«Così diventiamo come l’Alabama degli anni ’20»
Jean Léonard Touadi intervistato da Alen Custovic 9 February 2010

Cosa rivelano i fatti di Rosarno?

Non appena ho visto le tragiche immagini di Rosarno, ho preso il primo aereo e mi sono recato nella cittadina. Quello che ho trovato sono gli stessi ingredienti che ho visto a Castel Volturno, lo stesso mix pericoloso fatto di criminalità organizzata, lavoro nero ed estremo disagio. Personalmente sono un conoscitore della storia dei neri degli Stati Uniti e quello che ho visto accadere nella cittadina calabrese assomiglia a quanto succedeva oltreoceano nell’Alabama degli anni Venti del secolo scorso, ma mai mi sarei aspettato che accadesse nell’Italia del 2010.

I fatti raccontano anche di come gli immigrati, soprattutto africani, armati di spranghe e bastoni, abbiano attraversato la cittadina facendo distruzione e creando caos. Perché tanta rabbia?

Sono stato il primo a diffondere un appello contro la violenza, cercando di far capire che sebbene possano avere mille ragioni dalla loro parte, la violenza fa sì che esse, abilmente manovrate dalle varie strumentazioni, possano diventare torti. Ai ragazzi ho cercato di far capire che la storia del popolo nero, dagli Stati Uniti al Sud Africa, insegna che i migliori risultati sono stati ottenuti dalla non violenza.

A cosa contribuiscono parole come “troppa tolleranza” o “bombe innescate” pronunciate da esponenti di spicco della politica?

Quel giorno mi sono sentito di rispondere da cittadino, prima ancora che da politico. Ecco perché sono rimasto esterrefatto dalla strategia elettorale usata anche su un episodio complesso e delicato come questo. Una cattiva politica spesso si avvale di meccanismi aggressivi in cui si calcano le differenze. In effetti in Italia stiamo assistendo, sin dagli anni Novanta, ad una vera e propria costruzione sociale del nemico, e i mass media ovviamente hanno fomentato il tutto. Il risultato è che nel tempo si sedimentano negli immaginari e nelle mappe simboliche quotidiane alcuni riflessi, alcune parole d’ordine che contribuiscono, oltre all’instabilità sociale, all’imprenditoria della paura.

E’ davvero accaduto tutto così inaspettatamente a Rosarno?

Di tutta questa vicenda bisogna ricordarsi anche che Rosarno era già un comune commissariato, evidentemente perché preesistevano problemi seri. La legge prevede che il commissario prefettizio invii una relazione trimestrale al Viminale. Mi chiedo, dov’è questa relazione? Cosa conteneva? Possibile che certi problemi non fossero mai emersi?

Che idea si è fatto del ruolo della ‘ndrangheta nelle proteste?

Per esperienza e da quanto ho avuto modo di capire andando a Rosarno, anche da interlocutori autorevoli quali l’associazione Libera, in quelle zone non capita mai nulla di importante se a permetterlo non sono i capi clan. Ancora mi chiedo infatti chi sono i misteriosi due individui che hanno dato inizio alla degenerazione. Una pista che, se perseguita, potrebbe portare a sviluppi molto interessanti. Davanti a minacce e pericoli concreti, molti immigrati se ne sono andati via perché non si sentivano più sicuri.

Quindi la ‘ndrangheta c’entra?

Un dato interessante che ho sperimentato di persona è stato vedere individui impugnare bastoni, spranghe e persino asce e agitarle contro gli immigrati, dai quali per fortuna li separava il cordone di polizia, e quelle stesse persone partecipare alla successiva manifestazione antirazzista. Un’altra considerazione interessante alla quale sono giunti due giornali per molti aspetti divergenti come Libero e l’Unità, è che sembra una strana coincidenza che una degenerazione del genere coincida con l’entrata in vigore dei nuovi rimborsi europei che non si concedono più in base ai frutti effettivamente raccolti ma in base agli ettari di terreno formalmente coltivati. In altre parole, pare che a un certo punto la manodopera fino a ieri fondamentale non serviva più. Sembra anche una strana coincidenza la bomba al palazzo di giustizia di Reggio Calabria.

Cosa c’entra in tutto questo il modo di gestire l’immigrazione?

Molti degli immigrati che ho incontrato a Rosarno sono stati a lavorare in Puglia, in Campania ma anche a Brescia. Questo significa che c’è un vero e proprio “esercito” di lavoro nero che si sposta in lungo e in largo per l’Italia. Un altro dei problemi seri è la mancanza di strumenti flessibili di gestione del lavoro stagionale. In questo ovviamente c’entra la cosiddetta legge Bossi-Fini che, sebbene diceva di voler combattere l’illegalità, di fatto l’ha fomentata.

Cosa c’entra in tutto questo il razzismo?

Certamente in quello che è successo a Rosarno c’è una forte componente razzista. Nel circuito delle televisioni internazionali è passato chiaramente il messaggio della “caccia al nero” che si è consumata in Italia. Quello che spesso si dimentica è che eventi del genere non vanno sottovalutati. La verità è che ci piace raccontarci quello che vogliamo sentire, come ad esempio che il nostro colonialismo era buono mentre poi abbiamo scoperto che usavamo i gas sull’Etiopia; abbiamo la memoria corta e dimentichiamo che siamo stati noi ad approvare le leggi razziali nel 1938. Stiamo diventando sempre più una società impaurita ma anche incattivita.

“Gli immigrati vanno rispettati in quanto esseri umani”, ha detto papa Benedetto XVI. Che significato ha il rispetto riferito agli immigrati?

Molto importante è l’indirizzo che la politica imprime nella società. In Parlamento si parla tanto di difesa della vita, embrionale e morente, ma la vita di mezzo chi la protegge? Coloro che votano a difesa dell’embrione in quanto vita sono gli stessi che creano leggi che poi rovinano le esistenze di persone viventi. La politica stessa manca di coerenza.

E adesso, chi raccoglierà le arance?

Torneranno, gli immigrati torneranno. Non c’è alternativa. Interpellando gli addetti ai lavori si capisce che i rosarnesi, sebbene la disoccupazione si aggiri attorno al 18%, non sono disposti a lavori di quel tipo.

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