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  • Giovanni Filoramo

    Pur nell’amplissima varietà storica di credenze e pratiche, esso ha mantenuto come elemento comune la professione di fede in Gesù visto come il Figlio, incarnato, morto e risorto, dell’unico Dio, Signore e Creatore, della tradizione biblica, il messia promesso e, in quanto tale, il "Cristo" (dal gr. christós = “unto” del Signore, traduzione dell’ebraico Mashiah, “messia”; di qui il nome di "cristiani" con cui ben presto vennero indicati i suoi seguaci: Atti 11, 26). Al pari di altre religioni come l’islam o il buddhismo, il cristianesimo si presenta, dunque, come una religione storicamente fondata, non soltanto nel senso che esso ha avuto inizio in un dato momento della storia, ma anche nel senso che la sua origine è riconducibile all’azione di un concreto personaggio storico.

    Va, altresì, tenuto presente che, nell’autocomprensione cristiana, fin dalle origini Gesù è stato visto come fondatore anche nel senso di persona sempre presente alla comunità dei suoi, che dunque fonda perennemente la sua chiesa. Oggi il cristianesimo è la maggiore delle religioni universali, con circa un miliardo e mezzo di aderenti presenti soprattutto in Europa, in Africa e nelle Americhe, divisi nelle tre confessioni principali: cattolici, protestanti e ortodossi.

    Fin dalle origini, il cristianesimo si configura come una realtà variegata, profondamente condizionata dai modi in cui la fede originaria nel Cristo risorto fu interpretata e trasmessa negli scritti che ne fissavano la memoria, espressione di comunità in competizione. A differenza dell’islam, che ha nel Corano un testo rivelato che la tradizione presenta come inalterato e immutabile, il canone o insieme ispirato degli scritti cristiani è l’esito di un complesso e conflittuale processo storico tra differenti comunità cristiane.

    Il prevalere, già nel corso del II secolo, di un tipo di comunità gerarchicamente ordinata e sottomessa a una figura originale, il vescovo, la cosiddetta “Grande Chiesa”, costituisce un’altra caratteristica distintiva dell’identità cristiana. Si tratta di una struttura istituzionale, destinata attraverso mille lacerazioni e riplasmazioni ad arrivare ai nostri giorni: la storia dell’evolversi di questa dimensione istituzionale costituisce, al di là delle pur rilevanti e, a tutt’oggi, insuperabili differenze di prassi e dottrina, come la spina dorsale dello sviluppo del grande e complesso corpo delle chiese cristiane.

    Essa ha dato luogo alle tre principali confessioni cristiane, espressione a loro volta del modo in cui l’annuncio cristiano si è conservato e ha interagito dapprima nell’Europa occidentale e nell’Oriente cristiano, poi, in seguito alla rottura dell’unità confessionale prodotta nel XVI secolo dalla Riforma, nelle varie chiese nazionali sorte in particolare nel nord Europa. Un altro tratto distintivo del cristianesimo delle origini, che seca la sua storia millenaria arrivando ai giorni nostri, è il suo modo peculiare di “incarnarsi” nelle differenti culture con cui è entrato in contatto nella sua spinta e vocazione universalistica, che lo ha portato, al pari dell’islam e del buddhismo, a promuovere una missione priva di confini etnici.

    Nato e diffusosi nel contesto di una cultura giudaica, per molti aspetti già entrata in contatto con l’ellenismo, a seconda delle aree geografiche in cui si è sviluppato e dei contatti e delle influenze ricevute da nuove culture, grazie alla capacità di adattamento del suo messaggio salvifico il cristianesimo è via via andato integrando in se stesso elementi culturali nuovi: in tal modo, esso ha, a sua volta, influenzato culture diverse, contribuendo a crearne di nuove e originali (in questo senso, ogni tentativo di privilegiare una tradizione culturale, come ad esempio quella ellenica, rischia di tradire la complessità della sua storia).

    Gli elementi giudaici si sono conservati più tenacemente nelle aree orientali (Egitto, Vicino Oriente, Siria, Persia, Georgia), mentre le cristianità di Grecia, Asia Minore, Africa del Nord hanno dato luogo a incontri religioso-culturali molto fecondi destinati a definire il profilo del cristianesimo delle chiese occidentali. L’ellenismo greco-romano ha agito in profondità ed è stato a sua volta influenzato fortemente dalle assimilazioni che ne ha fatto il cristianesimo. Questo è avvenuto a livello di pensiero soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo dottrinale: così, l’idea biblica della Sapienza di Dio identificata con il Logos-Verbo di Dio è all’origine dello sviluppo della teologia trinitaria e delle definizioni dogmatiche dei concili ecumenici di Nicea del 325 e di Costantinopoli del 381; l’antropologia classica, che individuava nell’anima l’elemento essenziale, sta alla base della concezione escatologica della sopravvivenza dell’ anima.

    Del pari, la cultura classica sta alla base della formazione dei grandi intellettuali cristiani dei primi secoli, così come, per altro verso, la struttura ecclesiastica si è venuta costruendo sulla base delle divisioni e dell’organizzazione amministrativa dell’impero. Il confronto politico-religioso con l’impero romano, che fu durissimo, permise di elaborare i criteri fondamentali di teologia politica cui poi si ricorrerà innumerevoli volte per definire i rapporti con i poteri statali e politici. Né meno importante doveva rivelarsi, in prospettiva storica, l’incontro con lepopolazioni barbare. Il cristianesimo, che fino ad allora era stato essenzialmente un fattore urbano, si volse alle campagne con lo scopo di evangelizzare le masse rurali rimaste pagane.

    Si tratta di un processo millenario che, con alti e bassi, accompagna tutta la storia del mondo contadino occidentale fino alla sua recentissima messa in crisi, ma che si ripresenta anche nella evangelizzazione dei nuovi mondi. Questa evangelizzazione, se non intaccò elementi tradizionali e folklorici che talora sopravvissero sotto forma di “superstizioni” (“ciò che sopravvive”), talora diede, più fecondamente, origine a forme varie di sincretismi, mettendo in atto un complesso e decisivo processo di mutamento di costumi, anche se spesso esso fu condotto in modo violento. Un ulteriore elemento distintivo della tradizione cristiana è rappresentato dalla centralità che vi riveste la riflessione teologica. A rigore, tra le grandi religioni soltanto il cristianesimo ha elaborato una vera e propria “teologia” e cioè riflessione razionale su Dio. Ciò ben si spiega sullo sfondo della centralità che vi riveste la fede in Gesù il Cristo.

    La necessità, da un lato, rimanendo all’interno del monoteismo biblico, di spiegare l’esistenza del Figlio e i suoi rapporti con il Padre e lo Spirito, dall’altro, di spiegare i rapporti tra natura divina e natura umana del Cristo, ha indotto ben presto i pensatori cristiani a elaborare complesse dottrine teologiche, fissatesi nei Concili ecumenici dell’antichità e patrimonio comune delle diverse chiese cristiane. D’altro canto, la fissazione di questo patrimonio è il portato di lotte e conflitti teologici condotti talora in modo spietato, che hanno continuamente generato dissidenze e movimenti ereticali, combattuti dalla Grande Chiesa e dai poteri politici che l’appoggiavano in modo sovente feroce.

    La modernità ha inciso in modo profondo sulla vita delle chiese cristiane, mettendo in atto una dialettica di rifiuto e di adattamento estremamente complessa che arriva fino ai giorni nostri. Le chiese cristiane hanno reagito alle sfide secolarizzanti in modi diversi, che non è ora possibile approfondire. Basterà limitarsi ad osservare, limitatamente alla Chiesa cattolica, che l’accettazione dell’autonomia della modernità e dei suoi valori riconosciuta dal Concilio Vaticano II oggi sembra nuovamente rimessa in discussione, in nome di una “riconquista” cristiana della società. Oggi, dopo venti secoli di storia, nonostante l’erosione profonda indotta dai processi di secolarizzazione, il cristianesimo appare, tuttavia, una realtà religiosa e spirituale ben viva.

    La crisi irreversibile dell’ ateismo di stato nei paesi ex-marxisti, conseguenza della “svolta” epocale del 1988, ha riaperto indubbiamente nuovi spazi di missione e proselitismo che si sforzano di tener conto dei nuovi criteri missionologici promossi dal Concilio Vaticano II. Inoltre, anche se paesi tradizionalmente cattolici come l’America latina hanno conosciuto, in conseguenza dei processi di industrializzazione, profondi cambiamenti nelle forme religiose tradizionali, l’ultimo decennio del Novecento ha assistito a un’impressionante crescita di movimenti pentecostali soprattutto in Brasile. Il cristianesimo rimane poi un fattore religioso vivo e vitale in paesi come gli Stati Uniti, mentre ha incontrato notevoli fortune in Africa, dove deve però contrastare la spinta proselitistica dell’islam.

    Soltanto in Europa esso ha conosciuto una perdita effettiva di importanza, soprattutto dal punto di vista della pratica. Si spiegano meglio, su questo sfondo, le virulente polemiche degli episcopati cattolici, in particolare in Italia, a difesa di una identità profondamente minacciata e corrosa dall’interno dall’avanzare ineluttabile dell’individualismo, con le sue esigenze di costruirsi una religione cristiana sottratta a controlli gerarchici e libera di muoversi nel campo delle scelte etiche e politiche. Questa nuova situazione, in cui il cristianesimo non appare più come un prodotto d’importazione europeo o occidentale, disegna, sulla soglia del terzo millennio, un panorama nuovo e dagli esiti imprevedibili, anche all’interno di una ritrovata vitalità e importanza sul piano politico delle grandi religioni. Il fattore demografico in virtù del quale appare sempre più probabile, ad esempio, che la chiesa cattolica è destinata a crescere più in Africa che in Europa, invita a ripensare all’importanza crescente che potranno acquisire modelli diversi di intendere e interpretare l’annuncio cristiano.

    D’altro canto, il cosiddetto cristianesimo del sud, che si sta diffondendo, grazie anche alla differente spinta demografica, in un arco che va dall’America del sud alle chiese dell’Africa subsahariana, dalle Filippine alla Corea del sud, è un cristianesimo emozionale e comunitario, che non ha conosciuto il confronto con nichilismo e secolarismo e si muove lungo linee prive di spessore teologico e legate essenzialmente alla prassi.

    In questa espansione, la Chiesa cattolica è destinata a recitare un ruolo centrale. Il
    problema decisivo che essa si trova, però, ad affrontare è, ancora una volta, squisitamente teologico. L’esclusivismo salvifico preconciliare e cioè l’idea tradizionale che per i non cristiani non c’è salvezza fuori della Chiesa, messo in crisi dal Vaticano II, nonostante le aperture dialogiche promosse da Giovanni Paolo II, è ritornato di nuovo al centro dell’attenzione, come insegna in particolare il recente discorso di Benedetto XVI a Ratisbona sulla differenza tra Dio cristiano e Dio islamico. A parlare in quest’occasione non è stato solo il professore di teologia formatosi alla grande tradizione patristica dell’incontro tra Logos cristiano e logos greco, ma anche il teologo Ratzinger autore della dichiarazione Dominus Jesus, in cui si ribadiva, contro il relativismo teologico fondato su di una indistinta dottrina di Dio, l’assolutismo della fede cristiana radicata nella cristologia.

    Rivendicare questa specificità è, certo, un diritto del Pontefice. Si può dubitare, però, se la storia millenaria delle missioni cristiane può insegnare qualcosa, che un nucleo teologico così profondamente eurocentrico sia veramente in grado di permettere quegli incontri e quei riconoscimenti, di rinnovare quelle ibridazioni, dal Cristo dei barbari al Cristo dei poveri della teologia della liberazione latino-americana, che pure stanno alla base della straordinaria diffusione del messaggio cristiano.

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