Un primo passo verso l’Islam italiano
Ejaz Ahmad 9 February 2009

Gli imam in Italia predicheranno in italiano? Era ora. Peccato che l’idea l’avevano già lanciata i membri della Consulta Islamica almeno due anni or sono. La Consulta, che ha preso forma per volontà e saggezza dell’ex Ministro dell’Interno Pisanu, per poi proseguire con il suo successore Amato, si è ora arenata con il Ministro Maroni. Però le soluzioni che erano state proposte dovevano essere buone, visto che per altre strade e altre bocche sono arrivate alla ribalta. E così gli imam dovrebbero parlare italiano. Ma speriamo non per essere spiati o controllati, ma perché si dovrebbero rivolgere a tutti quelli che sono interessati o incuriositi dalla materia, tra cui, perché no, anche qualche italiano o cinese.

Da qui la necessità di una lingua franca lontana, sicuramente, dalla tradizione e dalla cultura islamica, e per questo necessaria per una nuova divulgazione. Professare il proprio credo è un diritto fondamentale e per alcuni individui anche una necessità. Collocata nelle libertà inalienabili dell’essere umano, così come la libertà d’espressione e di pensiero dovrebbe essere protetta, oltre che rispettata. E allora perché non si riprende in mano tutto il pacchetto di proposte che la Consulta Islamica aveva elaborato tempo addietro? Tipo la creazione di scuole dove i futuri imam si possano formare, così come la trasparenza dei fondi delle diverse moschee, o il controllo sulla provenienza dei denari elargiti. Ma soprattutto perché non allontanare quel bieco ostracismo sulla costruzione di nuove moschee, che più che un problema d’ordine pubblico ha il sapore di una nuova crociata? Non sarebbe meglio, per chi ha il dovere di vigilare, controllare luoghi deputati al culto, invece che centinaia di palestre o di scantinati?

La priorità è realizzare una Fondazione per l’Islam italiano, riconosciuta dal Governo e rafforzata da un’intesa. E, come quelle già esistenti per altre religioni, con il suo otto per mille. Accedere a fondi trasparenti e pubblici non è solo democratico, ma anche intelligente. L’Islam è per sua natura una religione orizzontale, senza gerarchie ecclesiastiche. Ma i continui attacchi e divieti non fanno altro che snaturare la struttura originaria dell’Islam, rafforzando il bisogno da parte della comunità musulmana di creare dei leader. Bisogna che le parti escano dall’ottica della competizione. Abbassare la fiamma per non far uscire la minestra sul fuoco è perspicace, e non ha niente a che fare con l’invasione.

La Fondazione aiuterebbe lo sviluppo di un Islam italiano, che non deve necessariamente significare “occidentalizzato”, ma più che altro “plurale”. In Italia si è portati a pensare all’Islam come ad un unicum, così come lo è la Chiesa Cattolica con il suo Stato e la sua struttura gerarchica, la stessa in tutto il mondo. Ma ciò non vale per l’Islam, che si adatta ai tessuti culturali che incontra. Attualmente l’Islam in Italia è un caleidoscopio di forme, tante quante sono le comunità che lo rappresentano. Da qui nasce la necessità di dare ai musulmani d’Italia una struttura nella quale tutti possano riconoscersi. Gli imam in Italia dovranno parlare in italiano anche per interagire e promuovere scambi culturali con gli italiani. Ma soprattutto per garantire alle seconde generazioni un pieno diritto di cittadinanza: essere italiani e, per chi vorrà, anche di fede islamica.

Ejaz Ahmad è membro della Consulta per l’Islam italiano e caporedattore della rivista Azad

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