L’India non ha niente da perdere
Subir Bhaumik 23 October 2007

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dalla rivista Mizzima.com

È tempo ormai di costringerli a dirci che cosa mai ci ha guadagnato l’India a sostenere la giunta più dispotica del mondo. Nonostante gli ingenti investimenti delle compagnie indiane, infatti, non abbiamo ottenuto il gas della provincia di Arakan, che è stato ceduto alla Cina. L’esercito birmano, il Tatmadaw, non ha effettuato a Sagaing operazioni simili a quelle sferrate dal Bhutan lungo il confine con l’India per scacciare i ribelli indiani delle province nord-orientali. Ed è lecito pensare che ormai il Tatmadaw non è più neanche nella posizione di poterlo fare: tutte le divisioni militari che prima erano di stanza a Sagaing sono state dispiegate nelle città birmane per sedare la rivolta del movimento filo-democratico guidato dai monaci. L’India sta facendo pressioni per ottenere l’uso del porto birmano di Sittwe per gli stati del nordest che non hanno sbocco sul mare; ma i nostri scaltri diplomatici hanno elaborato una strategia per salvare il progetto, qualora si verificasse un cambio di regime e la giunta militare cadesse? Perché l’India continua a darsi tanto da fare per garantire la sopravvivenza della giunta birmana, che cosa ci ha mai concesso di così importante?

In realtà niente. Il fatto è che dal 1995 l’India insegue una chimera: i nostri diplomatici pensano che appoggiando la giunta riusciranno a contrastare l’influenza della Cina. Ma l’influenza cinese è molto radicata e Pechino ha basi troppo solide in Birmania perché Nuova Delhi possa anche solo pensare di poter arginarne l’influenza. Peraltro, la Cina si sta facendo in quattro per trovare una exit strategy che le consenta di conservare la propria influenza nel paese anche nel caso in cui la giunta cadesse. Per l’India a quanto pare non è così: nel South Block (sede degli uffici del primo ministro, del ministero degli Esteri e della Difesa, NdT) si brancola nel buio.

L’India può anche decidere di non aderire alle sanzioni sul modello occidentale, ma è tempo ormai che il nostro paese sospenda tutti i progetti in Birmania fino a quando la situazione non si sia stabilizzata. Questo è il primo gesto che l’India deve compiere per la causa della democrazia in Birmania, ma è altresì una mossa intelligente per evitare di investire del denaro che alla fine andrebbe perso. L’India dovrebbe poi esprimere una volta per tutte il proprio totale appoggio al movimento filo-democratico, intimando alla giunta militare di porre fine alla repressione e ai massacri e facendo pressioni affinché venga stabilito un calendario preciso per un ritorno graduale alla democrazia. Se la giunta farà orecchie da mercante e i massacri continueranno allora l’India dovrà sospendere tutti gli scambi commerciali con il paese fino a quando la situazione non cambierà. Il nostro esercito, inoltre, deve prepararsi ad affrontare con le sue sole forze i ribelli sul confine indo-birmano, perché comunque il Tatmadaw non sarà di alcun aiuto. L’India non riuscirà a riguadagnarsi le simpatie delle masse nel paese se non si deciderà ad assumere una posizione netta a favore di un ritorno della democrazia in Birmania. Solo svolgendo un ruolo attivo nel ripristino della democrazia nel Myanmar l’India potrà realizzare la sua ambizione di potenza asiatica.

Subir Bhaumik è il corrispondente della BBC dall’India orientale ed è esperto di questioni birmane

Traduzione di Marianna Matullo

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