Egitto in transizione: lo SCAF invita le forze politiche a un «dialogo urgente»
Elisa Pierandrei 23 November 2011

A pochi giorni dall’inizio delle elezioni legislative in Egitto, Midan Tahrir riprende l’aspetto del 25 gennaio scorso, quando scoppiò la rivolta che portò alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak. I giovani sono tornati ad occupare il selciato della piazza per quella che su social network e blog gli attivisti chiamano “la seconda rivoluzione”, innescata perché governo e SCAF, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, “vogliono far fallire la prima”.

I militari si trovano adesso in una situazione difficile. L’esercito non dovrebbero giocare nessun ruolo nelle elezioni se non quello di garantirne uno svolgimento pacifico per poi tornare ai propri compiti di difesa dello Stato. Inoltre in questi 10 mesi lo SCAF ha lasciato spazio al dialogo politico non ostacolando la nascita di nuovi partiti, sottolineano alcuni osservatori. C’è stata invece una proliferazione di nuovi partiti.

Ma i militari non ammettono critiche. C’è un rapporto di Amnesty International diffuso in queste ore che denuncia violazioni dei diritti umani da parte dei militari contro attivisti incarcerati e condannati da tribunali militari. Non solo. Sembrano intenzionati a rafforzare il proprio potere. Due, in particolare, le recenti proposte governative che hanno fatto irritare forze politiche e attivisti: quella che prevede la facoltà dello SCAF di nominare 80 dei 100 membri della commissione incaricata di riscrivere la nuova Costituzione egiziana; la garanzia che il budget dei militari non potrà essere sottoposto ad alcun esame del parlamento.

Il fatto che l’Egitto non abbia un Presidente fa sì che l’esercito continuerà a governare anche dopo le legislative, perché l’attuale sistema prevede che governo e Primo Ministro non rispondano al parlamento, bensì direttamente al Presidente, del quale l’esercito è vicario. Ma, al di là di facili promesse, tra elezioni del parlamento e stesura della nuova Costituzione le elezioni presidenziali si dovrebbero tenere fra un anno, e nel frattempo l’esercito continuerà ad esercitare il suo potere.

È questa interminabile transizione sotto l’ala dei militari che irrita attivisti, politici ed intellettuali. Sono divisi fra chi sostiene la necessità di eleggere un parlamento incaricato della stesura di una “Supercostituzione” (difficile da emendare da parte del nuovo presidente) con al governo un premier forte che intanto amministri il paese. C’è invece chi chiede presidenziali subito e ribadisce la necessità di un rapido passaggio ad un governo civile. Per questi, non si tratta di capire chi potrebbe governare meglio, ma piuttosto di non tradire lo spirito della rivoluzione civile. Inoltre, i conservatori hanno convinto la gente che laico è sinonimo di ateo, per cui ora si usa questo termine.

Analisti ed osservatori ritengono improbabile una uscita immediata dei militari dalla scena politica egiziana. In risposta alle violenze scoppiate nei giorni scorsi a Midan Tahrir (bilancio: almeno 30 morti e 1400 feriti), il governo ha rassegnato le dimissioni – e questo era prevedibile –, e i militari le hanno accettate. Aprendo quindi al dialogo con le forze politiche. I Fratelli Musulmani, la cui affermazione nelle legislative che iniziano il 28 novembre e finiscono a marzo è scontata, hanno accettato un incontro con i vertici militari, invitando i loro sostenitori a non partecipare al maxiraduno ancora nella “Piazza della Rivoluzione” di martedì 22 novembre. È un modo, secondo la Fratellanza, per evitare altri spargimenti di sangue.

Molto dipende quindi dall’accordo che riusciranno a strappare in queste ore le forze politiche. Schierarsi con la piazza o aprire al dialogo con lo SCAF, e in che modo? Non resta che aspettare.

Attraverso un candidato, il Consiglio Supremo delle Forze armate egiziane ha intanto fatto sapere che ha raggiunto un accordo con le delegazioni dei principali partiti politici sulla formazione di un governo di unità nazionale. Secondo fonti militari il Consiglio sta valutando la possibilità di nominare l’ex Direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), Mohammed ElBaradei, nuovo Primo Ministro al posto del dimissionario Essam Sharaf. Secondo le fonti, alla candidatura di ElBaradei sarebbero favorevoli numerose formazioni politiche fra le quali i Fratelli musulmani; un altro possibile nome per la guida del governo sarebbe quello di Abdelmoinem Abul Fotuh, possibile candidato alle presidenziali ed ex membro dei Fratelli musulmani.

La tenaglia dei militari sul potere potrebbe così allentarsi. Ma la piazza si accontenterà? È nel braccio di ferro fra giovani attivisti, militari e islamici che sta la soluzione. Gli stessi militari che hanno facilitato l’allontanamento del vecchio rais. Non è affatto chiaro chi potrà prendere il loro posto e mandarli via.

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