“Se l’Ue ci boccia finiremo in Medio Oriente”
Una conversazione con Ferai Tinc, columnist di Hurriyet 3 July 2007

Istanbul

Ferai Tinc, per il suo Paese questo è un momento quanto mai difficile dal punto di vista interno. E intanto continua il cammino, faticoso, verso Bruxelles. Come vede i negoziati per entrare in Europa?

Sarò molto franca: vedo errori su errori da entrambe le parti. In questo momento Bruxelles mi pare molto più preoccupata di risolvere i suoi problemi interni che di analizzare con la dovuta completezza quelli che riguardano la Turchia.

Il riferimento alla questione di Cipro mi pare quanto mai evidente. A ottobre il premier Recep Tayyip Erdogan ha tentato una mediazione per chiudere il capitolo una volta per tutte, chiedendo l’apertura di due scali a Cipro Nord (riconosciuta a livello internazionale solo da Ankara, ndr) in cambio del riconoscimento della parte greca dell’isola. Ma Bruxelles ha risposto picche. Cosa ne pensa?

Credo si sia trattato di un gesto frettoloso, una sorta di rimedio dell’ultimo momento, poco coraggioso e credibile per giunta, visto che due giorni dopo la cosiddetta apertura ha detto che la posizione della Turchia rimane invariata. Ma anche Bruxelles non ne esce bene.

Che colpe ha Bruxelles?

Sostanzialmente quella di non aver valutato la questione in maniera corretta e di essersi ridotta all’ultimo momento. Molti a Bruxelles pensano che la questione Cipro alla fine sia un problema regionale, da risolvere a tavolino. Invece è un dramma che rischia di esplodere da un momento all’altro e che rimanda alle relazioni fra Turchia e Grecia, che sono da sempre molto critiche. Da mesi leggo i bollettini che mi inviano le organizzazioni presenti sul posto. L’intolleranza reciproca fra le due comunità cresce di giorno in giorno. C’è bisogno urgente di trovare una soluzione condivisa.

Il governo di Nicosia però fino a questo momento ha espresso giudizi molto negativi sul piano presentato da Ankara.

Il governo di Nicosia ha delle responsabilità molto gravi con le quali temo dovrà fare i conti molto presto a partire dall’opera di disinformazione fatta prima del referendum del 2004 sulla riunificazione dell’isola, che fu bocciato proprio dalla parte greca.

Visto da parte turca il ragionamento non lascia dubbi.

E invece sbaglia. Non è questione di parte turca o greca. Lo dico per entrambe le comunità presenti sull’isola. Sul suolo di Cipro ci sono quasi 200mila turchi. Se non verrà trovata una soluzione di compromesso e la parte turca dell’isola avrà dei problemi, busserà inevitabilmente alla porta di Ankara, che dovrà rivalersi sull’Europa, creando nuove tensioni e un circolo vizioso. Guardi mi creda se le dico che la questione è veramente spinosa e si trascina da anni ormai. E lo ripeto: l’Europa ci doveva pensare prima perché questo problema rischia di provocare anche una situazione di instabilità anche a Bruxelles. Senza contare che la situazione potrebbe aggravarsi seriamente a causa della presenza di ingenti giacimenti di petrolio sul fondo del Mediterraneo. Non è ancora stata risolta la questione dei confini e delle acque territoriali, temo che su quel tesoro sommerso possano sorgere nuovi e gravi problemi. Le recenti polemiche fra Nicosia e il ministro dell’Energia turco Hilmi Guler lo dimostrano. Entrambi gli Stati (Repubblica di Cipro sud, a maggioranza greca, e Turchia, ndr) credono di avere in diritto di sondare il mondo marino perché entrambi gli Stati si sentono legittimati a farlo. Cosa possa scaturire da una situazione del genere non è difficile da intuire.

Parlando di stabilità il suo paese purtroppo negli ultimi tempi vive una situazione senza precedenti, caratterizzata anche da un nuovo contrasto fra l’esecutivo democraticamente eletto dal popolo e la giunta militare.

Perché i militari hanno avuto un ruolo troppo importante nella storia della Turchia. Credo che entrambe le componenti, governo ed esercito, debbano prendere ancora le misure con il cambiamento in atto nel paese. Le tensioni fra le parti continueranno ad esserci, e i militari continueranno a fare sentire la propria presenza, ma, ripeto, ormai siamo uno Stato dalle solide basi democratiche.

Va bene ma il Capo di Stato Maggiore, il generale Yasar Buyukanit, lo scorso 27 aprile ha pubblicato un comunicato nel quale c’era scritto a chiare lettere che non si escludeva un intervento concreto nella vita del Paese…Visti i rapporti da sempre molto tesi fra le due parti, non è che questa goccia fa traboccare il vaso?

Se si riferisce all’eventualità di un golpe come quello del 1980, le dico serenamente di no. La Turchia oggi è uno Stato sulla strada della democrazia, che cambia in fretta. Cambia soprattutto la mentalità della gente, per questo penso che un golpe sia poco probabile. E le incursioni nella vita pubblica del Paese sempre meno condivisibili.

Però a ben vedere Erdogan un mezzo passo indietro lo ha fatto. Molti erano convinti che si sarebbe candidato alla Presidenza della Repubblica e invece ci ha rinunciato, mandando avanti il suo “delfino” Abdullah Gul. Non è bastato a evitare la crisi politica, ma si è trattato di un gesto comunque molto forte. Lei come lo ha collocato?

Ha voluto sondare il terreno fino alla fine. Quando ha capito che il popolo turco non avrebbe accolto bene la sua candidatura, ci ha rinunciato.

Lanciando al suo posto il ministro degli Esteri Abdullah Gul, che i giornali di opposizione hanno definito la sua fotocopia, e che dopo la sua clamorosa bocciatura da parte del Parlamento ha fatto passare una riforma costituzionale che rischia di spaccare in due il Paese. Non ha esagerato?

Ma, vede, questo governo, in questi cinque anni di mandato ha più volte manifestato intenzioni di portare a termine diverse iniziative, controllando però nel contempo come avrebbero potuto essere percepepite dal popolo. Generalmente non si tratta di un partito che vuole creare tensioni nel paese. Credo che si comporterà così anche questa volta. La Turchia non vuole tensioni e questo Recep Tayyip Erdogan lo ha capito e ha indetto le elezioni anticipate.

Non potrà però negare che la situazione è tesa.

Credo che i toni siano stati alzati da tutte le parti e questo mi dispiace moltissimo.

Bene. Torniamo in Europa adesso. Le elezioni in Francia hanno visto la vittoria di Nicolas Sarkozy alla Presidenza della Repubblica. Uno dei punti principali del suo programma era sbarrare la strada alla Turchia verso l’Unione Europea. Che cosa succederebbe, secondo lei, se Bruxelles dovesse veramente interrompere o annullare i negoziati?

Ci saranno delle ripercussioni molto serie e a pagare sarà l’Europa. Sul piano politico ed energetico. Dal punto di vista politico, se la Turchia viene esclusa dall’Unione Europea viene automaticamente fagocitata dall’area mediorientale, con tutto quello che ne consegue, incluso uno spostamento del baricentro del terrorismo internazionale verso ovest. Gli arresti di membri di Al-Qaida dei giorni scorsi sono un segnale importante. E poi c’è la questione energetica. La Russia sta conducendo una politica molto aggressiva. L’Europa ha bisogno di risorse alternative, come il Caucaso o il Medio Oriente. E per attingervi deve passare per la Turchia. Il mio paese è troppo importante per essere ignorato. Bruxelles ed Ankara dovrebbero imparare a lavorare per costruire insieme un futuro di benessere comune.

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