Tutti i rischi di un intreccio esplosivo
Esterino Albanese 20 November 2007

In Kosovo la tensione aumenta, mano a mano che si avvicina la scadenza definitiva – fissata al 10 dicembre- entro cui si dovrà assumere una decisione circa lo status ancora indeterminato di quel Paese. A conferma del grande rilievo strategico internazionale che il Kosovo riveste, la decisione sul punto sta sollevando tensioni anche più diffuse: nei Balcani, all’interno dell’Ue e tra gli USA e l’ Ue, da una parte, e Russia e Serbia, dall’altra. Il 10 dicembre, una troika di esperti diplomatici, in rappresentanza dell’Ue, degli USA e della Russia, scelti da sei potenze interessate –Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia (il cosiddetto Gruppo di Contatto per i Balcani) –dovrà riferire le sue conclusioni sulla situazione del Kosovo al Segretario Generale delle Nazioni Unite, dopo ben 120 giorni di colloqui tra Serbia e Kosovo.

I negoziati, condotti con la supervisione della troika, non hanno compiuto progressi e alcuni osservatori e funzionari dell’Ue e degli Stati Uniti sono convinti che da essi non emergerà un accordo accettabile dalla due parti e capace di risolvere la “questione Kosovo”. E’ evidente che Mosca condivide tale opinione perché ha ripetutamente chiesto che si svolgano nuovi negoziati e ha messo in guardia il Kosovo dai pericoli di un’azione “unilaterale”. Ma agli occhi degli europei e degli americani, ulteriori negoziati avrebbero il sapore di un rinvio e sembrerebbero inoltre inutili, dato che un compromesso non sembra raggiungibile. Pristina non accetterà nulla di meno dell’indipendenza, e Belgrado propone un’autonomia ad ampio raggio ma fissa dei limiti all’indipendenza.

La definizione dello status del Kosovo è già stata rinviata una volta a causa del fatto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la primavera scorsa, si è trovato in disaccordo con le indicazioni dell’Inviato Speciale dell’ONU, Ahtisaari. Un nuovo rinvio rischierebbe di distruggere ciò che resta presso la popolazione della regione della credibilità, ormai fortemente compromessa, sia della comunità internazionale che degli attuali leader kosovari. Un ulteriore ritardo rischierebbe anche di scatenare nuove violenze, sia contro i 130.000 serbi rimasti in Kosovo che , questa volta, contro la missione delle Nazioni Unite che vigila sulla regione e, forse, persino contro i 17.000 soldati NATO inviati nel Paese. Di recente sono ricomparse le truppe dell’Esercito di Liberazione Nazionale Albanese, dichiarate fuori legge, e il capo della più importante associazione di veterani dell’Esercito di Liberazione del Kosovo ha minacciato di riprendere le armi qualora la dirigenza kosovara non dovesse dichiarare l’indipendenza “immediatamente” dopo la scadenza del 10 dicembre.

Le radici storiche

Perciò, Washington e Bruxelles insistono sulla necessità di prendere subito una decisione. Quale sarà questa decisione e in che modo essa evolverà, non è ancora chiaro, nemmeno agli attori principali. Comunque è chiaro che di nuovo il Kosovo è diventato un focolaio di crisi. Per comprendere meglio la natura di tale crisi e le sue potenziali conseguenze per i Balcani e per l’Europa, è necessario esaminarne la storia. La crisi del Kosovo ha covato sotto la cenere per quasi cento anni. Essa affonda le sue radici nel graduale allontanamento della popolazione serba e nel contestuale aumento della popolazione indigena albanese. Oggi, la popolazione kosovara è composta al 90 per cento da albanesi e per il tre/cinque per cento da serbi. La data forse più critica nella storia del Kosovo è il 1913, quando le grandi potenze crearono uno Stato indipendente albanese a seguito delle guerre nei Balcani del Ventesimo secolo. Gli autori del Trattato di Londra decisero saggiamente di non annettere il Kosovo all’Albania, malgrado che la maggioranza della popolazione fosse albanese, ma di cederlo alla Serbia. La Serbia lo aveva strappato ai dominatori turchi Ottomani durante la guerra dei Balcani che si era appena conclusa.

Quella decisione ha fatto sì che, da quel momento in poi, il Kosovo sia diventato un luogo di crisi internazionale nell’instabile regione dei Balcani, una decisione che fin dagli accordi di Dayton ha angustiato diplomatici e statisti nel tentativo di riconciliare l’inconciliabile in tutta la regione. Come gli ebrei ultraortodossi credono che Dio abbia concesso per sempre al popolo ebraico il diritto sull’intero territorio dell’Israele biblica, così molti serbi (e tra questi il Primo ministro Kostunica) sono profondamente convinti che il Kosovo, dove furono sepolti molti re serbi di epoca medievale, non possa essere abbandonato, malgrado il fatto che i serbi cominciarono ad allontanarsene più di 300 anni fa e oggi costituiscano soltanto un piccolissimo segmento della popolazione kosovara.

La troika del Gruppo di Contatto, come già aveva fatto in precedenza l’ex presidente finlandese Ahtisaari, ha compiuto uno sforzo generoso nel tentativo di trovare una soluzione; sono stati fissati altri due incontri con i serbi e con gli albanesi, il primo dei quali è previsto per il 20 novembre a Bruxelles e il secondo sei giorni dopo a Vienna, incontri durante i quali, è stato annunciato, la troika assumerà un atteggiamento più “fattivo” e avanzerà alcune proposte. Si dice che una di queste sia ispirata al “Trattato di Base” del 1972 tra Germania Federale e Germania Democratica con il quale la Germania Occidentale riconobbe quella Orientale sotto ogni profilo eccetto quello giuridico. Tuttavia, questa settimana, sia Pristina che Belgrado hanno fatto sapere di rifiutare l’offerta della troika per cercare una soluzione “neutrale”.

Il ruolo degli Stati Uniti

E’ probabile perciò che da questi incontri non sortirà nulla e che si venga a creare un’altra situazione di stallo tra i principali attori internazionali, USA e Ue, da una parte, e la Russia, protettrice della Serbia, dall’altra. Tuttavia, diversamente dalla primavera scorsa , questa volta Washington non sembra voler accettare l’idea di un nuovo rinvio. Secondo alcuni alti diplomatici, Washington, irritata dall’intransigenza di Mosca sul Kosovo e sull’Iran, dal suo ritiro dal trattato che limita le armi convenzionali in Europa (CFE), dalle protratte interferenze russe in Ucraina e in Georgia e scettica circa l’interesse di Putin a rendere più cordiali i rapporti con gli USA, intenderebbe ignorare le obiezioni di Mosca e riconoscere un Kosovo indipendente.

In effetti, il 14 novembre Nicholas Burns, la terza carica del Dipartimento di Stato, ha riconfermato l’impegno americano a favore di “un’indipendenza vigilata”. Washington tenta comunque di gestire questo processo e fa pressioni su Pristina perchè non agisca unilateralmente ma coordini le proprie iniziative. In questo modo è probabile che Pristina dichiarerà la propria indipendenza, forse anche prima di Natale. Questo fatto è suscettibile di provocare altre crisi, probabilmente anche all’interno dell’Unione europea, dove non è stato ancora raggiunto un accordo sul Kosovo. In mancanza di tale accordo, affermano fonti britanniche che ben 22 Stati membri dell’Ue riconosceranno il Kosovo, ma non prima della primavera o dell’estate. Così, solo gli USA, l’Albania e, forse, la Macedonia lo riconosceranno in tempi rapidi. La Croazia e il Montenegro hanno fatto sapere che intendono aspettare e seguire la guida dell’Unione europea.

Le altre crisi

Le crisi più gravi che potrebbero derivare dall’indipendenza unilaterale del Kosovo riguarderanno i Balcani. L’indipendenza spingerà molti serbi a fuggire dal Kosovo. Inoltre, l’indipendenza porterà i nazionalisti serbi intransigenti del Kosovo settentrionale a rifiutare l’autorità di Pristina e potrebbe persino indurli a dichiarare l’indipendenza del territorio in prevalenza serbo adiacente alla Serbia vera e propria. Un passo simile non soltanto sfiderebbe Pristina ma potrebbe anche provocare degli attacchi da parte dei paramilitari albanesi del Kosovo nonché l’esplodere di gravi conflitti interetnici. Il secessionismo serbo del Kosovo pone anche una grave sfida alle autorità internazionali nel Paese, in particolare alle forze NATO. Da un punto di vista più ampio, l’indipendenza del Kosovo rappresenta una grave sfida per la fragile coesione socio-politica macedone. Cosa ancor più importante, l’indipendenza del Kosovo potrebbe provocare il collasso della disastrata struttura statale bosniaca. Dall’inizio dell’anno, il Primo ministro serbo Kostunica e il suo omologo bosniaco Milorad Dodik hanno adombrato l’eventualità che una Repubblica Serba della Bosnia possa distaccarsi in caso di dichiarazione dell’indipendenza del Kosovo. Nelle ultime settimane, Dodik e Kustunica hanno fomentato questo tipo di retorica. La sempre più profonda crisi politica in Bosnia, causata dal rifiuto serbo di acconsentire ad una forza di polizia congiunta, conferisce maggiore gravità alle minacce di Kostunica e di Dodik.

Per Washington e Bruxelles, il crollo della Bosnia sarebbe un’umiliante sconfitta diplomatica, ridarebbe vita ai controversi problemi di confine tra Serbia e Croazia e richiederebbe l’immediata attenzione degli Stati Uniti, dell’Ue e della NATO, i quali sono tutti fortemente impegnati altrove ed hanno poche risorse disponibili. L’indipendenza del Kosovo avrebbe anche conseguenze pesanti per la Serbia. Kostunica ha già chiarito che Belgrado non avrà rapporti con il nuovo Stato, al punto di interrompere le attuali relazioni commerciali. La Serbia romperebbe o allenterebbe anche le relazioni con i Paesi che dovessero riconoscere il Kosovo, aggravando in questo modo il suo isolamento. Non è chiaro se Kostunica intende incoraggiare i serbi del Kosovo settentrionale a dichiarare la loro indipendenza o addirittura ad opporsi con la violenza agli sforzi di Pristina per imporre la propria autorità.

Il presidente serbo Boris Tadic, favorevole all’Europa, sarebbe la più importante vittima politica dell’indipendenza del Kosovo. Tadic è convinto che il destino della Serbia sia in Europa e non nei romantici legami con una Russia sempre più autoritaria. Sul Kosovo, egli è pronto ad accettare un compromesso, ma è stato così abilmente condizionato da Kostunica, con il quale egli è coalizzato, che ormai opporsi all’approccio nazionalista sul tema dell’indipendenza del piccolo Stato equivarrebbe per lui ad un suicidio politico. Diffidente nei confronti di Tadic, Kostunica ne ha reso il futuro politico ostaggio delle decisioni che egli assumerà sul Kosovo, rifiutando di accordarsi sulle elezioni presidenziali fino a quando la troika non avrà consegnato al Segretario Generale delle NU la sua relazione e soltanto qualora lo status del Kosovo resterà invariato. Se gli USA e l’Ue troveranno un accordo sull’indipendenza del Kosovo, di fatto essi sacrificheranno qualunque prospettiva che la Serbia possa infine volgersi verso l’Europa.

Le ragioni russe

Benché la Russia si opponga decisamente all’indipendenza del Kosovo, non importa se imposta o dichiarata unilateralmente, essa ha tenuto ben nascoste le sue carte. Ciò nonostante, Mosca è pronta ad affrontare la stessa eventualità nel Caucaso. Fonti locali bene informate riferiscono, ad esempio, che Mosca avrebbe approntato tutto il necessario affinché l’Ossezia meridionale dichiari la propria indipendenza e si unisca quindi all’Ossezia settentrionale. Mosca potrebbe aver intrapreso passi analoghi anche nel Transdniester. Sul fronte diplomatico, è chiaro che Mosca userà l’indipendenza del Kosovo per dimostrarsi virtuosa e professare il proprio impegno a favore del diritto internazionale. Mosca tuttavia non consentirà che la sua ritrovata virtù le impedisca di concludere gli affari che più si addicono ai suoi interessi, che si tratti di Iran, di Iraq, dell’Afghanistan, della Corea del Nord o della collocazione di una base missilistica americana in Europa centro-orientale. Rifiutando di accordarsi con gli USA a proposito del Kosovo nel contesto di altri importanti questioni unilaterali o bilaterali, Mosca fa capire di essere disposta ad accettare l’attuale situazione geopolitica.

Con George Bush indebolito politicamente, con il dollaro in picchiata e l’economia americana che non gode di buona salute, con la potenza americano impegnata al limite delle sue forze all’estero e a corto di amici, Putin non vede la necessità di mostrarsi collaborativo. L’indipendenza del Kosovo aggraverà l’instabilità della regione balcanica, impegnando ancora di più gli USA, l’Ue e la NATO. Inoltre, l’indipendenza unilaterale del Kosovo promette di provocare nuove divisioni all’interno dell’Ue e di ostacolare gli sforzi di Solana per gettare le basi per una politica estera e di sicurezza comuni: un obiettivo strategico, questo, della politica estera russa. Allo stesso modo, la dichiarazione di indipendenza del Kosovo potrebbe anche provocare nuovi contrasti tra Ue e USA: un altro obiettivo strategico di Mosca. Infine, l’indipendenza del Kosovo renderebbe la Serbia ancor più dipendente dalla Russia e forse verrebbe ad accrescere l’influenza russa nell’Europa sud-orientale.

In breve, la perdita della Serbia potrebbe tradursi in una importante conquista diplomatica per la Russia. Gli sconfitti sarebbero la Serbia e gli Stati vicini. La Serbia si ritroverebbe più lontana che mai dall’Europa, dipendente dall’opportunistico appoggio diplomatico russo e priva di buoni vicini. L’ostilità serba verso il Kosovo alimenterebbe la tensione tra i due vicini e contribuirebbe a perpetuare l’instabilità della regione obbligando gli altri Stati balcanici a scegliere tra i due Paesi.

Traduzione di Antonella Cesarini

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