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  • Giorgio Fazio

    Illuminismo significa innanzitutto fiducia che un uso autonomo, libero e autoregolato della ragione possa indirizzare l’uomo, liberato da tutto ciò che lo opprime e lo condiziona, verso un sicuro avvenire di progresso e di felicità.
    L’Illuminismo, da un punto di vista filosofico, nasce in Inghilterra nel secolo XVII, prendendo spunto dalle discussioni sorte intorno alle tesi sul deismo e da filosofi come John Locke e Isaac Newton. Nelle dottrine empiriste di Locke esso fonda il proprio atteggiamento antidogmatico e finalizzato all’analisi dell’esperienza; nella filosofia sperimentale di Newton, la propria concezione scientifica della ragione e della natura.

    È nella cultura e nella società francese che tuttavia l’Illuminismo riceve la sua espressione più caratteristica e peculiare, stabilizzando l’immagine di esso destinata a divenire paradigmatica nel futuro e trovando una diretta traduzione politica negli ideali rivoluzionari dell’89, racchiusi nella famosa triade libertà-uguaglianza-fraternità. L’evento fondamentale di questo movimento, insieme filosofico e politico, è l’inizio della pubblicazione nel 1750, sotto la direzione di Denis Diderot e Jean-Baptist D’alembert, dell’Encyclopedie o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. L’ Enciclopedia, divenuta ben presto l’espressione più tipica e compiuta della cultura illuminista, viene interpretata da subito dai suoi promotori oltre che come un compendio di conoscenze universali, anche come un mezzo di diffusione ideologico-politica.

    Tra gli appartenenti al movimento dell’Illuminismo francese il più rappresentativo è Voltaire, autore di numerosi pamphlets, saggi, satire e racconti brevi. Profonda influenza sul piano politico esercitarono però anche gli scritti di Jean-Jacques Rousseau, sebbene egli rimase in una posizione piuttosto defilata; autore del Contratto sociale (1762), dell’ Emilio (1762) e delle Confessioni. Nella consapevolezza di vivere in un’epoca “illuminata” o filosofica, tutti i protagonisti del movimento illuministico francese, diffusosi poi progressivamente in tutta Europa, hanno manifestato una spiccata propensione alla critica e al giudizio sul passato e sul presente, assumendo a metro e strumento di queste costantemente la ragione. I due campi in cui con maggior forza si è esercitata la critica illuminista della ragione sono la politica e la religione.

    Partendo dall’assunto proprio al diritto naturale che la ragione è essenzialmente eguale in tutti gli uomini, bersaglio privilegiato degli illuministi sono state innanzitutto l’assolutismo politico, i privilegi delle caste oligarchiche, e l’ingerenza del clero nel potere politico. Sulla base della visione antidogmatica e antimetafisica della ragione ereditata dalla cultura inglese, la battaglia degli illuministi si è rivolta invece contro il sistema delle religioni positive consolidate in dogmi, riti, apparati; accusate di difendere e legittimare il pregiudizio, la superstizione, il fanatismo e il dogmatismo.

    Questa battaglia contro l’autorità e la tradizione dogmatico-religiosa ha assunto accenti radicali e battaglieri, che hanno incubato a loro volta germi di intolleranza, sconfinati in posizioni non sempre coerenti con la tutela delle libertà e dei diritti. È in questa critica tuttavia, che va individuato il consolidamento e la promozione di quell’ideale della tolleranza tra diversità di fede e di culture, che ancora oggi fonda l’identità culturale e spirituale dell’Europa nel suo complesso. Monumento di questo impegno politico-culturale è Il trattato sulla tolleranza del 1763 di Voltaire: in quest’opera il filosofo, ricostruendo il caso giudiziario di Jean Calas, un calvinista giustiziato a Tolosa nel 1762, dopo essersi scagliato contro il fanatismo della plebe, la volontà politica oscurantista e l’omertà dell’ordine giudiziario individuati all’origine dell’esecuzione, espone i motivi che rendono necessaria la tolleranza. La promozione della tolleranza viene così additata come il principale strumento per dar vita ad una società razionale, capace di tutelare la difesa della libertà di pensiero e di religione e capace di accogliere e rispettare in sé le differenze delle diverse identità.

    Di fronte alla sfida posta attualmente da alterità culturali che si pongono volutamente fuori dal solco dalla tradizione illuministica europea, rimproverando ad essa di disconoscere la dignità e il valore di altre e differenti tradizioni, la definizione di Illuminismo più istruttiva che si possa fornire è ancora oggi probabilmente quella che ne diede Immanuel Kant, nello scritto Che cos’è Illuminismo del 1784:  "L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Questo è il motto dell’Illuminismo.”

    In questa definizione è contenuto infatti sia quel nucleo fondamentale di principi attraverso il quale l’Illuminismo ha determinato il profilo della modernità europea, tracciando un perimetro di valori che ne fanno la sua irrinunciabile ragion d’essere; sia quegli elementi che permettono all’ Illuminismo e alla modernità occidentale che da esso è scaturita, di mantenere viva una soglia permanente di autocritica contro se stessi; necessaria ed indispensabile perché i suoi principi siano realmente messi al servizio del dialogo e dell’incontro tra culture e identità diverse.

    Come è stato notato fin dai decenni successivi alla Rivoluzione francese infatti, la battaglia dei Lumi contro la tradizione, l’oscurantismo e l’autoritarismo, ha assunto spesso a riferimento un paradigma universalistico di ragione, che si è mostrato poco incline a riconoscere il valore delle particolarità e delle differenze, rivelandosi ricettacolo di tentazioni a loro volta livellatrici e dispotiche. La controversia che ha visto contrapporre nel dibattito recente all’universalismo e alla difesa dei principi della Rivoluzione francese il multiculturalismo e la battaglia contro le tendenze livellatrici della ragione occidentale non è che la replica aggiornata delle discussioni sorte in Europa a cavallo tra ‘700 e ‘800, aventi a bersaglio critico le derive scaturite dall’esaltazione della ragione e gli eccessi della rivoluzione giacobina dell’89.

    Il concetto di autonomia e di uso pubblico della ragione, contenuto implicitamente nella definizione di Kant, può dunque servire come bussola di orientamento per riuscire a trovare una posizione intermedia, in grado da una parte di difendere l’illuminismo dai suoi nemici esterni, e dall’altra di tutelarlo da se stesso; dal rischio cioè presente fin dai suoi albori che esso si rovesci dialetticamente nel suo contrario, cadendo vittima, nei confronti dell’alterità da sé, dello stesso principio di intolleranza combattuto presso altri.

    L’accento posto nella definizione sulla ragione infatti, ci ricorda che l’apertura nei confronti dell’alterità e il riconoscimento della sua dignità devono avere come limite ultimo la difesa del valore universale della critica e del dialogo, e quindi l’universale rigetto di ogni forma di fanatismo e intolleranza. L’accento posto nella stessa definizione però da Kant sull’autonomia di ogni processo di emancipazione, ci ricorda parimenti che i principi illuministici entrano in contraddizione con loro stessi, qualora li si pretenda esportare dall’esterno e con la forza; e che la forza dell’Illuminismo sta proprio nel proporsi come stimolo, in un dialogo, perché soggetti ed individui, dal loro particolare contesto di provenienza e secondo strade ogni volta proprie, abbiano il coraggio da se stessi di liberarsi da quanto non li rende liberi.

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