Ma ora i religiosi si alleino con i laici
Samir Mustafa 25 September 2007

Nelle recenti elezioni politiche marocchine la vittoria del partito di ispirazione islamica “Giustizia e Sviluppo”, Pjd (al-Adadala wa Tanmiya), era stata accreditata da sondaggi d’opinione promossi da autorevoli istituti di ricerca americani e indirettamente sostenuti dal canale satellitare al-Jazeera. I risultati dicono però che il Pjd non ha ottenuto quella vittoria schiacciante che si attendevano i suoi stessi dirigenti (che erano arrivati a sperare in un successo del 70-80%), ma ha subito al contrario una brusca frenata, ottenendo solo quattro seggi in più rispetto ai 42 conquistati nella precedente legislatura. Questa sconfitta, secondo i dirigenti del Pjd, è stata causata dal record negativo relativo alla bassissima affluenza alle urne (solo il 37% ha votato) e dall’uso del denaro per l’acquisto di voti da parte di alcuni candidati di altre fazioni politiche.

In vista delle elezioni, molti osservatori avevano illustrato una sorta di modello turco esportabile in Marocco, un laboratorio per sperimentare l’islam democratico in un paese arabo islamico. Lo stesso Saad Eddine Othmani, segretario del Pjd, ha approfittato di ogni occasione per testimoniare la sua vicinanza e il suo collegamento con i colleghi dell’Akp turco, e per ricordare i numerosi incontri bilaterali degli anni precedenti. In occasione della recente schiacciante vittoria del partito di Erdogan in Turchia, per esempio, Othmani ha dichiarato entusiasta: “Le elezioni in Turchia hanno dimostrato qual è il potenziale nascosto nei paesi islamici, che si esprime ogni qualvolta vi è un quadro di sana democrazia e trasparenza che spinge le popolazioni a partecipare con forza fino a raggiungere la quota dell’80% di partecipanti al voto” (Swiss Info, 27-8-2007).

Quindi la domanda è: perché, nonostante esista una comunanza di visioni, di strategie e un progetto politico ispirato all’islam e fondato sulla moralizzazione della politica, sulla guerra alla corruzione e per una società solidale, il Pjd marocchino non ha ottenuto gli stessi risultati dei colleghi turchi e la vittoria data quasi per certa nelle recenti elezioni? Akp e Pjd sono davvero partiti politici così simili? Il Pjd marocchino sarebbe pronto a governare? E quali sono i principali ostacoli sul suo cammino verso il governo? Al di là delle ragioni avanzate dai dirigenti del Pjd per spiegare l’evidente sconfitta elettorale, in seguito alla quale il partito di Othmani diventa la seconda forza politica in Marocco e sarà molto probabilmente destinata ad esercitare l’opposizione nei prossimi cinque anni della prossima legislatura, è interessante comprendere l’evoluzione di questo partito nel contesto socio-culturale marocchino, il suo rapporto con gli altri partiti politici laici e liberali e la forte concorrenza del gruppo islamico concorrente Giustizia e Pietà (Adl wal Ihssan), gruppo non riconosciuto e principale critico nei confronti del re marocchino e delle “false” manovre democratiche promosse da re.

Il principe dei credenti e il paradosso islamista

La costituzione marocchina riconosce al re l’autorità religiosa in quanto principe dei credenti (data la sua discendenza dalla famiglia del profeta Maometto), cita l’islam come fonte principale della legge del Paese e non è un caso che l’inno nazionale marocchino termini con le tre parole chiave per la monarchia marocchina: Allah, la Nazione e il Re. In questo contesto, il giovane re Mohammed VI rappresenta l’unico garante dell’unità territoriale e della centralità dell’islam secondo la scuola malikita, religione ufficiale della monarchia. La centralità della religione nella costituzione e il ritrovamento di un equilibrio discutibile ma senz’altro interessante tra un ordinamento giuridico fondamentalmente laico e civile e il rispetto della religione islamica quale fonte superiore e fonte di ispirazione per il legislatore rappresenta una posizione di avanguardia nel panorama dei paesi a maggioranza musulmana, ad eccezione della Tunisia e della Turchia, che hanno scelto la via della completa separazione tra il sacro e il profano.

Questa sintesi, che ha prodotto un modello di società islamica pacifica e restia di fronte ai fermenti di natura estremistica, paradossalmente è diventata un terreno arduo per i proclami dei partiti che si rifanno alla morale islamica. In un certo senso la gente comune si riconosce nella figura del re quale tutore dell’intero patrimonio religioso e quale protettore dei capisaldi dell’islam e del suo valore e ruolo nella monarchia, e questo spiega perché, per paradosso, un partito democratico, islamico, moderato e moderno come il Pjd non sia riuscito già al primo tentativo cinque anni fa a beneficiare di una vittoria plebiscitaria, com’era successo nella vicina Algeria nei primi anni ’90 e come succederebbe nel resto dei paesi islamici arabi come l’Egitto e la Giordania. In questo contesto, gran parte della gente comune è portata a chiedersi perché vi sia la necessità di una formazione politica d’ispirazione islamica, quando l’islam è direttamente tutelato dal principe dei credenti Mohamed VI, soprattutto dopo gli attentati terroristici e della mobilitazione popolare contro l’estremismo religioso e i nuovi kamikaze fai-da-te ispirati da “al Qaeda nel paese del maghreb islamico”.

Il rischio del ghetto islamista e il rifiuto reciproco delle alleanze

Il secondo aspetto che rende difficile se non impossibile un governo targato Pjd come nel caso turco è la difficoltà dei dirigenti del Pjd, reduci da una storia di duri conflitti e scontri anche fisici negli ’70 e ’80 con i movimenti universitari socialisti e liberali, a liberarsi dal pregiudizio anti-laico. Laicità, una parola che tradotta in arabo assume un significato “pesante” e ancora insopportabile e paragonato quasi ad una bestemmia dai dirigenti islamisti del Pjd. Questo gelo reciproco nella dialettica politica tra il partito d’ispirazione islamica e il resto dei partiti marocchini deriva innanzitutto dalla iniziale forza morale del discorso politico del Pjd, a tratti arrogante e presuntuoso, che ha indotto i partiti “laici” a chiudersi a riccio sia perché preoccupati per la nuova forte concorrenza politica sia perché idealmente opposti ai propositi del Pjd.

Questa situazione ha spinto il Pjd a vivere in una sorta di prigione dorata condannandosi a guidare l’opposizione e ponendosi da sola contro tutto il resto. Questa strategia, probabilmente obbligata, rischia di portare il Pjd gradualmente verso la costituzione di un’alleanza intra-islamista con gli altri due partiti fino ad ora irrilevanti, tra cui il partito chiamato l’Alternativa Civile (al-Badil al-Hadari): un nuovo scenario che diminuirebbe il forte appeal tra i suoi elettori che lo vedrebbero così uno tra i tanti e non piu’ come una novità assoluto perdendo così il “copyright” dell’islamicamente corretto nel panorama politico marocchino.

Il grande concorrente: il movimento di Abdessalam Yassin

Infine, nell’analizzare i punti deboli che ostacolano la nascita di un possibile governo guidato dal Pjd marocchino, non si può trascurare la principale forza di opposizione non solo al Pjd, ma all’intero establishment marocchino: il movimento di Giustizia e Carità (al Adl wal Ihssan). Guidato dallo sheikh Abdessalam Yassin, è un gruppo solido e al tempo stesso giovane che raccoglie migliaia di adepti in tutte le università marocchine e tra i giovani insoddisfatti per le condizioni sociali ed economiche nel paese maghrebino. Giustizia e Carità, gruppo mai riconosciuto e oggetto di molteplici azioni poliziesche e abusi denunciati dalle maggiori organizzazione umanitarie, è l’unico gruppo che ha criticato direttamente il re marocchino e denunciato apertamente l’ipocrisia e l’inutilità del processo di riforme avviato da Mohamed VI.

Un gruppo che mette in seria difficoltà il Pjd, accusandolo di essersi schierato dalla parte del “regime” tradendo i principi della giustizia e della verità. Giustizia e Carità ha infine invitato i suoi numerosi adepti a boicottare le elezioni perché giudicate in anticipo un teatrino dove i risultati sarebbero già stati decisi dal Makhzen (l’elite marocchina, ndr) e dal palazzo reale. Quest’ultima sfida tra “fratelli” è in verità l’ostacolo maggiore tra il Pjd e le poltrone di un possibile governo, perché i militanti del Pjd rischierebbero così di perdere tutta la loro credibilità e dover scendere a compromesso con il resto delle formazioni politiche marocchine, che sarebbero ben felici di assistere ad una repressione del gruppo di Yassin per mano dei loro ex fratelli ora in giacca e cravatta.

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