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  • Alessandro Ferrara

    In questa accezione il concetto di cultura continua a vivere anche nel Medioevo e nella prima età moderna, fino al ‘700. Nell’Europa di lingua germanica è in parte il termine Bildung a coprire questo spazio semantico – ancora in Hegel Bildung vuol dire coltivazione della propria personalità attraverso l’esposizione a quanto di meglio si scrive e si dice nel mondo.

    Un cambiamento di rilievo avviene però attorno alla metà del XVIII secolo. Il concetto di cultura comincia ad assumere un nuovo significato, quello di “patrimonio universale di conoscenze e valori formatosi nel corso della storia dell’umanità”. In parallelo, comincia ad emergere il concetto di civiltà o civilizzazione. Essere “civili”, a differenza di essere “colti”, vuol dire essere passati attraverso un processo di “affinamento culturale dei costumi” – che forma l’oggetto di studio dell’opera di Norbert Elias – tanto che la contrapposizione principale diventa allora quella fra “uomo civilizzato” e gli “incivili” o “selvaggi”.

    Questa opposizione sarà foriera di importanti sviluppi per il concetto di cultura. Nel XVIII secolo si sviluppa una letteratura che sviluppa il confronto fra le consuetudini radicate nella cultura occidentale europea e in quelle extraeuropee. La memorialistica etnografica del XVIII secolo ha però fin da subito l’effetto di minare alla base l’idea di una natura umana universale, e contribuisce invece a rafforzare la nozione che l’educazione e le forme di vita locali entro le quali avviene l’interazione fra gli uomini ha un valore costitutivo per la cultura. Molti aspetti considerati “naturali” dell’uomo vengono ora ascritti a processi formativi di ordine culturale – Rousseau ne è l’esempio principe.

    Ma vengono immediatamente in mente anche i nomi di Vico e più avanti, alla fine del XIX secolo, di Dilthey. Questa curvatura storicistica del concetto di cultura contribuirà a una riformulazione dei rapporti tra il concetto di cultura e quello di civilizzazione, da cui a sua volta discenderanno conseguenze infauste.
    “Cultura” (Kultur) e “civilizzazione” (Zivilisation) diventeranno delle specie di idealtipi in base ai quali interpretare processi storici di modernizzazione. Nel dibattito tedesco di fine secolo e inizio novecento la coppia concettuale Gemeinschaft e Gesellschaft coniata da Toennies diventerà la chiave per comprendere le risonanze che emanano dalla coppia Kultur e Zivilisation.

    Mentre la comunità deve essere considerata un “organismo vivente”, la società deve essere intesa, sostiene Tönnies, come un “aggregato e prodotto meccanico” (Tönnies 1963: 47). Nasce qui l’idea che la comunità e i rapporti comunitari presuppongano omogeneità culturale, ovvero che l’espressione “comunità pluralista” sia contraddittoria. Ecco cosa ora va ad aggiungersi all’idea di Kultur oltre il significato primario di “cultura alta”. Il termine Zivilisation è riferito invece a una cultura intrinsecamente aperta e pluralista. Diventa possibile affermare che il trionfo della “civilizzazione” segna il contemporaneo “tramonto della cultura”. In Spengler, l’autore de Il tramonto dell’Occidente, la Kultur (intesa qui come complesso culturale proprio di un’intera civiltà) è identificata con il momento di ascesa e di fioritura di una forma di vita, mentre la Zivilisation è, in modo nuovamente negativo, tipica della fase di declino di quella forma di vita o epoca storica.

    Qualcosa di questa interpretazione della modernizzazione culturale sopravvive ancora: se la contrapposizione fra “apocalittici” e “integrati” vi dice qualcosa, quel qualcosa è molto simile alla contrapposizione di una volta, con gli apocalittici come difensori della Kultur e gli integrati come difensori di quel surrogato della “civiltà” che è la ossimorica “cultura di massa” o “popolare”.

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