Spartacus in Calabria
Amara Lakhous 12 February 2010

La notizia della ribellione degli immigrati a Rosarno, in Calabria, ha fatto il giro del mondo. Oltre alle implicazioni mediatiche, c’è stata una mini crisi diplomatica, dopo le critiche ufficiali dell’Egitto al governo italiano per “la campagna di aggressione” contro gli immigrati e per “le condizioni di detenzione, la violazione dei loro diritti economici e sociali e la pratica delle espulsioni coatte”. Il comunicato del Ministro degli Esteri del Cairo è un importante precedente che merita almeno di essere segnalato. Per l’Italia la questione dell’immigrazione non è esclusivamente interna, ma internazionale.

Le immagini dei disordini di Rosarno, trasmesse da giornali e tv, erano cariche di significati di rabbia, disperazione e vergogna. Sembrava di assistere ad un remake di “Spartacus” di Stanley Kubrick, adattato ai giorni nostri. Tuttavia ci sono delle differenze sostanziali tra la finzione e la realtà: gli uomini guidati da Spartaco erano schiavi, dei veri schiavi. Invece i braccianti immigrati di Rosarno sono uomini liberi, almeno teoricamente. Sul piano pratico però, le cose cambiano radicalmente, perché sono stati ridotti alla schiavitù.

È eccessivo parlare di schiavitù? No, affatto. Penso che sia una chiave di lettura giusta ed efficace per comprendere meglio il caso drammatico di Rosarno. Nel suo libro “Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud” (Mondadori, 2008), Alessandro Leogrande spiega molto bene il sistema del caporalato, fondato sullo sfruttamento degli immigrati provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Africa. Il ruolo del caporale va al di là del compito di organizzare il lavoro, come mediare fra produttori e braccianti, fra offerta e richiesta, ecc. Il caporalato è diventato un forma di delinquenza molto pericolosa, fatta di ricatti e minacce nei confronti di immigrati che molto spesso sono senza nessuna tutela perché clandestini.

La drammatica situazione di Rosarno è il risultato del fallimento delle politiche agricoli nel sud d’Italia. La globalizzazione dei mercati ha comportato delle nuove sfide. L’Italia è il secondo produttore di pomodoro nel mondo, dopo gli Stati Uniti e prima della Cina. Il modello di agricoltura italiano non può competere con quello americano per via dell’industrializzazione e l’impiego delle macchine per la raccolta. Rimane il modello cinese che si basa sulla raccolta manuale e non meccanica e sulla riduzione dei costi di produzione, risparmiando soprattutto sulle retribuzioni. Il secondo modello piace molto ai produttori italiani. Perché? Il motivo è molto semplice: le raccoglitrici (delle grosse macchine) sono molto costose, il loro prezzo oscilla tra i 100 e i 140 mila euro. Pertanto il taglio eccessivo sui costi di produzione ha generato un sistema schiavistico: braccianti stranieri che lavorano gratuitamente, in più tenuti a vista e sotto un costante controllo dai caporali, magari della stessa nazionalità.

Il ministro degli Interni Roberto Maroni ha parlato di “troppa tolleranza” nei confronti di clandestini come causa principale degli scontri di Rosarno. È una spiegazione ingannevole. Anziché prendere di mira le organizzazioni criminali, i produttori senza scrupoli e i caporali delinquenti, si cerca di colpire le vittime, gli sfruttati, i nuovi schiavi. Al contrario, il commento di Roberto Saviano sul caso di Rosarno va in un’altra direzione: “Gli immigrati non vengono in Italia solo a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma anche a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere” (Il Sole 24 ore del 9 gennaio 2010). Parole chiare e molto forti. Penso che la triste vicenda di Rosarno sia solo l’inizio. Purtroppo, ci saranno nel prossimo futuro, qua e là, altre ribellioni e altri scontri fra cittadini italiani e immigrati. Una sorta di guerra fra poveri. Intanto, la politica italiana sull’immigrazione non naviga nemmeno a vista. Va alla cieca.
 
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