“L’Egalite? Per noi neri non esiste”
Intervista a Patrick Lozes, presidente del Cran 13 April 2007

Parigi

Il Cran rappresenta i neri francesi e ha come fine la lotta contro le discriminazioni. Qual è il livello di discriminazione in Francia?

Si rende conto che in Francia non c’erano dati disponibili sulle discriminazioni verso i neri? Per rimediare a questo vuoto il Cran ha commissionato a Tns, un istituto di sondaggi, un barometro, il primo sondaggio del genere mai realizzato. Effettuato in gennaio, ha rivelato che il 61% dei neri interrogati dice di essere stato vittima di discriminazione negli ultimi 12 mesi. Dice inoltre che quando si è neri si hanno 2,25 chance in meno degli altri francesi di diventare quadro e 1,5 in più di diventare operai alla catena o impiegati di fast food. L’81% dei neri con più di 18 anni è francese, eppure è questa la realtà quotidiana di milioni di concittadini all’ombra delle promesse d’uguaglianza e di fraternità del nostro ideale repubblicano.

Questo vuol dire che il modello repubblicano d’integrazione non funziona?

Che non funzioni è un’evidenza che adesso sarà difficile da mascherare. Nonostante ciò io non chiedo un rigetto del nostro modello, ma un suo miglioramento. La via attualmente privilegiata dal modello francese è quella individuale. L’idea alla base delle politiche pubbliche d’integrazione in Francia è che gli individui debbano potersi fondere nella massa e che non debba essere possibile fare la differenza tra vecchi stranieri e nuovi cittadini. Questa strada è adatta per certe popolazioni considerate come fenotipicamente vicine. È meno adatta per le popolazioni differenti: i neri per esempio, per i quali è sempre possibile notare una differenza anche dopo che siano divenuti cittadini. L’obiettivo è prima di tutto far sì che questi gruppi siano considerati come appartenenti alla collettività politica. C’è bisogno di una tappa collettiva supplementare prima dell’integrazione individuale, bisogna far capire a tutti i concittadini che si può essere nero e francese, magrebino e francese. È la fase in cui siamo attualmente.

Si avvicinano le elezioni presidenziali. In questa campagna i candidati stanno affrontando i temi della discriminazione e dell’integrazione?

Sì, ma non per forza attraverso proposte concrete. Qualche settimana fa abbiamo inviato ai candidati un questionario il cui fine era di raccogliere le loro proposte per ridurre le discriminazioni di cui sono vittime le popolazioni nere. Abbiamo reso pubbliche le risposte dei 5 principali candidati (Jean Marie Le Pen non è stato interrogato). Sull’utilizzazione delle statistiche della diversità per lottare contro le discriminazioni razziali Marie George Buffet (Comunisti), Dominique Voynet (Verdi), François Bayrou (Centro) e Nicolas Sarkozy (Destra) si sono dichiarati piuttosto favorevoli qualora l’anonimato sia rispettato. Ségolène Royal ha dichiarato invece di non essere favorevole perché, ha spiegato, l’obiettivo della rivelazione delle discriminazioni può rivoltarsi contro se stessa con la schedatura dei cittadini in funzione di criteri che sono contrari ai nostri valori repubblicani.

Cosa chiedete ai candidati?

D’essere pragmatici e dirci concretamente quello che faranno per ridurre le ineguaglianze di cui i neri sono vittime. Dopo la diagnosi allarmante stabilita dal barometro del Cran, sta al personale politico apportare i rimedi. In parallelo io ho pubblicato un libro, Noi i Neri di Francia, che presenta proposte molto concrete per il lavoro, la casa, l’educazione che potrebbero essere riprese facilmente in un programma.

Cosa pensa della “discriminazione positiva” proposta da Nicolas Sarkozy? Non è in contraddizione col modello repubblicano?

Per niente! “Discriminazione positiva” è un’espressione impossibile. Una discriminazione difficilmente può essere positiva ed è curioso che si sia scelto di tradurre l’espressione inglese “affermative action” in questa maniera. Alla base “dell’azione affermativa”, per usare una traduzione migliore, c’è una domanda d’uguaglianza che punta a tradurre il principio repubblicano nei fatti. Se più candidati sono sulla stessa linea di partenza e uno tra loro soffre di un handicap, l’azione affermativa serve per colmare questo handicap e permettergli di correre allo stesso livello degli altri, perché abbia le stesse chance degli altri di vincere la corsa. Nel nostro paese questa domanda s’esprime in maniera violenta al punto che si può dire che la compensazione delle ineguaglianze non è più una scelta, ma un imperativo. Le ragioni che hanno condotto alle rivolte del 2005 sono sempre presenti e l’azione affermativa non è nient’altro che la presa in conto di queste difficoltà quotidiane legate al colore della pelle senza pretendere di rimpiazzare i dispositivi esistenti, ma completandoli e moltiplicandone l’efficacia. L’azione affermativa non vuol dire dare un vantaggio ai neri, ma ridurre le ineguaglianze legate alle discriminazioni. Se non ci fosse la discriminazione non ci sarebbe bisogno dell’azione affermativa! Bisogna sapere poi che l’azione affermativa c’è già nel nostro paese ed è utilizzata correntemente per compensare gli handicap geografici, scolastici, sociali. Pagare più o meno imposte secondo che si guadagni più o meno? Azione affermativa. Le Zep (Zone di educazione prioritaria)? Azione affermativa. I francesi fanno dell’azione affermativa senza saperlo.

Sarkozy ha proposto la creazione di un ministero dell’Immigrazione e dell’Identità. Che ne pensa?

Nel nostro paese si può parlare d’immigrazione, si può parlare d’identità nazionale, ma associare i due vuol dire lasciar intendere che l’immigrazione minaccia l’identità nazionale, vuol dire favorire, coscientemente o no, gli scontri là dove bisognerebbe invece unire. Vuol dire far nascere le tensioni mentre la questione che si pone alla Francia è di imparare a separare i due concetti. Nel linguaggio politico di oggi il termine immigrazione designa chiaramente i neri e i magrebini. Quando si indica l’immigrazione come una minaccia, si indicano, concretamente, i milioni di francesi neri e magrebini. La questione che si pone oggi sull’identità nazionale in Francia non è una questione d’immigrazione o integrazione, ma una questione d’accettazione, perché gli “immigrati” di cui si parla sono prima di tutto Francesi. Bisogna ripeterlo finché sia pienamente accettato da tutti, che si può essere francese e nero, francese e magrebino come si può essere francese e omosessuale, francese e ebreo. Non siamo meno francesi!

È possibile farsi un’idea del voto dei neri francesi?

Ci sono circa un milione e mezzo di neri con l’età per votare. Per me è un’evidenza: i neri faranno la differenza! Non bisogna dimenticare che il primo turno delle elezioni del 2002 s’è giocato per 200mila voti, quelli che separarono Le Pen da Lionel Jospin.

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