Marocco, riforme condivise
Nouzha Guessous, intervistata da Nina zu Fürstenberg 13 febbraio 2012

«Avevamo bisogno di un codice che garantisse i diritti delle donne e, allo stesso tempo, il diritto di essere in armonia con l’islam. E ha funzionato. Abbiamo usato argomenti ragionevoli tratti dalla tradizione religiosa; altrimenti questo cambiamento non sarebbe stato possibile. La maggior parte dei casi di divorzio, ora, vengono disciplinati dalla nuova legge. Oggi, alle donne viene sempre meno richiesta la procedura tradizionale, in cui divorziare voleva dire liquidarle con grosse somme di denaro e essere obbligate a lasciare i bambini».

Lei fa intendere che si può distinguere tra un cosiddetto femminismo islamista, di tipo fondamentalista, e un femminismo musulmano: può spiegare meglio?

Sono due cose evidentemente diverse. Non amo questa terminologia, ma è necessaria per capire. Le cosiddette femministe islamiste non hanno accettato il nuovo codice, quando era in corso di elaborazione. Rifiutano qualunque compromesso con qualsiasi cosa che possa sembrare occidentale ma, allo stesso tempo, vogliono essere considerate femministe. Questa è una posizione molto diversa da quello che io chiamo pragmaticamente «femminismo musulmano», che si definisce femminismo dai suoi inizi, che si muove all’interno della tradizione dei diritti umani universali, ma rispetta la tradizione islamica, fino a che essa non contrasta con i principi dei diritti universali. In Marocco, Fatima Mernissi è stata una delle prime donne ad analizzare il Corano dal punto di vista delle donne, e ciò ha condotto all’emissione di una fatwa contro di lei. La conclusione a cui sono giunta per promuovere i diritti delle donne è partire dai principi dell’islam, confrontandosi con i temi teologici. Il femminismo deve essere pragmatico e attraverso questa esperienza giuridica ho riscoperto la mia cultura, me stessa, la mia tradizione. Sono una pensatrice pragmatica e una scienziata, sono stata educata in Francia e improvvisamente mi sono trovata a leggere i testi sacri, così come molti dei Fiqh (testi della giurisprudenza islamica), imparando, comprendendo e adattando questa esperienza alla mia realtà di attivista dei diritti umani. È stato faticoso, ma dopo mi sono sentita molto più ricca.

In ogni paese arabo e musulmano ci sono donne che lottano senza grande successo per i loro diritti. Voi come ci siete riuscite?

Il nostro successo è stato determinato dal fatto di aver creato un codice di famiglia che rispetta e unisce i diritti umani, i diritti delle donne, l’islam e le tradizioni religiose. Abbiamo seguito un intenso processo nel corso del quale abbiamo prestato ascolto a numerose Ong di donne marocchine, strutture ministeriali e professionali, partiti politici. Abbiamo affrontato il passato, l’islam e le diverse esigenze di almeno 80 diverse organizzazioni. Questo insieme di opinioni e di esigenze provenienti da ogni parte del Marocco ci ha dato un quadro reale di ciò che sta accadendo nella società. Poi abbiamo discusso articolo per articolo: matrimonio, cura dei figli e tutti gli aspetti fondamentali della vita familiare. È stato un processo lungo e faticoso di continui cambiamenti e compromessi. Ci sono voluti trenta mesi. Oggi il nostro codice è ampiamente accettato grazie a quello sforzo inclusivo. La popolazione, e le donne in particolare, oggi stanno sfruttando il diritto ad avere dei diritti. Ma il cambiamento doveva evolvere dall’interno della religione. L’islam può essere percepito in modi diversi e gli esempi storici sono stati d’aiuto nel trasmettere informazioni, una visione più moderna della realtà e nell’aiutare la gente ad adattarsi.

Questo vuol dire che non avete imposto un diritto di famiglia puramente laico, come è accaduto, per esempio, in Tunisia, dove non è mai stato accettato.

Sì, e non voglio dire che il nostro codice sia perfetto; alcuni aspetti di quello tunisino potrebbero essere migliori, ma hanno un approccio principalmente secolare. Le nuove leggi che abbiamo proposto non erano nuove invenzioni, ma erano costruite sulle antiche procedure tradizionali. La loro cancellazione radicale sarebbe stata percepita come un attacco frontale a tutte quelle regole che si erano andate sviluppando nel corso del tempo, alcune delle quali si ritiene che esistano sin dai primi secoli dell’islam. Ovviamente abbiamo aggiunto nuove alternative alle abitudini tradizionali e le abbiamo adattate.

Il divorzio, per esempio, è accettato? E in che termini?

I nuovi articoli del diritto di famiglia sono stati applicati all’incirca nel 70% dei casi di divorzio. Se due coniugi chiedono il divorzio consensuale, oggi viene loro concesso facilmente. Le donne, così come gli uomini, hanno il diritto di chiedere il divorzio senza doverne spiegare le ragioni o affrontare un imbarazzante interrogatorio. E sono in molte a chiederlo. Sfortunatamente, almeno un terzo della popolazione conosce poco il nuovo codice di famiglia, specialmente nelle aree più isolate. La campagna informativa non è stata abbastanza efficiente. Le Ong si sono impegnate molto, ma con poche risorse. Le Tv e la radio nazionali non hanno invece promosso il nuovo codice in modo sufficiente. Perciò non siamo ancora in grado di misurarne l’impatto. Il ministero della Giustizia ogni anno pubblica le statistiche: inizialmente il numero dei matrimoni è diminuito e quello dei divorzi fortemente aumentato, oggi i dati si sono stabilizzati e normalizzati.

Da chi era composta la Commissione incaricata di sottoporre a revisione la vecchia moudawana, la vecchia legge? I suoi membri provenivano da organizzazioni femminili o umanitarie di stampo laico?

No, assolutamente. Io e due altre donne eravamo le uniche, diciamo così, moderniste. Tredici membri provenivano da una tradizione conservatrice, vale a dire dalla scuola teologica, poi c’era un altro uomo che proveniva da un’esperienza mista. Allo stesso tempo, abbiamo incontrato una forte opposizione da parte dei movimenti fondamentalisti, che hanno respinto nel modo più assoluto il nostro approccio.

Quali sono stati gli argomenti più controversi?

L’autorizzazione maschile al matrimonio. Originariamente infatti ogni donna, a qualunque età, per potersi sposare doveva avere l’autorizzazione di un parente di sesso maschile. Per legge, le donne potevano essere costrette dalla propria famiglia e non potevano sposarsi a meno che non accettassero di presentarsi di fronte a una Corte contro i propri padri o fratelli; le donne cosiddette «emancipate» invece (con una formazione culturale, civica o un’indipendenza economica) potevano scegliere e anche imporre alla famiglia l’uomo che avevano deciso di sposare. Ma aver trasformato tale abitudine relativamente ampiamente diffusa in una legge, nel diritto delle donne a scegliere, ha innescato una controversia infinita. Il tema di quest’anno è l’eredità. Il nostro diritto di famiglia è ancora in fase di evoluzione e ci stiamo ancora lavorando molto. I numerosi dibattiti televisivi hanno dato vita a una discussione pubblica.

Il Corano non parla già del diritto delle donne all’eredità? Allora dov’è la difficoltà? Oppure le scritture diventano improvvisamente meno importanti quando si toccano gli interessi economici? Il Corano non è stato in qualche misura innovativo per la sua epoca nel consentire alle donne di ereditare almeno la metà di ciò che ereditano gli uomini? In molti paesi occidentali le donne hanno ottenuto il diritto di ereditare soltanto nel XX secolo.

La prima frase del Corano in materia ereditaria afferma che gli uomini e le donne hanno il diritto di ereditare, senza specificare altro. Questo è il principio di uguaglianza. La seconda frase dice che le donne possono avere metà di ciò che ereditano gli uomini e la sura successiva offre un esempio in cui le donne possono avere il doppio della parte spettante a un uomo. Perciò, nel Corano si possono trovare tante risposte a differenti situazioni e casi particolari. Ciò dimostra che il ruolo subalterno delle donne non è basato sul testo sacro, ma sullo status e sulle responsabilità economiche delle donne nel settimo secolo. Tradizionalmente, erano gli uomini a decidere su tali questioni, e probabilmente questa è una delle ragioni che ha escluso qualsiasi progresso o quanto meno il ripensamento di questa regola. Oggi le cose hanno iniziato a cambiare e da quando è stata proclamato il principio di eguaglianza questa situazione può essere riconsiderata. È una questione di coraggio politico.

Perciò anche altri paesi musulmani potrebbero adattare al loro diritto la moudawana marocchina?

Questa è diventata la base su cui costruire i tentativi di discussione e di innovazione. Naturalmente esistono grandi differenze nelle tradizioni dei singoli paesi arabi. Inizio le mie conferenze dicendo che non intendo parlare dell’islam ma dell’islam in Marocco. L’Algeria ha un forte movimento femminile e molte importanti donne dedite alla politica, e tuttavia le donne algerine non hanno saputo cancellare il dovere di obbedire. Il diritto delle donne di votare ed essere elette non è ancora riconosciuto in alcuni paesi musulmani centro orientali. E ancora, la situazione delle donne in Pakistan, Afghanistan e Sudan è molto diversa. Basta guardare alle terribili pene e alle lapidazioni, che in Marocco non esistono e non sono mai esistite. Ma io spero che la nostra esperienza con le donne tunisine possa essere d’aiuto alle donne, in tutti i paesi musulmani. Credo fermamente che non ci sia una contraddizione intrinseca tra i principi fondanti dell’islam e quelli della dignità umana, dei diritti dell’uomo, dell’eguaglianza e della libertà fondamentale.

(Traduzione di Antonella Cesarini)

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Nouzha Guessous
Nata in Marocco, educata in Marocco e in Francia,Nouzha Guessous Idrissi è una biologa clinica, professore onorario all’Università Hassan II di Casablanca (Marocco) oltre che ricercatrice e consulente per i diritti umani e la bioetica. Membro fondatore dell’Organizzazione marocchina per i diritti umani (1988), consulente di varie Ong per i diritti delle donne e membro della Royal Advisory Commission per la revisione del codice di famiglia marocchino (2002-2004). In Marocco fa parte della Commissione etica per la ricerca bioclinica e dell’Associazione marocchina di bioetica. Dal 2000 è membro della Commissione internazionale di bioetica dell’Unesco. Infine, è stata premiata dal re Mohamed VI con un Wissam du Mérite National du  grade de Commandant (10 ottobre 2003) e, di recente, dal presidente Sarkozy con la Légion d’Honneur (novembre 2008).

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FOCUS- Il codice di famiglia a Casablanca
di Nina zu Fürstenberg

Il Maghreb è noto per l’arretratezza dei codici di famiglia con l’eccezione della Tunisia, che dal 1956 ha una legge che ha abolito formalmente sia la poligamia sia il ripudio, attraverso un audace lavoro di ijtihad (interpretazione), che ha portato a ritenere la poligamia implicitamente proibita dal Corano. Questa legge però è criticata e contestata dalla popolazione tradizionale e credente. Il Marocco ha invece tenuto conto di questa difficoltà introducendo un codice di famiglia nel 2004 più rispettoso degli insegnamenti coranici e più accettato dalla popolazione. «La nuova moudawana è una riforma non è una rivoluzione», ha spiegato lo scrittore Tahar ben Jalloun, «ma un’evoluzione che segue un’importante novità: non è stata dettata dalla shari’a, cioè dal diritto islamico, ma si ispira alla cultura dell’islam. Per questo nella nuova moudawana gli articoli per esempio relativi all’eredità non sono stati modificati. Non si possono toccare, perché provengono direttamente dal Corano (la sura delle donne): la sposa ha diritto a un ottavo del patrimonio del marito, e la figlia eredita la metà della parte che spetta al figlio.» Il Marocco ha avuto uno dei codici di famiglia più sfavorevoli per le donne. Il matrimonio senza il consenso del padre era impossibile fino a pochi anni fa. Nel 2004 dopo lunghe battaglie e discussioni che hanno scatenato un’estesa discussione nella sfera pubblica, la legge è stata votata dal parlamento. Ha condotto a un migliora mento dei diritti della donna. Il re Mohammed VI, aveva costituito una commissione con giuristi e esponenti della società civile. Nouzha Guessous, intervistata da «Reset», è stata una delle protagoniste di questa dura battaglia. Vediamo alcuni dei punti chiave della nuova moudawana:

– L’età del matrimonio è stata fissata a 18 anni per la donna, contro i 15 della legge precedente, la cosiddetta vecchia moudawana.
– Le molestie sessuali sono oggi considerate reato e sanzionabili.
– L’obbligo del tutore per donne che facciano viaggi all’estero è stato abolito.
– Gli sposi sono corresponsabili della famiglia, e come tali sono uguali sotto il profilo dei diritti e dei doveri davanti alla legge.
– Divorzio. Il ripudio è stato sostituito dal divorzio giudiziario. La donna può chiedere il divorzio in un tribunale secolare. Il mantenimento dei figli è regolamentato.
– La poligamia è sottoposta a condizioni tali che si può dire sia stata resa impraticabile. Dal 2003 deve essere autorizzata da un giudice e con il consenso della donna; è possibile solo se l’uomo ha sufficienti risorse economiche per garantire il pieno mantenimento. La donna ha il diritto di stipulare un contratto di matrimonio nel quale non sia consentita la presenza di altre mogli.