«Ma secondo me il progetto non è finito»
Driss Lagrini intervistato da Amara Lakhous 11 May 2011

Per al Qaeda, l’uccisione di Bin Laden è la fine o un nuovo inizio?

L’uccisione di Bin Laden giunge a coronamento di una serie di colpi accusati da Al Qaeda negli ultimi anni, in reazione agli attentati dell’11 settembre e le bombe in Europa. E’ stata data la caccia ai suoi membri dappertutto, in Afghanistan, Pakistan e in altri paesi, costringendo l’organizzazione a darsi un nuovo assetto più disseminato nel mondo islamico. Così sono nate filiazioni in tutte quelle aree dove maggiore è la tensione: Somalia, Cecenia, Iraq, Yemen, e poi anche nei paesi del Maghreb, con una nuova strategia basata sui rapimenti. Un contrasto efficace al terrorismo può avvenire solo con il coordinamento e la cooperazione internazionale, individuando le cause della sua diffusione. Limitare il contrasto al terrorismo catturando, processando o uccidendo solo i capi non è sufficiente, in quanto molti soggetti coinvolti in azioni attribuite ad Al Qaeda non sono neanche stati addestrati né hanno mai avuto contatti con i capi dell’organizzazione, ma hanno acconsentito a realizzarne i piani in maniera del tutto spontanea, per motivi ideologici. Molti rapporti e ricerche confermano il fatto che la diffusione di Al Qaeda in tante aree del mondo non dipende da una relazione di affiliazione personale e dall’esecuzione gerarchica di ordini dall’alto, ma è una auto-affiliazione ideologica che porta a fondare cellule indipendenti dall’organizzazione centrale.

Perché Obama insiste nel dire che la guerra non è contro l’Islam?

Se fin dai primi discorsi Obama ha mandato dei segnali positivi ai musulmani, resta il fatto che quanto realizzato sul campo sul versante della questione palestinese e su quello dell’occupazione dell’Iraq ha fatto perdere qualche significato a questi messaggi. C’è stato il desiderio di guadagnarsi la simpatia dei musulmani e dei paesi islamici per isolare Al Qaeda ed evitare che qualcuno potesse simpatizzare con la sua agenda.

Le rivoluzione arabe pacifiche hanno fatto fallire il progetto di movimenti islamisti che predicano il terrorismo?

Non c’è dubbio che le masse uscite per le strade dei paesi arabi, guidate dai giovani, hanno portato a una rivalutazione del cambiamento pacifico. Attorno a una serie di rivendicazioni e obiettivi comuni, si è creato quindi il consenso di varie componenti della società, schieratesi contro il pensiero unico.

Come vede il revisionismo di alcuni leader di movimenti islamisti e jihadisti?

Credo che il ricorso al terrorismo sia un annullamento della ragione e della cultura delle differenze, del dialogo e della convivenza, soprattutto quando vengono presi di mira i civili innocenti. Sembra proprio che di fronte alle critiche e alla stigmatizzazione dei metodi violenti, sia all’interno dei singoli stati che a livello internazionale, molti movimenti hanno fatto ricorso a questo revisionismo, contribuendo in maniera decisiva a rivedere le posizioni ideologiche che spesso portano le persone a commettere atti di violenza.

Il mondo è più sicuro dopo la morte di Bin Laden, come ha detto il presidente americano?

La concretizzazione di una vera strategia di lotta al terrorismo dovrebbe partire da un concetto mondiale di questo fenomeno, superando l’approccio basato sulla sicurezza. La vera lotta al terrorismo non si avrà mai se rimangono irrisolti tutti i dossier e le questioni regionali e internazionali (l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e l’occupazione americana in Iraq), se continuano i comportamenti provocatori da parte americana, con politiche inique in molte sedi, arrivando ad intralciare l’opera di organizzazioni internazionali come l’Onu o sviandole dai propri legittimi obiettivi. Tali comportamenti sono unanimemente considerati dagli studiosi e dagli esperti una istigazione al terrorismo.

Dopo l’annuncio dell’uccisione di Bin Laden il dibattito si è incentrato tutto sulle modalità d’inumazione in mare: l’incubo di Bin Laden rimarrà dopo la sua morte?

Molti osservatori hanno espresso il loro disappunto per il modo con cui è stato trattato il cadavere di Bin Laden, gettandolo in mare con la scusa che la tomba avrebbe potuto diventare meta di pellegrinaggi e fonte d’ispirazione del pensiero di Al Qaeda. Il progetto qaedista non è finito con l’uccisione di Bin Laden, come dimostrato dalla diffusione dell’organizzazione in altre aree, con un aumento di sostenitori e simpatizzanti, perfino in paesi occidentali. Sembra che gli Usa siano pienamente coscienti che la cosa si farà sempre più pericolosa per il desiderio di vendetta.

I regimi dittatoriali dei paesi arabi hanno sfruttato il terrorismo per reprimere le libertà e rafforzare lo stato d’emergenza: è finito questo gioco di spauracchi?

Quel che è accaduto in Tunisia e in Egitto e le vive proteste in tutta una serie di paesi arabi dimostra che questi regimi si trovano su un binario morto, con la presa di coscienza popolare della necessità di liberarsi dalla corruzione e dall’ingiustizia. Anche i paesi occidentali si stanno rendendo conto dei costi che la complicità con regimi totalitari comporta per le loro politiche e le loro economie. Meglio dunque sostenere il processo democratico che è una via affidabile per avere stabilità e trasparenza.

Se la violenza non serve al cambiamento e alla democrazia, qual è il modo per sconfiggere la tirannia nel mondo arabo?

Le vive proteste popolari che si stanno avendo in molti paesi arabi hanno portato a rivalutare il ruolo della volontà dei popoli. Molti regimi politici arabi sono riusciti ad addomesticare le loro elites (militari, intellettuali, economiche, religiose, di partito ecc.) ora con le minacce ora con le lusinghe, limitandone lo spazio di manovra politico-costituzionale. Ciò le ha rese incapaci e non legittimate a svolgere la loro missione di leadership nella fase di cambiamento, permettendo al regime di continuare nelle prevaricazioni e nel disprezzo per la volontà popolare.

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