Ritratto di un libero pensatore islamico
Ramin Jahanbegloo 2 August 2010

Incontrai per la prima volta Nasr Abu Zayd ai Seminari di Istanbul organizzati da “Reset” nel 2009. Non ci siamo mai conosciuti veramente, ma abbiamo potuto scambiare opinioni sull’Islam e sull’Iran, scoprendo di avere gli stessi interessi riguardo al dialogo interreligioso. Nasr era tutto fuorché una persona comune, sulla quale si potesse esprimere facilmente un rapido giudizio. Aveva probabilmente molti nemici tra i fautori di una lettura rigida dell’Islam, e di certo suscitò un’ondata di spavento tra quanti professano l’Islam in particolare, e la religione in generale, con infantile ortodossia. Più d’uno mise in discussione le sue idee e le sue coraggiose riflessioni sulla natura testuale del Corano. Oggi, però, avvicinandoci ai suoi scritti con uno sguardo più lucido e riconoscendo che la ricerca della verità era il suo unico motivo ispiratore, ogni paura e incomprensione può essere messa da parte.

La biografia di Nasr può essere letta come un lungo confronto con la verità. Sì, Nasr Abu Zayd può essere giustamente considerato come un cercatore di verità. Era uno studioso che aveva rischiato tutto per ristabilire la tradizione di ricerca della verità nell’Islam. Il suo approccio mi ha sempre ricordato quello di Kierkegaard nella Postilla conclusiva non scientifica, quando, immaginando che Dio si avvicini a un essere umano e gli offra l’opportunità di trascendere se stesso, cita un passaggio da Lessing. Scrive Kierkegaard: “Se Dio tenesse nella sua mano destra tutta la verità e nella sinistra il solo eterno impulso verso la verità, seppur con la condizione di dover andare errando per l’eternità, e mi dicesse: scegli! Io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra e direi: concedimi questa, o Padre! La verità pura è soltanto per te!”.1 Contestualizzando: pensare alla religione come verità assoluta significa fraintendere la religione stessa e le sue motivazioni di fondo. I testi religiosi scaturiscono dalla condizione sociale dell’essere uomo, e il linguaggio religioso è il discorso che si manifesta nel contesto della significatività storica della propria esistenza. Quando Abu Zayd propose di usare l’approccio ermeneutico e di considerare il Corano come un “testo”, tuttavia, fu bollato come apostata sia dall’establishment religioso sia dalle organizzazioni fondamentaliste.

Di solito, pensiamo alla religione come a qualcosa caratterizzato da una visione del mondo data da Dio e da determinate pratiche devozionali. Per questo tendiamo a escludere dalla voce “religione” la ricerca della verità critica. Le persone religiose hanno accesso alla verità assoluta e dimenticano che la religione affonda le sue radici nella ricerca filosofica della verità stessa; in altre parole, il fedele perde di vista ciò che dà anzitutto origine alle idee religiose. Il pensiero di Nasr era pervaso da un interesse socratico per il rapporto dell’individuo con la verità. Come nel caso di Socrate, Nasr Abu Zayd era solito far domande senza fornire risposte definitive, poiché riconosceva che non si dà alcun testo religioso senza un contesto.

Penso la ricerca della verità fosse per Nasr una ricerca di libertà. In questa ricerca, egli indagava ben volentieri qualsiasi tipo di limitazione intrinseca a qualsiasi tipo di credo religioso, per poi mostrare l’infondatezza di tali limitazioni e conclusioni prestabilite. Così facendo, Nasr si discostò dalle interpretazioni tradizionaliste, adottando una visione ermeneutica del Corano e collocandosi saldamente nella tradizione di quanti, all’interno del mondo islamico, ravvisavano un nesso tra la “testualità” del Corano e l’invito alla lettura critica e all’interpretazione evolutiva. Sotto questo aspetto, la sua opera è uno strumento indispensabile per i musulmani stessi, che possono così intraprendere la loro battaglia per l’illuminismo e la riforma della propria tradizione di fede.

Ho spesso pensato che Nasr Abu Zayd fosse un Ibn ar-Rawandi del ventunesimo secolo. Anche quel pensatore islamico medievale aveva seguito la via della razionalità nelle dispute religiose e fu messo all’indice e stigmatizzato da molti autori e autorità del mondo musulmano, non soltanto perché la sua lettura del Corano era improntata a una ricerca socratica della verità, ma anche perché aveva sviluppato un approccio che toccava la sensibilità di molti suoi contemporanei. E che saprà ancora parlare, ne sono sicuro, a tante più persone di ogni parte del mondo negli anni a venire.

(traduzione di Enrico Del Sero)

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