“Ma quella di Musharraf era una dittatura illuminata”
Pere Vilanova (Università di Barcelona) intervistato da Alessandra Cardinale 28 January 2008

Rispetto agli anni ’80, cos’è cambiato in Pakistan? Il fondamentalismo islamico è, secondo lei, molto più diffuso ora?

Ho trovato molta continuità dal punto di vista sociale vale a dire che gli strati della società sono fondamentalmente gli stessi di venti anni fa, unica eccezione è la forte urbanizzazione dovuta alle migliaia di persone che dalle campagne sono andate a vivere nelle periferie delle città. Comunque il Pakistan rimane ancora un paese lacerato dalle divisioni interne soprattutto tra la zona del Punjab, del Baluchistan e delle aree tribali. Ho notato, invece, molte differenze dal punto di vista politico. Da alcuni anni si va verso un forte pluralismo e una sostanziale rappresentatività del paese nel Parlamento pakistano. Per quanto riguarda il fondamentalismo islamico, esisteva già negli anni’80. La novità è rappresentata dalla connotazione politica che viene data a questo movimento: mentre vent’anni fa, mi creda, il Pakistan era un sostenitore degli Stati Uniti in funzione anti- sovietica, ora la maggioranza dei cittadini è fortemente anti-americana.

Come considera il regime di Musharraf, divenuto Presidente del Pakistan nel 1999 con un colpo di stato?

La situazione è più complicata ed è probabilmente troppo semplicistico dire che si tratta di una dittatura militare. Musharraf ha fatto un colpo di stato nel 1999, ma parlerei piuttosto di una “dittatura illuminata” nel senso che è stato molto meno autoritario di alcuni suoi predecessori. Ha cercato di esercitare un maggior controllo sulle istituzioni ma al contempo, mi creda, nel Parlamento uscente siedono almeno una dozzina di partiti e la rappresentatività politica delle tre maggiori coalizioni politiche è bilanciata. Certo è che, Musharraf ha limitato il lavoro del Parlamento per evitare che il suo ruolo fosse messo in discussione e, penso, abbia anche cercato di restaurare una forte autorità sull’esercito e di reintegrare uno stretto controllo sui servizi di intelligence. Queste sono cose inconfutabili, quello che voglio dire è che, ad esempio, durante lo stato di emergenza, è vero che 2000 persone sono state arrestate, ma subito dopo sono state rilasciate, tranne alcune che lo saranno tra poco. Ritengo che le sue intenzioni di trovare un accordo con la Bhutto e Nawar Sharif, ex primo ministro, erano serie e volte ad avviare un processo di normalizzazione delle istituzioni. Se non fosse stata assassinata, molto probabilmente, Benazir Bhutto sarebbe divenuta Primo Ministro.

Dunque, prof. Vilanova, lei ha un’opinione positiva di Musharraf e del suo governo?

No, si tratta di un sistema autoritario, di una dittatura militare ma, ad esempio, è un Paese in cui la libertà di stampa e la qualità dei media è molto alta. Penso a quotidiani come “The Nation” o “Dawn”…

Ma i media sono stati imbavagliati da Musharraf stesso.

Ma ora sono di nuovo liberi di lavorare. L’ultima volta che ho visitato il Pakistan il dibattito sull’accordo tra Musharraf e la Bhutto era regolarmente riportato sulle prime pagine dei giornali. Ora, penso, Musharraf stia cercando di convincere la comunità internazionale della sua estraneità all’assassinio di Benazir Bhutto. Penso che lui non c’entri nulla perché non vedo quale interesse strategico potrebbe nascondere una sua eventuale complicità.

Cosa ne pensa della decisone di Musharraf di dimettere il Presidente della Corte Suprema, Iftikhar Mohammed Chaudry?

Questo è l’argomento che più ha acceso gli animi dell’opinione pubblica, prima dell’uccisione della Bhutto. Nonostante l’ostilità delle associazioni degli avvocati ma con l’appoggio di parte della magistratura, Musharraf ha fronteggiato questa crisi con metodi militareschi. Il giudice Chaudry è tra l’altro ancora agli arresti domiciliari. Si tratta certamente di un approccio autoritario.

Secondo lei, Musharraf sta facendo del suo meglio per combattere il terrorismo?

Si. Nel 2007, l’esercito pakistano ha perso circa 800 uomini nella lotta al terrorismo. Il loro lavoro è fondamentale soprattutto per la raccolta di informazioni nelle aree tribali, zone che sarebbero off-limits per altri eserciti.

Nella storia del Pakistan si sono mai svolte elezioni democratiche, senza brogli o manipolazioni?

No. Ritengo che molti paesi, come il Pakistan, stiano attraversando delle lunghe fasi di transizione. Le elezioni nel 1999 in Indonesia, per esempio, sono state macchiate da numerosi episodi di violenza e minacce ma il governo è riuscito, con il passare degli ann,i ha creare un sistema politico ora consolidato che ha permesso il regolare svolgimento delle ultime elezioni nel 2004. Ecco, io penso, che il piano di Musharraf sia più o meno lo stesso.

Prof. Vilanova, si verificheranno brogli alle prossime elezioni legislative in Pakistan?

Il governo pakistano ha accettato l’intervento ed il controllo degli osservatori internazionali in occasione del 18 febbraio. In passato ho lavorato in queste missioni e so per certo che i controlli sono molto rigidi e esigenti. Questo significa che Musharraf ed i suoi sanno a cosa vanno incontro, anche se sicuramente gli stessi osservatori avranno non poche difficoltà nel monitorare le zone tribali. Già si sa che alcune aree del Pakistan voteranno per il partito della Bhutto, la provincia Sind, mentre nel Punjab sono molto popolari sia Musharraf sia l’ex primo ministro Sharif.

Che tipo di scenario prevede per il dopo-elezioni?

Stando agli ultimi sondaggi, più del 25% della popolazione voterà per il PPP (Partito popolare pakistano della Bhutto, ndr), il 22-25% per il partito di Sharif mentre il 23-25% per la lega Musulmana di Musharraf, il resto dei voti andranno ai partiti dell’islam radicale, molto forti nella parte nord-occidenatle del Paese. Penso che una loro presenza all’interno del Parlamento sia importante: se si vuole restaurare una qualche autorità pubblica in quelle zone, bisognerà farlo attraverso i rappresentati di questi partiti.

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