Un “mondo unico”, ma anche nelle responsabilità
Daniele Castellani Perelli 29 September 2008

Gandhi è stato al centro della vigorosa campagna Telecom, intorno alla quale è nata l’idea di Avoicomunicare.it, un sito che sta invitando i propri utenti a ragionare sulla comunicazione contemporanea e sul dialogo tra le culture. In questo progetto non poteva non avere un posto di rilievo il filosofo Jahanbegloo, che insegna all’Università di Nuova Delhi, è membro del Comitato esecutivo di Reset Dialogues on Civilizations e si è a lungo occupato del rapporto tra filosofia occidentale e filosofia indiana. All’eredità del Mahatma ha dedicato anche il suo ultimo libro, Leggere Gandhi a Teheran (in uscita presso Marsilio, nella collana “I libri di Reset”). Imprigionato per 5 mesi, nel 2006, nel famigerato carcere iraniano di Evin, Jahanbegloo ha già dedicato all’India un libro nel 2008 (The Spirit of India), e ha fatto della non-violenza gandhiana una delle basi della sua filosofia politica.

“La mia esperienza in carcere mi ha insegnato che la vendetta è inutile”, ha raccontato in collegamento dall’Università di Toronto, dove insegna in questo semestre. Per Jahanbegloo, che ha ricordato l’amicizia e la vicinanza culturale che lo legano a Resetdoc, l’eredità di Gandhi è principalmente questa: la non-violenza come risposta alla violenza del mondo. “La violenza non è la soluzione, per questo dobbiamo isolare lo spirito del terrorismo e vincere la paura che domina sia i cittadini sia i potenziali terroristi musulmani, incapaci di integrarsi nelle società occidentali”, ha spiegato Jahanebgloo, che ha poi ricordato la concezione gandhiana della democrazia: non solo una forma di governo, ma anche una “democrazia vissuta” dai cittadini. Per queste ragioni il grande pensatore indiano si mostrò critico verso la democrazia europea, che negava l’uguaglianza dietro al formalismo del voto, e per questo la stessa economia mondiale avrebbe molto da imparare dalla lezione di Gandhi.

Jahanebgloo ha infatti spiegato come l’attuale crisi americana dimostri che l’economia “ci è sfuggita di mano”. Il pacifista indiano avvertiva della schiavitù dell’industrializzazione, degli effetti negativi del modello ipercapitalista, che oggi sono sotto gli occhi di tutti: dalla perdita di spiritualità delle nostre società alla distruzione compiuta dall’uomo nei confronti dell’ambiente. Ma non è solo l’industrializzazione a recare danno alla società contemporanea: “Abbiamo bisogno del dialogo, che dobbiamo stare attenti a non fare mai diventare un monologo – ha avvertito il filosofo iraniano – Dobbiamo sapere attuare le “tre elle”, ovvero Listen, Learn and Lead, ascoltare, imparare e guidare il mondo”. Un ottimo modo per favorire il dialogo è quello di avere visioni “soft” della propria cultura, soprattutto della propria religione. Ma perché la spiritualità e la non violenza gandhiana si mettano alla testa della società contemporanea, c’è bisogno dei giovani, che rappresentano la speranza del futuro anche nell’Iran di Jahanbegloo: “I media raccontano il mio paese in bianco e nero – ha concluso il filosofo, rispondendo alle domande degli utenti iscritti alla chat – Ma l’Iran non è rappresentato solo dai suoi politici, ma anche e soprattutto dalla società civile, dai giovani”.

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