Il multiculturalismo, la politica e il conflitto dei valori
Daniele Castellani Perelli 6 March 2008

Gli autori rimproverano ai politici olandesi degli anni Ottanta e Novanta di aver involontariamente ostacolato, attraverso il multiculturalismo, il processo di integrazione della comunità musulmana. Secondo gli autori, la divergenza dei valori tra immigrati musulmani e occidentali era forte e visibile anche prima dell’11 settembre. Invece di favorire l’integrazione, i multiculturalisti avrebbero promosso, legittimato e sussidiato una ben precisa versione della cultura musulmana (“ironicamente quella più in contrasto con lo spirito pluralistico della democrazia liberale”): fornendo educazione, servizi e informazioni, e finanziando tv e giornali, nella loro lingua madre, o importando imam dall’estero. Tutto ciò nell’errata convinzione che gli immigrati, prima o poi, se ne sarebbero tornati a casa propria. Invece sono rimasti in Europa, e le nostre società non sono state in grado di gestire la convivenza.

Chi denunciava i limiti del multiculturalismo – ricordano gli autori – è stato per lungo tempo costretto al silenzio con l’accusa di “razzista”. In molti paesi la critica del multiculturalismo, tacitata e trasformata in un tabù, è poi esplosa all’improvviso, in forme radicali. Come in Olanda, dove personaggi di estrema destra come Pim Fortuyn hanno fatto della battaglia contro l’Islam una loro bandiera. Ma non solo. Uno dei punti chiave del libro è che la mancata integrazione dei musulmani ha generato sospetto e diffidenza verso di loro non solo nei razzisti, ma anche nel “centro” della società, nei tolleranti, in quanti non detestano a priori i musulmani. Le società liberali avrebbero dovuto, già prima dell’11 settembre, placare il “pregiudizio” dei cittadini, spingendo i musulmani a una moderata integrazione, invece che ghettizzandoli attraverso il progetto multiculturalista (che evidenzia, anzi esalta, le differenze culturali). Invece il multiculturalismo ha generato una reciproca diffidenza e incomprensione in entrambi i gruppi.

Su un punto il libro sembra esagerare. Quando dà spesso per scontata una irrecuperabile divergenza di valori tra le due comunità. In realtà il problema è spesso più sociale che religioso. Oggi gli immigrati stanno nella fascia più povera e arretrata della società (la stessa fascia in cui erano nei paesi d’origine). Tra qualche generazione, quando le comunità musulmane saranno maggiormente integrate, è facile prevedere (o sperare) che rappresenteranno una classe media sostanzialmente più aperta e più laica. Non ci sono dunque due insiemi di valori chiaramente distinti (Islam/Occidente), ma due prodotti della situazione attuale. Insomma la differenza di valori è forse meno sicura di quanto si creda. Se non in Olanda, sicuramente in paesi in cui la religione (cattolica, ad esempio) gioca un ruolo pubblico determinante (l’Italia, ad esempio: qui l’avversione di molti cattolici verso i gay è pari a quella dei musulmani, e la comunanza di vedute vale anche per altri temi come le droghe e la libertà sessuale; persino nella “lealtà al loro paese” i cattolici italiani di un secolo fa non sono diversi dai musulmani d’Olanda del giorno d’oggi).

“When ways of life collide” è un libro accurato (gli autori spiegano nei dettagli anche come sono state condotte le interviste) e pieno di spunti interessanti. Sostiene che le implicazioni culturali contano più di quelle economiche nel rapporto tra musulmani e occidentali (ambedue i gruppi sentono anzitutto minacciata la propria identità culturale dall’altro). Spiegando quanto gli elettori (anche quelli meno sensibili al tema) siano mobilitabili attraverso una campagna sui valori e sull’identità, si appellano ai politici affinché gestiscano con cautela la propria propaganda. La convivenza tra le culture può essere favorita dalla politica. Che, per Sniderman e Hagendoorn, ha ottenuto col multiculturalismo il contrario di quello che desiderava. Cercava l’armonia, ha aumentato l’ostilità.

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