Don’t worry, Israele
Daniele Castellani Perelli 7 November 2008

Quale sarà la politica mediorientale del nuovo presidente americano Barack Obama? In campagna elettorale il candidato democratico ha dovuto faticare parecchio per convincere l’opinione pubblica israeliana e un buon numero di opinion leaders americani filoisraeliani. Ad Obama alcuni hanno rimproverato una dichiarazione a loro dire troppo filopalestinese del marzo 2007 (“Nessuno soffre più del popolo palestinese”), ma ciò che più ha alimentato la propaganda repubblicana è stato il vecchio legame di Barack con figure poco tenere verso la politica dello Stato di Israele. Come il reverendo Jeremiah Wright, il suo ex pastore, o Rashid Khalidi, professore della Columbia University. La sua disponibilità ad un dialogo con l’Iran, poi, ha impensierito ancora di più quella parte di elettorato che mal sopporta persino il suo secondo nome, Hussein.

Il compito che aspetta Barack in Medio Oriente è particolarmente complicato, vista soprattutto la debolezza dei governi israeliano e palestinese. Ma un dato può oggi rassicurare gli israeliani, e contribuire a spazzare via molte chiacchiere della campagna elettorale. Secondo gli exit polls, il 77% degli ebrei d’America ha votato per Obama, ovvero il 3% in più di quanto fosse successo con il candidato democratico del 2004, John Kerry. Viene così smentita nei fatti tutta la propaganda repubblicana sulle presunte posizioni anti-israeliane del candidato democratico. “Gli ebrei americani hanno respinto nettamente una campagna multimiliardaria di diffamazioni senza fondamento e di paura, condotta per due anni contro Obama dalla destra della nostra comunità”, ha dichiarato Jeremy Ben-Ami, executive director della lobby J Street: “Possiamo solo sperare – ha aggiunto – che questi risultato mettano a tacere per sempre il mito secondo cui la paura e le campagne diffamatorie, soprattutto a proposito di Israele, possano essere un’arma politica efficace nella comunità ebraica”.

Lo stesso primo atto postelettorale del presidente in pectore contribuisce a rassicurare – se ancora ce ne fosse stato bisogno – chi ha a cuore le sorti di Israele. Obama ha scelto come chief of staff Rahm Emanuel, deputato ebreo molto sensibile alla causa israeliana: "Rahm – ha ammesso Ira Forman, direttore esecutivo del National Jewish Democratic Council – non è stato certamente accusato di ingenuità o di inefficacia nella sua analisi su queste questioni”. Se gli ebrei americani si sono convinti, pare però che Obama debba ancora guadagnarsi la totale fiducia dell’opinione pubblica israeliana: “L’israeliano medio è molto sospettoso verso Obama – ha spiegato il sondaggista israeliano Rafi Smith – Se le elezioni americane si fossero tenute in Israele, John McCain avrebbe vinto a valanga. Anche il suo secondo nome, Hussein, convince la gente che egli sia meno filoisraeliano e più vicino agli arabi, ai musulmani”.

L’autorevole Rami Khouri, direttore dell’Issam Fares Institute all’American University in Beirut, ha però sottolineato come l’elezione di Obama riuscirà a risollevare l’immagine dell’America nel mondo arabo, indebolendo così la propaganda dei fondamentalisti e di Al Qaeda. Ma non è solo una questione di immagine. Le passate dichiarazioni filopalestinesi di Obama, sommate alle nuove filoisraeliane (come quelle pronunciate in campagna elettorale all’American Israel Public Affairs Committee), fanno ritenere che finalmente l’America potrà avere una politica mediorientale equilibrata. Gli Stati Uniti – è la speranza – tornano al ruolo di honest broker tra israeliani e palestinesi. Sulla carta l’equidistanza della presidenza Obama offre maggiori garanzie di pace a entrambe le parti: ai palestinesi (che si vedranno forse rispettare di più, ma che non potranno più nascondersi dietro il pretesto della faziosità americana), e agli israeliani (che non troveranno più a Washington né un loro portavoce né un controproducente protettore dei propri errori). Basterà per far scoppiare la pace? Ovviamente no. Il destino di Israele e Palestina rimane come sempre nelle mani delle due rispettive leadership.

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