Perché la Russia protegge il regime di Assad
Matteo Tacconi 12 September 2012

Ci si riferisce alla richiesta, avanzata dai ribelli alle compagnie che operano negli scali aerei di Aleppo e Damasco, di sospendere le attività, pena il possibile abbattimento. È che le due infrastrutture sono diventate obiettivi militari degli insorti.

Questo è invece un messaggio del 29 agosto. «La comunità internazionale non può rimanere indifferente agli sforzi di destabilizzare la Siria, specie agli atti contro le minoranze etnico-religiose». S’intende, tra le altre cose, il confronto tra i sunniti dell’Esercito di liberazione (FSA) e il gruppo alawita, garante dell’attuale potere malgrado il ridotto peso demografico. Fu Hafez, padre dell’attuale presidente Bashar al-Assad e fondatore del regime siriano, a portarlo nelle stanze dei bottoni. Era alawita. Come alawita è il figlio.

Gli interessi strategici

Quelli prima menzionati sono solo alcuni assaggi della posizione russa. Mosca, oltre bollare i ribelli come estremisti, si oppone alle sanzioni che i paesi occidentali vorrebbero assumere, in seno alle Nazioni Unite, nei confronti di Damasco.

Perché questo approccio? Molto si spiega con gli interessi strategici che il Cremlino ha in ballo. La Siria, già dai tempi della Guerra fredda, è sempre stata la sua migliore alleata nello spazio arabo. Adesso è anche l’unica. La Russia, che al governo siriano vende armi e che ha alcune navi da guerra ormeggiate nel porto siriano di Tartus, irrinunciabile sbocco strategico sul Mediterraneo, avrebbe tutto da perdere in caso di regime change.

In più non vuole rivivere lo scotto libico. Quando il Consiglio di Sicurezza dell’Onu votò le sanzioni a Gheddafi, il rappresentante russo si astenne perché con il veto avrebbe in sostanza giustificato la repressione brutale del raìs. Ma, almeno secondo la narrazione di Mosca, questo gesto responsabile fu visto dagli occidentali come il via libera all’offensiva su Tripoli, costata l’azzeramento di diversi accordi economici firmati con il precedente regime. Ecco perché a ogni proposta di sanzione presentata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dagli anglo-franco-americani, è scattato puntuale il niet dell’ambasciatore Vitaly Churkin.

Effetto domino?

La possibile compromissione degli interessi strategici non è il solo timore russo. Un altro, l’abbiamo visto, riguarda l’FSA e la sua presunta vocazione jihadista. Ora, tra gli insorti c’è sicuramente qualche desiderio di rivalsa sulla fazione alawita, ma l’elemento religioso-radicale non appare primario. Evocarlo può tuttavia tornare utile allo scopo di non criminalizzare Assad, che prima di ritrovarsi sotto assedio era persino riuscito, grazie a un’abile operazione di marketing, a costruirsi una credibilità internazionale come tutore degli equilibri tra identità e fedi.

Non basta. La Russia teme che se Damasco dovesse cadere s’innescherebbe un effetto domino che potrebbe indebolire l’Iran sciita (verso cui Mosca non è così battagliera come l’Occidente) e sdoganare i vari gruppi sunniti radicali, nell’area mediorientale e fino alle repubbliche caucasiche della stessa Russia. Qui le organizzazioni radicali già da tempo insorte in armi, soprattutto in Daghestan e Inguscezia, ormai più turbolente della Cecenia, potrebbero incrementare l’intensità delle loro offensive.

Le evacuazioni impossibili

C’è un’altra ragione, restata finora sotto traccia, alla base delle scelte di Mosca. Nel paese arabo sono presenti migliaia di cittadini russi. Una buona parte è rappresentata da quelle donne – almeno ventimila – che conobbero negli anni ’60 e ’70 i giovani siriani che andavano a studiare negli atenei dell’Urss e li seguirono, quando terminati gli studi tornarono a casa. Il Cremlino non ha modo di evacuare queste persone, assediate quotidianamente dagli scontri. L’operazione costerebbe troppo, scriveva tempo fa il New York Times. Meglio che Assad non venga spazzato via, insomma.

Poi ci sono i circassi. Costituiscono, in Siria, una minoranza di 50mila membri. Sono originari delle repubbliche meridionali della Russia e furono costretti all’esilio dall’occupazione zarista. La guerra civile imporrebbe loro una fuga al contrario, verso le vecchie terre. Ma la Russia vorrebbe sostanzialmente evitare la pressione degli sfollati. Non è facile. Anche perché la vicenda sta rimbalzando sui media e gli attivisti chiedono che Mosca, dando asilo ai circassi, ripari il torto a loro inflitto in epoca zarista. Intanto il Cremlino si sta “coprendo” mettendo in guardia contro le derive etnico-religiose del conflitto siriano.

Un occhio agli altri scenari

Finora ha cercato di evitare il tonfo di Assad, ma la Russia sta guardando anche a uno scenario che preveda il cambio al vertice. A questo proposito si notano periodicamente, soprattutto quando le sorti della battaglia volgono a favore dei ribelli, proclami in cui s’intravedono aperture nei confronti della transizione politica. È che qualcuno, a Mosca, dove ormai si ragiona secondo logiche pragmatiche, ritiene che l’uomo forte di Damasco uscirà prima o poi di scena. Meglio dunque edulcorare in corsa la posizione, così che, quando arriverà il momento fatidico, si possa salvare il salvabile.

Immagine: cc Freedomhouse

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x