Rifugiati, no grazie. Il Kenya chiude i confini
Martina Toti 23 January 2007

Una delle tragedie del conflitto somalo è il destino dei rifugiati, come accade tutte le volte che c’è una guerra. Dal 1991, quando venne rovesciato il regime di Siad Barre, molti somali – soprattutto donne e bambini – sono fuggiti cercando di attraversare il confine kenyota. Che avessero camminato attraverso una regione desolata o che avessero cercato di arrivare alla costa su una barca, una volta arrivati non erano al sicuro. Secondo Human Rights Watch, durante i due anni che seguirono lo scoppio della guerra civile (1991-1993), circa 300.000 somali fuggirono in Kenya. La loro destinazione erano i campi profughi: Dagahaley, Liboi, Marafa, Hatimy. La vita nei campi non era facile: molte donne furono violentate o aggredite; le persone erano costrette a rimanere all’interno dei campi e a utilizzare esclusivamente le scarse risorse presenti in loco: limitate misure sanitarie, strutture scolastiche, risorse idriche e alimentari.

Le cose non sono cambiate e le notizie arrivate nell’ultimo mese dall’Africa orientale fanno presagire un’imminente crisi umanitaria. In seguito ai recenti scontri in Somalia, migliaia di somali, ancora una volta, sono fuggiti verso il confine kenyota, ma hanno trovato una frontiera chiusa. A nessun rifugiato è permesso entrare. Il Ministro degli Esteri kenyota Raphael Tuju ha spiegato che poiché le autorità non possono stabilire se coloro che richiedono l’ingresso sono rifugiati o combattenti, non è permesso loro superare il confine. Amareggiato dal fatto che ogni volta che in Somalia si combatte le persone cercano di arrivare in Kenya, Tuju ha lamentato che non è scritto da nessuna parte che spetti al Kenya occuparsi di loro.

L’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite ha espresso le proprie critiche e ha dichiarato esplicitamente attraverso il proprio portavoce, Millicent Mutuli, che negare assistenza umanitaria è contrario al diritto internazionale. Ciononostante, secondo le agenzie, le autorità kenyote hanno deportato centinaia di rifugiati somali che avevano attraversato il confine, la cui chiusura è controllata da carri armati ed elicotteri. Prima che fossero deportati, secondo quando riferito, erano stati condotti a Liboi nel Kenya nord-orientale ed era stato negato alla Croce Rossa di visitarli. I racconti parlano, inoltre, di migliaia di rifugiati bloccati nella città di Doble, nella Somalia meridionale, una città vicina al confine ma anche ai combattimenti.

Da dove nascono le apprensioni di Nairobi? Da un lato c’è la paura di un flusso continuo di rifugiati che il paese non può, o forse non vuole, sostenere. Ma dall’altro lato, può non essere casuale che i confini siano stati chiusi non appena le truppe etiopi sono entrate a Mogadiscio e che, allo stesso tempo, il governo kenyota stia sollecitando i paesi africani a inviare militari per una forza di peace-keeping in Somalia. In altre parole, la prospettiva di una forte influenza etiope in Somalia non è vista di buon grado per un futuro di dialogo e riconciliazione nella regione. Mentre l’Agenzia per i rifugiati della Nazioni Unite sta negoziando con il governo del Kenya affinché permetta l’accesso ai veri rifugiati, mentre il Kenya sta negoziando con gli altri paesi africani per il peace-keeping in Somalia, le condizioni dei rifugiati bloccati al confine continuano ad essere preoccupanti. Fuggiti dalla Somalia divisa dalla guerra, aspettano di conoscere il loro destino senza cibo, acqua o misure igienico-sanitarie.

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