“Un esempio per il mondo arabo”
Hussain Haqqani, ex consigliere di Benazir Bhutto, intervistato da Daniele Castellani Perelli 22 January 2008

Qualche settimana fa, l’Economist ha definito il Pakistan “il paese più pericoloso al mondo”. Condivide questo giudizio?

Il Pakistan è un paese estremamente instabile, poiché ignora il principio di legalità ed è soggetto a imprevedibili crisi di governo. Ma anche perché possiede un arsenale nucleare, che ne fa il paese più instabile e vulnerabile tra quelli dotati di tali tecnologie. Tutto ciò alimenta la sensazione, tra la comunità internazionale, che il Pakistan sia un paese estremamente pericoloso. A mio parere, tuttavia, occorre anzitutto capire che esso rischia di diventarlo ancora di più, se il suo governo non verrà ripristinato attraverso un processo costituzionale.

L’analisi dei media internazionali riguardo al Pakistan è corretta o influenzata da pregiudizi?

Esistono numerosi pregiudizi sul Pakistan, così come nei riguardi di molti altri paesi. A mio parere, tuttavia, i media internazionali non colgono la vera natura del problema. Si fermano alla superficie delle questioni più controverse, senza andare alla loro radice. E il nodo cruciale, in Pakistan, è che l’unità del paese non è stata ispirata dalla legge e dalla Costituzione, ma si è affermata grazie all’aiuto dell’esercito e della comunità internazionale. Se si iniziasse a capire qual è il vero problema del Pakistan, forse i pregiudizi sparirebbero. Le faccio un esempio. Si fa un gran parlare della corruzione dei politici pachistani, giusto? Ebbene, chi vive in Italia sa che le accuse di corruzione abbondano anche nel suo paese. Forse che, per tale ragione, si auspica e legittima una presa di potere dell’esercito? No, ovviamente. Nel caso del Pakistan, quel che manca è una profonda comprensione di quanto sta avvenendo nel paese. Non si contano, in compenso, le analisi e i commenti su questo o quell’evento. Così facendo, a mio parere, si tratteggia un paese ben peggiore di quanto si direbbe se il popolo pachistano si impegnasse in prima persona per traghettarlo, con il beneplacito della comunità internazionale, verso la democrazia.

In passato il Pakistan ha affidato a una donna il ruolo di premier e, fino a qualche mese fa, i media nazionali sembravano godere di una certa libertà. Ciò dimostra che Islam e democrazia possono essere compatibili?

Il popolo pachistano aspira da sempre alla democrazia. Sì, ha insediato una donna alla poltrona di premier, nonostante le accuse e lo scherno dei mullah e dell’esercito. Una donna che ha sempre goduto di una certa popolarità. Per questo ritengo che il Pakistan, attraverso la costruzione di una democrazia musulmana, possa indicare al resto del mondo la via da seguire. C’è solo un interrogativo da sciogliere: l’esercito pachistano e i suoi spalleggiatori americani consentiranno la transizione democratica? In ogni caso, il Pakistan può diventare un modello per altri paesi islamici e del mondo arabo.

Quali sono le peculiarità dell’Islam pachistano?

Da un punto di vista storico, l’Islam praticato in Pakistan è sempre stato estremamente eterogeneo e pluralista. L’influsso culturale della Persia e dell’India ha contribuito ad arricchirlo. Oggi, va da sé, il Pakistan subisce anche l’influenza dell’Islam wahabita, una corrente più puritana che trae origine dall’Arabia Saudita. Con la sua tradizionale eterogeneità e il suo pluralismo, quella pachistana è sicuramente la versione più “soft” dell’Islam.

I paesi arabi, dunque, dovrebbero seguire le orme del Pakistan. Il quale, al contrario, deve evitare il rischio di un’“arabizzazione”.

Proprio così. Credo che i paesi arabi debbano ispirarsi alla cultura dell’India e del Pakistan, e seguire l’esempio della popolazione musulmana di questi due paesi.

I fondamentalisti musulmani godono di popolarità in Pakistan?

No, i fondamentalisti non hanno mai goduto di significativa popolarità in Pakistan. Alle elezioni non hanno mai ottenuto più del 4-5 per cento dei suffragi totali. Nel 2002, complice la scarsa affluenza alle urne, hanno portato a casa l’11 per cento dei consensi. Ma le percentuali in valore assoluto non sono aumentate. Il loro vero potere viene dalle armi, dal denaro e dalla capacità organizzativa.

Le prossime elezioni potranno segnare una svolta per il Pakistan?

Sì, se rispetteranno il principio di giustizia e libertà – ciò che al momento appare alquanto improbabile, dato che il presidente Pervez Musharraf sta facendo di tutto per manipolare il processo elettorale e assicurare la vittoria per sé e il suo partito – potrebbero segnare una svolta e trasformare il Pakistan in una democrazia parlamentare stabile e matura. All’inizio, probabilmente, dovremo affrontare gli stessi problemi che incontrò l’Italia all’indomani della Seconda guerra mondiale: una molteplicità di coalizioni e altrettanti compromessi. Soltanto con una ventata di democrazia e di libertà – anziché con il fondamentalismo –, però, saremo in grado di riportare unità nella nazione.

Il Partito del Popolo di Benazir Bhutto e la Lega musulmana di Sharif hanno qualche probabilità di vincere le elezioni e governare assieme?

Le probabilità che questi due partiti vincano le elezioni – purché in una cornice di libertà e giustizia – sono, a mio parere, molto alte. E sono anche convinto che possano governare assieme, nel rispetto della “Carta della Democrazia” sottoscritta a Londra, non molto tempo fa, da Nawaz Sharif e Benazir Bhutto.

Numerosi osservatori sostengono che le dinastie politiche, tra cui figura la famiglia Bhutto, siano antidemocratiche.

Alla base di tutto, secondo me, c’è un grosso malinteso. Occorre distinguere, infatti, quella che io chiamo la “politica del retaggio famigliare” dalla “politica delle dinastie”. In molti paesi, determinate famiglie vengono identificate con particolari cause o ideali. In Grecia, ad esempio, i due principali schieramenti politici sono stati a lungo guidati rispettivamente dalle famiglie Papandreou e Karamanlis. Discorso analogo in India, dove il partito del Congresso è capeggiato dalle famiglie Nehru e Gandhi. Tutti esempi, a mio parere, di “politica del raggio famigliare” anziché “dinastica”. In ogni caso, fintantoché i leader politici godano del sostegno della popolazione, che può confermarli al potere o destituirli attraverso il voto, una soluzione del genere è di gran lunga preferibile alla dittatura militare.

Barack Obama ha dichiarato di non escludere l’eventualità di un attacco Usa contro obiettivi di Al Qaeda in Pakistan. Qual è il suo giudizio a tale proposito?

Penso che il popolo pachistano non desideri la presenza di forze straniere sul proprio territorio, e che debba affrontare da sé la minaccia terroristica. Se non lo farà, infatti, le potenze straniere saranno sempre più tentate a interferire e intromettersi negli affari del Pakistan. Spetta agli stessi pachistani, dunque, far sì che altre nazioni non pianifichino alcun attacco nel loro paese.

Traduzione di Enrico Del Sero

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