenti ad alcuna organizzazione. Personalità rappresentative, come la sottoscritta, di molteplici realtà sociali. Anch’io, naturalmente, sono un’immigrata. Il mio è un passato di immigrazione. Eppure, non faccio parte di alcuna organizzazione islamica. Al contrario, mi considero rappresentante dei musulmani laici e liberali.

La sua risposta, dunque, è “sì”.

Certamente. Perché affermare il contrario, d’altronde? È evidente che conferenze come questa non possono dare voce a ogni singolo musulmano, e va pure detto che il grosso dei rappresentanti islamici presenti era di origini turche (su un totale di 3,3 milioni di musulmani in Germania, credo che più dell’80 per cento provenga dalla Turchia). Ma si è registrata anche la partecipazione di rappresentanti iraniani, afghani e siriani. Credo, quindi, che vi sia stato un confronto positivo, sebbene i risultati della conferenza siano tutti da scoprire. Dopo la prima conferenza pubblica di settembre, svoltasi in presenza degli organi di stampa, si è organizzata una serie di gruppi di lavoro, con cadenza bimestrale, mirati alla discussione di precise tematiche. In occasione di questo secondo incontro, però, ho personalmente provato una certa delusione: i gruppi organizzati hanno usato la conferenza per mettersi in risalto, e dimostrare quanto siano presenti e importanti. Si è vista, inoltre, la partecipazione di un gran numero di musulmane coperte dal velo, ciò che non si era registrato nella prima conferenza. I membri della Conferenza sull’Islam non portano il velo; tutte le altre donne presenti in qualità di auditrici (e solo i gruppi organizzati hanno avuto ospiti al seguito), però, lo indossavano. Un’immagine che – temo – ha dominato la cornice generale. E che non ho apprezzato.

Quali sono gli obiettivi più impellenti relativamente all’integrazione della comunità musulmana in Germania?

Ottima domanda. In occasione dell’ultimo incontro, difatti, le problematiche relative all’integrazione sono state circoscritte alla religione, la quale – a mio avviso – non è l’esclusiva fonte dei problemi. Problemi la cui radice, difatti, va ravvisata nelle sfide culturali e sociali del nostro tempo, e in una realtà per cui i figli di immigrati non godono delle stesse opportunità concesse ai loro compagni di scuola: né i genitori, né la loro famiglia in genere sono nelle condizioni di aiutarli nelle difficoltà riscontrate a scuola. È per tale ragione che lo Stato – e la società tedesca in genere – sono chiamati a prestare loro aiuto, garantendolo loro pari opportunità con l’introduzione, ad esempio, di misure speciali volte a favorire la conoscenza della lingua del Paese ospitante, un più facile apprendimento e, di conseguenza, migliori performance scolastiche. Ci aspettano, come si vede, grandi sfide. Quella su cui, a mio avviso, occorre insistere in modo particolare corrisponde alla garanzia, a chi nasce in Germania da genitori immigrati, delle stesse opportunità concesse ai figli di cittadini tedeschi. Tutti devono crescere in società sentendosi parte integrante della stessa, e ciò può avvenire solo grazie all’integrazione sociale. È questo, a mio parere, il principale problema. Dopo i fatti dell’11 settembre a New York, tutto è stato circoscritto alla religione. Né condivido l’idea per cui vi sarebbero i musulmani da un lato, e i buoni cristiani dall’altro. Non è possibile operare divisioni così arbitrarie, perché i musulmani non sono tutti uguali. Per raggiungere l’integrazione, occorrono molti più sacrifici. Non dobbiamo permettere che le varie organizzazioni islamiche attirino a sé i più giovani per indottrinarli al proprio credo. Dovrebbe essere lo Stato, piuttosto, ad aiutarli. Molto spesso, tali organizzazioni vanno a colmare un vuoto, nel momento in cui sostengono le giovani generazioni. Cui tuttavia, oltre al proprio aiuto, impongono anche la loro ideologia. È questo il problema.

Chi si sta maggiormente adoperando per favorire l’integrazione, lo Stato tedesco o le comunità musulmane?

Nel nostro ultimo incontro, lo Stato tedesco ha svolto un ruolo assai proficuo e positivo. Si è compreso che non c’è alternativa: dobbiamo assolutamente riuscire nell’obiettivo dell’integrazione, altrimenti saremo destinati ad avere eternamente una società parallela. Ciò che emerge con ancora maggiore chiarezza se si guarda al trend demografico di qui a 10-20 anni, quando i due terzi della popolazione scolastica e giovanile proverranno da famiglie islamiche e di immigrati. Vale forse la pena di rimarcare, inoltre, che la conferenza islamica avrà realizzato la propria missione quando tutti i partecipanti, compresi i gruppi islamici organizzati, arriveranno a condividere i cosiddetti “valori universali”, come quelli sanciti nei sistemi democratici liberali, e converranno sul modo in cui gli individui devono vivere in società. Uno dei principali problemi è legato all’istruzione: si rivendica una separazione delle classi in base al sesso, specie durante le ore di educazione fisica. Un’idea che a noi musulmani moderati non piace. Tutto ciò nulla ha a che fare con la religione: anch’io sono islamica, anch’io sono musulmana, ma non ho mai caldeggiato – né lo farò – classi ripartite in base al sesso.

La comunità musulmana, quindi, non sta facendo abbastanza…

Non mi riferisco alla comunità musulmana in generale. Credo che la maggioranza della popolazione turca o musulmana sia sufficientemente integrata. Il problema è che gode di scarsa visibilità sulla scena pubblica, e non emerge sul resto della società. C’è invece un altro gruppo che è fonte di enormi problemi, giacché riesce sempre a farsi notare grazie, ad esempio, al particolare abbigliamento. Ciò fa sì che quest’ultima categoria venga identificata con i musulmani.

I media, dunque, attribuiscono loro eccessiva importanza?

Proprio così, si tratta di gruppi sovra-rappresentati. E che non riflettono la maggioranza perché, parlano i numeri, i gruppi organizzati corrispondono al 15 per cento su un totale di 3,3 milioni di musulmani. La maggior parte dei musulmani non fa parte di alcun gruppo organizzato. Eppure, tali organizzazioni riescono diffusamente a fare parlare di sé, e rivendicano un trattamento speciale perché – dicono – “Siamo musulmani, e abbiamo valori diversi”.

I musulmani, dunque, sono in prevalenza moderati.

Sì, sono di questo parere. I moderati, però, hanno una pecca: non sono organizzati.

Esiste uno speciale modello d’integrazione tedesco, diverso da quello francese o britannico?

I tedeschi sono probabilmente fortunati. I musulmani presenti in Germania, difatti, sono in prevalenza di origini turche. E in Turchia, almeno finora, politica e religione sono sempre state ben distinte, come sancito anche dalla Costituzione. La popolazione di quel Paese vede tutto ciò come qualcosa di naturale. Non così in Gran Bretagna e in Francia, dove la maggior parte dei musulmani non è di origini turche, bensì proviene per lo più dai Paesi arabi. È, questo, un aspetto cruciale. Naturalmente, però, i recenti sviluppi in Turchia danno adito a qualche preoccupazione. Aleggia il timore che, in quel Paese, venga meno la separazione tra politica e religione, data la scarsa laicità che contraddistingue l’ultimo governo. Il che può avere ripercussioni anche sui musulmani tedeschi.

Il giornalista ed esperto d’Islam Jörg Lau ha scritto su Die Zeit che Schäuble sta facendo per i musulmani molto più del governo rosso-verde. Condivide questa tesi?

A mio parere, anche il governo rosso-verde non ha messo a segno vittorie importanti, perché si è dimostrato troppo tollerante nei confronti di alcuni soggetti o gruppi musulmani. Lo dimostra il caso – ed è esempio calzante – del “Califfo di Colonia”, che godeva dell’appoggio del governo rosso-verde e divenne personaggio tanto potente da ottenere la cittadinanza tedesca. L’uomo non si era mai integrato nella società europea, tanto meno nella moderna società tedesca. Ciò nonostante, gli fu concessa la cittadinanza, e si è lasciato che egli coltivasse i suoi gruppi di seguaci e un’ideologia di opposizione ai principi democratici e liberali. Ecco perché, a mio parere, anche il governo precedente ha in parte fallito. Dobbiamo sapere aspettare. Non so dirle se Schäuble riuscirà o meno nei suoi intenti; certo è, tuttavia, che egli si sta adoperando un po’ di più rispetto ai suoi predecessori. Ma, ripeto, non è ancora dato sapere con precisione quali esiti tutto ciò sortirà. C’è un altro importante aspetto da rimarcare, ovvero lo speciale rapporto, in Germania, tra Stato e Chiesa. Che dà vita a una realtà diversa, per dire, da quella francese o britannica. I gruppi musulmani ne sono consapevoli, ed è in ragione di ciò che esigono lo stesso rapporto e status giuridico garantito alle altre Chiese. Perché? Perché conoscono i vantaggi che ne deriverebbero, ma anche perché auspicano semplicemente un pari trattamento. Si dà il caso, però, che l’Islam non sia organizzato come il cristianesimo: noi, ad esempio, non abbiamo un Papa. Così, in linea generale, l’Islam è molto più liberale, giacché nessuno dovrebbe interporsi tra il singolo musulmano e Allah, e nessuno Stato tedesco o istituzione islamica organizzata dovrebbe dirci come vivere.

Perché, allora, si rivendica lo stesso status giuridico e sociale?

Perché aumenterebbero le risorse erogate dallo Stato, ovviamente. Più soldi: questa, in sostanza, la motivazione. A ciò si aggiunga l’assai maggiore influenza che gli stessi gruppi giungerebbero a esercitare sulle rispettive comunità. Le faccio un esempio: una volta ottenuto un pari status giuridico, si potrebbero organizzare corsi di religione islamica nelle scuole. Per quanto mi riguarda, sono favorevole a tutto ciò, purché le lezioni siano impartite in lingua tedesca e da insegnanti anch’essi tedeschi, non inviati da Paesi arabi, turchi o musulmani. Tutto dovrebbe svolgersi a livello nazionale, sotto la supervisione dello Stato Tedesco e senza l’interferenza di altre istituzioni. Perché le organizzazioni islamiche possono parlare soltanto per i propri membri, non per la totalità dei musulmani. Ecco, è questo il ganglio cruciale.

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