“L’economia ha sconfitto il razzismo”
Bernard Wuthrich intervistato da Marco Cesario 26 February 2009

Il 59,6% degli Svizzeri ha detto sì all’accordo sulla libera circolazione dei lavoratori tra Unione europea e la Confederazione malgrado i sondaggi avessero indicato un risultato molto più incerto. Secondo lei, come si spiega questo risultato?

Effettivamente esisteva un’incertezza sull’esito del voto, ma ho l’impressione che all’ultimo momento il popolo svizzero non abbia voluto correre il rischio di privarsi delle relazioni economiche con l’Unione europea proprio nel momento in cui una crisi economica di vasta portata si abbatte su di noi. Il rischio di tagliare i ponti con l’Ue è probabilmente l’elemento che spiega questo risultato eclatante. I sondaggi non hanno captato questa forte mobilizzazione durante le ultime settimane. Occorre precisare che i sondaggi sono effettuati fino a 15 giorni prima e non oltre, per ragioni legali.

Per la destra nazionalista, che ha fatto una massiccia campagna per il “no”, questo risultato è una sconfitta, mentre per il governo era capitale raggiungere il quorum per dare il via all’accordo. Il risultato modifica lo scenario politico della Svizzera?

Il risultato dimostra che abbiamo un sistema politico che fa sì che siamo chiamati a votare in maniera estremamente frequente in Svizzera. Oggi coloro che propongono di regolamentare le nostre relazioni con l’Ue hanno il problema di evitare di dover sistematicamente ritornare alle urne ogni qual volta l’Ue accetta un nuovo stato membro. Quando ad esempio l’Ue accetterà la Croazia, noi dovremo ridiscutere l’estensione dell’accordo sulla libera circolazione dei lavoratori tra Ue e Confederazione e ci sarà anche la possibilità di chiedere un referendum per rispondere al quesito. L’economia svizzera, soprattutto i rami legati all’esportazione, ne ha abbastanza di questo sistema. Da questo punto di vista il risultato può modificare lo scenario, ma non credo più di tanto.

Aver detto “sì” a questo accordo significa aver confermato i rapporti bilaterali firmati precedentemente con l’Unione europea, in particolare gli accordi economici dei Bilaterali I, approvati a grande maggioranza dal popolo svizzero nel 2000. E’ forse il segno di un nuovo dialogo Ue-Svizzera?

Credo si tratti piuttosto del proseguimento di una soluzione che è stata scelta dal popolo svizzero all’inizio degli anni novanta. Gli svizzeri non hanno voluto un accordo più forte con l’Unione europea. Adesso occorre riflettere sul fatto che i prossimi dossier che dobbiamo discutere e negoziare con l’Ue sono difficili. Si tratta innanzitutto di regolamentare le questioni fiscali e, come lei sa, i temi fiscali sono diventati estremamente importanti all’interno dell’Unione europea. Da questo punto di vista la posizione della Svizzera non è sempre facile, nella misura in cui la Svizzera possiede il segreto bancario come anche altri stati dell’Ue come l’Austria, il Belgio ed il Lussemburgo. Noi ci teniamo a conservare il segreto bancario e non vogliamo che l’Unione europea eserciti una pressione forte su di noi affinché venga abolito. Il segreto bancario ha fatto la grandezza e la forza della piazza finanziaria svizzera. Credo che le prossime tappe del negoziato con l’Ue saranno difficili.

Il governo elvetico ha vinto questa sfida grazie anche all’appoggio degli imprenditori e del mondo finanziario svizzero. Il primo partner commerciale della Svizzera resta infatti l’Europa.

Effettivamente si è trattato di una vittoria innanzitutto economica. L’economia si è impegnata in questo senso e l’argomento economico ha avuto un peso determinante sul risultato finale.

Le destra nazionalista ha fatto spesso appello ad una propaganda xenofoba e razzista soprattutto nei confronti della mano d’opera straniera. Questo voto costituisce anche una risposta della società civile al razzismo?

Esattamente. L’argomento della xenofobia non ha attecchito. Una certa propaganda ha addirittura comparato i lavoratori romeni e bulgari a dei corvi che ruberebbero il pane e dunque il lavoro agli svizzeri. Il risultato di questo voto mostra che la maggioranza del popolo svizzero non condivide queste idee.

I difensori del « no » hanno avanzato la teoria secondo la quale il voto causerebbe un aumento del flusso migratorio, che a sua volta le avrebbe un impatto negativo sulle infrastrutture svizzere e provocherebbe un aumento della pressione sui salari dei lavoratori svizzeri. Lei condivide quest’analisi?

In certi settori è stata esercitata una pressione sui salari dei lavoratori ma al tempo stesso noi abbiamo adottato in Svizzera delle misure, chiamate “misure d’accompagnamento”, che permettono di effettuare dei controlli che non esistevano prima. Ci sono stati degli abusi che sono stati denunciati grazie a questi controlli, che possono comunque in futuro essere migliorati. La Svizzera si è dotata di un arsenale giuridico e di controllo che permette di combattere tutto ciò. E’ evidente però che il livello alto dei salari e in generale del tenore di vita svizzero facciano sì che la libera circolazione dei lavoratori eserciti una certa pressione sui salari dei lavoratori svizzeri. E’ per questa ragione che numerosi lavoratori distaccati sono riusciti ad avere contratti in Svizzera, ma ciò fa parte della libera circolazione delle persone.

Come la Lega Nord in Italia, anche i partiti xenofobi svizzeri puntano il dito contro gli stranieri accusandoli di rubare il lavoro agli svizzeri. In un’Europa sempre più multiculturale e multiconfessionale, come favorire una piena integrazione e come evitare le derive del razzismo?

La Svizzera sta portando avanti una riflessione sulla politica d’integrazione. Tutti i partiti politici portano le proprie soluzioni per cercare di promuovere una coabitazione più armoniosa tra persone di cultura diversa. La Svizzera ha la reputazione di essere una terra d’asilo. Ad un certo momento però il flusso migratorio è stato così massiccio che la popolazione ha chiesto una maggiore chiusura delle frontiere e un migliore controllo sull’immigrazione. Dall’altro lato però, per tutti coloro che vivono qui, la questione di migliorare la coabitazione, il dialogo e la questione dell’integrazione delle comunità musulmane resta al centro delle discussioni. Si tratta di evitare che movimenti nazionalisti e xenofobi ostacolino il processo d’integrazione. In Svizzera esistono programmi di “prossimità”, in quanto abbiamo un potere estremamente decentralizzato e le collettività locali dispongono di un certo numero di competenze per realizzare i propri programmi d’integrazione. Noi stessi siamo un paese multiculturale in quanto abbiamo quattro lingue nazionali e ciò significa che le diverse regioni linguistiche della Svizzera non offrono le stesse risposte in merito al problema dell’integrazione.

http://www.marcocesario.it

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