Islam e Occidente, due visioni diverse
H. H. 16 January 2008

Questo testo è il terzo intervento del filosofo Hassan Hanafi nel dialogo svoltosi tra l’autore e il professor Andrew Arato, pubblicato dalla rivista Reset nel numero 103 (settembre-ottobre 2007).

Essere ossessionati da un modello di democrazia piuttosto che da un altro, dal modello israeliano di democrazia liberale – Herrenvolkdemocracy – senza riuscire a immaginare una forma alternativa, costituisce una sorta di posizione cieca, unilaterale, egoistica ed eurocentrica che impedisce il dialogo aperto, il riconoscimento dell’esistenza dell’altro, del diritto a essere diversi e la possibilità di pluralismo, di prospettivismo e di multiculturalismo. L’etnocrazia è una contraddizione in termini perché la democrazia è un valore universale mentre l’etnocrazia è parziale. L’etnocrazia può andare bene per una etnia e non per le altre. La democrazia per una uguale cittadinanza è una rivendicazione universale.

Nessuno può criticare la democrazia liberale, ma qualcuno potrebbe dimostrare che essa costituisce soltanto una forma di democrazia, non tutte le forme. Insistere nel sostenere che qualcuno, di solito la controparte in un dialogo, è contrario alla democrazia liberale significa descrivere un avversario immaginario che ci si è creati da soli. In questo caso, non si tratta più di un dialogo ma di una dialettica che dimostra che noi siamo assolutamente nel giusto e l’altro è assolutamente in torto. Il dialogo è contrario al monopolio della verità. Nel dialogo non esiste giusto e sbagliato, soltanto punti di vista. La dialettica è dogmatismo e assolutismo, mentre il dialogo è critica e relativismo. La dialettica è una posizione ideologica, il dialogo è una posizione scientifica. La dialettica è argomentazione, il dialogo è l’arte della dimostrazione.

La democrazia liberale non è la chiave magica che apre tutti i segreti del mondo. Non c’è un’unica soluzione per un unico problema o per molti. Non esiste il flauto magico di Mozart o la lampada magica di Aladino. C’è soltanto un tipo ideale di esperienza storica, quella occidentale. Il riduzionismo metodologico nella scienza sociale occidentale è la generalizzazione del particolare e l’applicazione di questa generalizzazione ad altri particolari. In una metodologia più onesta, il particolare generalizzato si attenua per adattare altri particolari scoperti durante il processo di applicazione, in modo di permettere al generale di inglobare meglio altri particolari.

In confronto all’autoritarismo, alla dittatura e all’oligarchia, la democrazia liberale è certamente più auspicabile. Nel mondo arabo, in particolare in Egitto, nella prima metà del ventesimo secolo, durante la fase liberale, la rivoluzione degli Ufficiali Liberi, nel luglio 1952, pose fine alla democrazia liberale. Allo stesso tempo, vi fu il periodo coloniale. Avevamo la libertà di stampa, un sistema pluripartitico, le elezioni, un governo responsabile nei confronti del parlamento, l’indipendenza del ramo giudiziario, ecc. Ma ciò non ha impedito la corruzione, i brogli elettorali, l’evasione fiscale, l’intervento del re e il potere coloniale, vale a dire della Gran Bretagna, il feudalesimo, la persecuzione dell’opposizione e l’eliminazione fisica dei suoi leader (Hassan al-Banna, fondatore dei Fratelli Musulmani). La democrazia liberale richiede determinati prerequisiti culturali che alcune società non possiedono: il rispetto dell’altro, il diritto alla diversità, il pluralismo politico, il rispetto dell’individuo, la legittimazione e il trasferimento di potere, lo stato di diritto, i diritti umani, ecc. La nostra era una democrazia priva di democratici, così come, successivamente, il nostro socialismo non aveva socialisti. Nella prima esperienza non avevamo ancora una cultura democratica, nella seconda non avevamo ancora una cultura socialista. Abbiamo iniziato la prima esperienza come pachas e non come cittadini, la seconda come liberi ufficiali e non come liberi pensatori.

Un giorno non lontano vi potrà essere un dialogo tra Nord e Sud, un dialogo euro-arabo o forse anche un dialogo tra islam e Occidente che si svolgerà su un piano di parità, senza l’arroganza epistemologica e l’unilateralismo occidentali. L’Occidente non è il mondo intero, l’Occidente e l’Oriente, il Nord e il Sud, il passato, il presente e il futuro. Il mondo è più multiculturale, più sfaccettato perché ha una storia dinamica, interattiva e interculturale. Un dialogo onesto ed equilibrato è quello che si svolge tra due partner eguali. Ora, tra le due sponde del Mediterraneo, esiste un doppio timore; quello dell’egemonia del Nord sul Sud e quello dell’emigrazione culturale, economica e politica da Sud verso Nord, alla quale si collega la violenza, l’alienazione dell’identità culturale dell’Occidente e la sua islamizzazione. Si tratta di timori reali o immaginari? Entrambe le situazioni derivano dall’eredità del passato. Un giorno, la speranza del futuro potrebbe avere la meglio sui timori del passato.

Islam e Democrazia

Il concetto islamico di democrazia è qualcosa di diverso. Non è un concetto quantitativo, maggioranza-minoranza, potere e opposizione, ma un concetto qualitativo basato sul diritto di ciascuno di esprimersi liberamente. Nessuno ha il diritto di monopolizzare la verità e di imporre agli altri il suo punto di vista. Il diritto alla diversità è un dovere legittimo e un dovere religioso. Il buon consiglio – ordinare che venga fatto il bene e che il male venga evitato – è un dovere religioso che va aldilà di un articolo di fede. La verità è il risultato del consenso (ljmà). Tutti devono esprimersi. Il silenzio è diabolico, è paura e mancanza di impegno. La diversità di opinioni è simile alla diversità in natura, è una diversità creativa. Tutte le opinioni sono giuste quando esprimono un buon proposito e mirano al benessere pubblico. La verità è molteplice come lo è il contesto teoretico per il ragionamento. La verità concreta è tale perché corrisponde al benessere e all’interesse generale.

Il regime politico islamico non è una teocrazia. Dio non governa di persona né attraverso i suoi cosiddetti rappresentanti. Nessuno sulla terra ha il diritto di rappresentare Dio. Nell’islam, il governante, l’imam, è liberamente eletto dal popolo. La sovranità è il risultato di un contratto sociale tra governante e governati. Il governante ordina e il governato obbedisce, a condizione che l’ordine sia conforme ai termini del contratto. Se il governante, da parte sua, non adempie alle clausole del contratto, i governati devono consigliarlo, pubblicamente e privatamente. Se il governante continua a non attenersi al contratto, gli ammonimenti devono essere espressi pubblicamente, durante la predicazione nella moschea. Se il governante non ascolta tali ammonimenti, il popolo o i loro portavoce, gli ulema, devono portarlo in tribunale. Se il sommo giudice si pronuncia contro di lui ed egli non obbedisce, contro il governante verrà lanciata una rivolta popolare guidata dal sommo giudice. Il governante viene meno al suo impegno quando è interiormente ingiusto ed esternamente debole, quando non applica la giustizia e non difende i confini nazionali.

Il vero governante non è il potere esecutivo ma quello legislativo. Qualcuno definirebbe questo tipo di governo della legge, «nomocrazia». Il governante è una persona legata al suo riconoscimento, alla sua passione e alla sua volontà. Il diritto è invece impersonale, più obiettivo e giusto. Il governante ha soltanto il potere esecutivo, non quello legislativo o quello giudiziario. Il diritto è imparziale. Esso esprime il benessere pubblico, indica le linee guida generali e lascia i casi particolari all’opera di studiosi per ciò che riguarda la democrazia (shura) la teoria politica, la giustizia sociale (Adl), la teoria sociale, la pace, (salam), la teoria delle relazioni internazionali. In caso di conflitto di interpretazioni e di decisioni, il giudiziario è completamente indipendente dalle regole dell’esecutivo.

L’obiettivo della democrazia è quello di mettere in atto le finalità universali della legge, fondate essenzialmente sul benessere pubblico, chiamato «ragione pubblica», che si compone di cinque elementi: la vita (Nafs) contrapposta alla morte, alla malattia, alla fame, alla siccità e a tutte le minacce alla sopravvivenza. La ragione (‘Aql), contrapposta all’ignoranza, al fanatismo, al dogmatismo, all’unilateralismo e all’imitazione. Le norme universali, chiamate Verità (Din), che significa consenso degli uomini sulle principali regole di comportamento e su un codice etico universale, contrapposta al relativismo, allo scetticismo, all’agnosticismo e al nichilismo. L’Onore (Ird) e la dignità umana contro l’umiliazione e la violazione dei diritti dell’uomo; e infine il benessere pubblico (Mal) contrapposto allo spreco, all’usurpazione, allo sfruttamento e al monopolio.

Queste sono le principali finalità del diritto islamico che devono essere comprese, dal momento che il diritto è il risultato dell’intelletto umano (Afham), successivamente assimilato, in quanto esso deve essere richiesto e non imposto (Imtithal) e infine applicato dall’azione umana (Taklif) come un impegno personale. L’autentica vita religiosa consiste nella compatibilità tra le finalità universali del diritto e quelle particolari del credente. La rivelazione dovrebbe diventare la struttura ideale del mondo. Per usare un linguaggio contemporaneo, queste cinque finalità della rivelazione sono un’autentica e genuina combinazione tra la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata in Occidente nel 1948, e la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli formulata nel Terzo Mondo, ad Algeri, nel 1977.

La domanda è: chi stabilisce le priorità? Democrazia, globalizazione, fine della storia, scontro di civiltà, rivoluzione dell’informazione, nuove tecnologie di comunicazione, il mondo come un unico villaggio, governance, diritti umani, società civile, minoranze, genere, ecc., sono priorità occidentali. Decolonizzazione, libertà, giustizia sociale, unità, uno sviluppo fiducioso in se stesso, identità, mobilitazione di massa, ecc., sono altre priorità. Il conflitto delle priorità è un conflitto di potere. Fino a quando esisterà l’attuale squilibrio di potere tra centro e periferia, tra Cultura con la «c» maiuscola e culture con la «c» minuscola, il futuro della democrazia sarà sempre un percorso a senso unico, dal centro alla periferia, dalla «C» maiuscola alle «c» minuscole, un modello monolitico basato sull’unilateralismo che è negazione dell’altro, dell’autentica base della cultura Occidentale, vale a dire del pluralismo. Sarebbe considerato un’altra consuetudine e una nuova prova di un doppio criterio, di un ostacolo nella cultura occidentale. Perché dire goodbye? Perché non dire au-revoir, bis nachher oppure ila al-liqa?

Hassan Hanafi è docente di filosofia presso l’Università del Cairo, dove dal 1988 dirige il dipartimento di filosofia. Nel corso della sua carriera i suoi interessi si sono concentrati sull’analisi delle tradizioni filosofiche islamica e occidentale e sui rapporti che le hanno legate.

Traduzione di Antonella Cesarini

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