Egitto in transizione: «Con le elezioni il tempo della rivoluzione è finito»
Elisa Pierandrei 1 December 2011

L’Egitto ha attraversato momenti molto difficili la settimana scorsa quando le incursioni violente delle forze della sicurezza che tentavano di sgomberare Piazza Tahrir, di nuovo occupata da un sit-in permanente, hanno provocato oltre 40 vittime e 1400 feriti. Per un po’ si è temuto, secondo quanto si leggeva su blog, Twitter e Facebook, che l’Egitto diventasse una nuova Siria.

Ma l’aperura delle urne lunedì 28 novembre, che ha dato il via alle prime legislative del dopo Mubarak, sembra aver portato una ventata di ottimismo, almeno fra gli abitanti del Cairo, insieme ad Alessandria e Port Said, fra le prime città a votare. Finora non si sono registrati scontri. Certo, la stampa locale (vedi l’indipendente Al Masry Al Youm) insiste già sul pericolo di risultati manipolati da brogli elettorali, ma i cittadini si sentono di essere chiamati a scegliere per la prima volta liberamente un candidato. Si guarda con soddisfazione all’evoluzione della situazione in Tunisia, mentre un rapporto recente diffuso dal Centro Sondaggi Gallup denuncia che la maggior parte degli egiziani crede che il protrarsi delle proteste nuoccia al Paese.

Il nuovo quotidiano indipendente egiziano Tahrir, nato dopo la rivoluzione di febbraio, apriva il 29 novembre, secondo giorno di voto, con un articolo dal titolo: “I sangue dei martiri illumina la strada verso la democrazia”. Sono circa 40 milioni gli egiziani chiamati alle urne per rinnovare le due camere del parlamento secondo un calendario che stabilisce diverse tornate elettorali distribuite lungo l’arco di 4 mesi. Cinque le coalizioni scese in campo: Alleanza Democratica, il principale partito della coalizione è Libertà e Giustizia, il braccio politico dei Fratelli Musulmani. Dell’Alleanza Democratica fanno parte anche movimenti laici come Al Ghad fondato nel 2005 da Ayman Nour; Blocco Egiziano che è stato costituito a giugno da una serie di movimenti laici; Terza Via, la coalizione intende collocarsi in una posizione intermedia tra l’Alleanza democratica e il Blocco egiziano laico; Coalizione Islamista, che raccoglie alcuni movimenti di orientamento salafita; Alleanza per la Prosecuzione della Rivoluzione, di cui fanno parte una serie di movimenti liberali, socialisti e islamisti moderati, che inizialmente avevano aderito al Blocco Egiziano.

Per l’Egitto, il più popoloso dei paesi arabi, queste elezioni rappresentano un passaggio delicato verso la democrazia. Perché la rivoluzione del 25 gennaio non resti incompiuta. “Dalle ceneri dell’ex regime sono nati quasi 300 fra partiti e organizzazioni politiche. C’era da aspettarselo dopo 60 anni di oppressione politica e sociale”, osserva Firas Al Atraqchi, ex News Editor per Al Jazeera English Online che adesso insegna all’Università Americana del Cairo. Tuttavia, partiti laici e di sinistra sono scesi in campo tardi e la loro influenza su popolazione e forze al potere resta limitata. “Si sono organizzati in ritardo – dice l’esperto – non riuscendo così ad assolvere l’importante compito di esercitare pressioni sullo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate che sta traghettando il paese durante la transizione, ndr)”. Ruolo che invece è toccato ai giovani che, soffocati dalla mano pesante dei militari, hanno rioccupato Piazza Tahrir chiedendo l’uscita immediata dello SCAF dalla scena politica nazionale.

L’eccezione sono “i Fratelli Musulmani che (attraverso il loro braccio politico, il nuovo partito Libetà e Giustizia, ndr) hanno lavorato per continuare a rafforzare un’immagine, che di fatto sono impegnati a costruire da ben 80 anni”. Hanno aperto un nuovo sfavillante quartier generale a Mokattam lanciando una campagna di marketing e PR davvero aggressiva. Durante le festività islamiche hanno distribuito carne (che a causa dell’inflazione è diventata carissima) e sfamato i poveri.

Invece, molti egiziani negli scorsi giorni si lamentavano di non sapere per chi votare. Non sono stati informati abbastanza né dai media né dagli stessi partiti politici che dovrebbero invece rappresentarli. Alcuni hanno chiesto consiglio ai membri della propria famiglia. Altri ad amici. Altri ancora sono arrivati ai seggi e si sono rivolti ai rappresentanti dei partiti sul posto. Molti quelli dei Fratelli Musulmani che hanno allestito banchetti in cui si potevano ottenere informazioni sulla circoscrizione esatta di voto. “È assolutamente ridicolo che gli elettori egiziani vadano alle urne così disinformati – dice Al Atraqchi – Il tempo della rivoluzione è finito. Sono queste elezioni (boicottate da molti attivisti blogger che lanciarono la rivolta a febbraio, ndr) che ne hanno decretato la fine”.

Per Al Atraqchi, che adesso scrive anche per il popolare sito di blogger Huffington Post (leggi anche Something Remarcable is Happening in Egypt), anche la rivoluzione dei giovani di Tahrir deve sforzarsi di sfociare in attivismo politico. “Abbiamo ascoltato i loro slogan, letto i loro striscioni, onorato il loro sacrificio. Ma ora è il momento di costruire le fondamenta di un futuro democratico con elezioni e partiti”. E invece molti di loro hanno deciso di boicottare le legislative per impedire che diventino un modo per legittimare il potere dei militari.

In particolare, Al Atraqchi punta il dito contro il network di giovani attivisti che hanno lanciato la rivoluzione del 25 gennaio. Invece di trasformare le proteste di strada in associazionismo politico, “abbiamo assistito ad un mero trasferimento di energia da Tahrir a Twitter. Per molti mesi questo social network è diventato il terreno di battaglia di questi ragazzi. Per alcuni l’unico Egitto era quello di Twitter. Un errore fatale”.

I Fratelli Musulmani hanno raccolto il successo che Al Atraqchi prevedeva. “Ma – conclude l’esperto – se poi saranno capaci di risolvere alcuni dei problemi economici degli egiziani, il margine dei loro seggi molto probabilmente crescerà nei prossimo quattro o cinque anni”.

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