Il coraggio che chiediamo agli islamici non radicali
Giuliano Amato 29 May 2009

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul Sole 24 Ore il 5 aprile 2009

I lettori mi scuseranno se questa settimana non parlerò di economia, nonostante si sia appena concluso il G-20, che offre tanti spunti di commento e di analisi. Su quegli spunti avremo di sicuro occasione di tornare, ma intanto sento premere un`altra questione, sulla quale, non meno che sull`economia, si giocano le sorti future del mondo. Mi riferisco ai nostri rapporti con le società islamiche e in particolare alla pericolosa divaricazione che possono provocare fra noi e loro vicende orribili come quella che si sta consumando a danno delle donne in Afghanistan, sulla scia di quanto era già accaduto nella valle dello Swat in Pakistan, nel caso che il fondamentalismo ne esca non tanto vincente, quanto e soprattutto incontrastato fra gli stessi islamici.

Sappiamo tutti di che cosa si tratta, di una disciplina appena approvata, che cancella i diritti più essenziali riconosciuti alle donne negli anni recenti. Le priva totalmente della potestà sui figli, le obbliga a concedersi al marito ogni qual volta lui lo voglia e vieta loro di uscire di casa senza il permesso di lui, si tratti anche di andare dal medico. Nella valle dello Swat i talebani avevano accettato il cessato il fuoco, dopo l`impegno del governo pakistano a ripristinare lì la sharia, a partire dalla rinnovata esclusione delle donne dalle scuole. 
Emma Bonino ha lanciato dai sito Resetdoc (il sito del dialogo fra le civiltà) un appello affinché il Parlamento e il Presidente afghani cancellino questa disciplina e ha chiesto a tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani di firmarlo con lei. Ecco, a questo punto a me pare assolutamente necessario che all`appello si uniscano gli intellettuali islamici che in questi anni hanno espresso posizioni volte a modernizzare l`Islam, cogliendo in esso tutto ciò che porta alla pace e non alla guerra, all`eguaglianza fra gli uomini e non all`inferiorità degli infedeli, al rispetto dei diritti, in primo luogo delle donne, e non alla loro cancellazione.

Personalmente mi sono sempre speso a favore del dialogo con queste posizioni, convinto come sono che quelle fondamentaliste hanno la loro fonte non nella parola del Dio islamico, ma in letture arretrate e ideologiche di questa, così come è accaduto nella storia alla stessa parola del Dio ebreo o cristiano. Non devo però essere io a dirlo, devono essere gli islamici a isolare, come eretiche e inaccettabili, le posizioni contrarie. 
Mi rendo perfettamente conto che gli intellettuali islamici cosiddetti moderati non potrebbero mai convincere i loro correligionari, se per dialogare con noi, buttassero a mare i testi sacri e ne criticassero le interpretazioni fondamentaliste, facendosi percepire come estranei occidentalizzati. Per questo, oltre che per basilari ragioni di coerenza con i nostri principi, ho sempre trovato fondamentalista all`opposto la posizione di chi, in Europa, è pronto ad accettare i musulmani solo se, in un modo o nell`altro, cessano di esserlo.

E ho sempre guardato con interesse a quanti sui testi sacri ci lavorano, ne analizzano le diverse interpretazioni e accreditano quelle più coerenti ai valori del nostro tempo. Abu Zayd, per esempio, ha scritto con persuasiva semplicità che Allah comunicò oralmente con Maometto e dovette perciò usare un linguaggio comprensibile ai tempi di questo. Ma non è detto che i suoi precetti si esprimerebbero ora con le stesse parole, non è detto, per esempio, che l`uccisione sarebbe oggi suggerita altrettanto facilmente come forma quasi usuale di punizione. 
Anche Tariq Ramadan ama confrontarsi con i testi e leggere in essi i valori nei quali più volte ha asserito di credere, dalla pace al rispetto dei dritti umani senza discriminazioni di genere. E in nome di questo io l`ho criticato meno di altri quando, pur esplicitamente contrario alla lapidazione, ne ha chiesto non l`abolizione, ma la sospensione, in attesa di chiarire i passaggi del Corano che in qualche modo la legittimerebbero.

Ora però, davanti a questo lacerante arretramento afghano una posizione la deve prendere e con lui la devono prendere altri, a partire dallo stesso Abu Zayd. Attenzione, io non chiedo loro di discolparsi per le posizioni talebane che stanno prevalendo in Afghanistan, come dimostra di temere davanti a situazioni del genere Amartya Sen. Sen ha ragione, se io ritengo responsabile tutto il mondo islamico per l`estremismo fondamentalista e le sue azioni, la stessa responsabilità dovrei assumerla io per gli estremismi che prendono corpo nel mondo occidentale. 
No, non si tratta di questo, si tratta di prendere le distanze, si tratta di dire, da islamici rivolti ad altri islamici, che il ritorno dell`Afghanistan su posizioni talebane nei rapporti familiari e di coppia non risponde al Corano, anzi lo viola e risponde invece alla esasperazione dì una cultura arretrata nella quale non ci si deve più riconoscere.

Attendo dunque con trepidazione che queste prese di posizione arrivino, perché sarebbe un vero disastro se ciò non accadesse. La vicenda è dirimente e non ammette silenzi, così come non li ammette quella della lapidazione, che porta del resto alle estreme e brutali conseguenze la medesima concezione, la concezione della donna come animale al servizio dell`uomo. Se silenzi vi fossero, ne dovrei per forza desumere una delle due cose seguenti: o che il Corano è effettivamente la fonte di tale concezione e lo è anche per suoi interpreti più illuminati; o che questi stessi interpreti non hanno il coraggio di dire quello che pensano e allora io non posso più assumerli come miei interlocutori. Né, in una situazione del genere, potrei accettare l`argomento più volte usato da Ramadan, secondo il quale è sbagliato prendere posizioni troppo distanti da quelle più diffusamente credute, perché si rischia così di perdere ascolto. No, qui abbiamo un governo musulmano che aveva affermato e fatto valere i diritti delle donne e che ora, pro bono pacis davanti a un nemico troppo forte, fa marcia indietro.

C`entra davvero qualcosa il Corano? C`è qualcosa da temere a dire che non c`entra e a gridare che i talebani hanno torto? Dopo il cessate il fuoco nella valle dello Swat, Fareed Zakaria aveva scritto che siccome non possiamo sradicarlo da soli, dobbiamo imparare a convivere con l`Islam radicale e a distinguerlo da quello non radicale, puntando sulla possibile forza di questo ed evitando di fare di tutt`erba un fascio. Io sono assolutamente d`accordo, ma l`efficacia di questa strategia, prima ancora che da noi, dipende dal coraggio degli islamici non radicali nel farsi sentire, nell`occupare spazio, nel mettere loro alle corde le posizioni estreme. Io credo che Pier Luigi Battista sbagliasse giorni fa a definire Ramadan «intellettuale fondamentalista». Ma non sbagliava a chiedergli cosa pensa della vicenda afghana. Glielo chiedo anch`io e l`appello dì Emma gli offre l`occasione per farlo, prima che Karzai, come sembra, cambi la legge nel perdurare del suo silenzio.

Giuliano Amato è professore emerito dell’Istituto Europeo di Firenze e tiene ogni anno seminari alla Law School della Columbia University. Parlamentare italiano per 18 anni, è stato ministro del Tesoro, ministro degli Interni e ministro per le Riforme Costituzionali e due volte Primo Ministro (nel 1992/1993 e nel 2000/2001). E’ stato anche vicepresidente della Convenzione sul Futuro dell’Europa (2002/2003). Attualmente presiede l’Istituto della Enciclopedia Italiana e il Centro studi americani di Roma. E’ membro del Consiglio direttivo di Resetdoc.

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