Elezioni in Tunisia: le sfide della democrazia
Intervista a Riccardo Migliori, presidente della delegazione dell'Osce in Tunisia - di Antonella Vicini 25 ottobre 2011

Come giudica questa prima prova affrontata dalla nuova Tunisia?

È stata un’esperienza entusiasmante per i tunisini, il primo banco di prova per la democrazia in questo Paese. Quello che abbiamo potuto osservare è stato un giorno tranquillo, con elettori ordinatamente  in fila attendere anche per ore il loro turno. Io e i miei colleghi eravamo già venuti qui a settembre, due volte, per degli incontri preparatori e devo dire che fino a quaranta giorni fa non era scontato che tutto andasse come previsto. Invece, in questa fase di transizione democratica, dopo soli pochi mesi di proteste violente, abbiamo visto delle elezioni genuinamente libere. Non abbiamo potuto constatare nessuna irregolarità diffusa.

Voi siete stati nei seggi più problematici, nel sud del Paese, che situazione avete trovato lì?

Noi domenica mattina eravamo a Touzer, la penultima circoscrizione del Sud, prima di Tatouine. In pieno deserto arrivava gente in bicicletta e a piedi, dopo aver fatto chilometri. L’abbiamo vista con i nostri occhi alle sette correre verso i seggi. Nel nostro seggio, quando la prima scheda è entrata dentro l’urna c’è stata una scena di giubilo; un applauso generale. Li abbiamo fotografati e filmati perché era una scena straordinaria vederli di corsa verso la nuova Tunisia. Oltre a Touzer, siamo stati a Sidi Bouzid, cuore della rivoluzione tunisina. C’è un seggio a cinquanta metri dal governatorato dove Bouazizi si è dato alle fiamme e lì c’è stata una grande partecipazione. Molti gli striscioni a ricordare questo gesto. Si tratta di una cittadina piccola, che può essere paragonato a un centro agricolo del nostro sud, eppure c’è stata grande partecipazione; come a Kairouan, città musulmana con la terza moschea più grande e più cara all’Islam, dove abbiamo visto molte donne e nessuna di questa  totalmente velata, come si era pensato invece prima del voto.

Si dice che in alcuni seggi, soprattutto nelle zone più isolate, ci siano state pressioni da parte dei partiti.

Il problema è stato che domenica sono andati a votare anche quelli che non si erano registrati. Per loro erano stati previsti dei seggi speciali, con un sistema diverso che implicava la registrazione al momento. Questo può aver creato un po’ di confusione, tecnica e logistica. È successo, ad esempio, che alcuni elettori siano stati accompagnati nel seggio giusto da membri di partito, piuttosto che di un altro; ma non credo che in un contesto simile siano fenomeni rilevanti.

L’Osce ha testimoniato solo ciò che ha visto e non abbiamo elementi per sostenere le accuse isolate dalle parti interessate di acquisto di voti. I nostri osservatori hanno assistito a conteggi onesti e non ci hanno riferito di mancanze evidenti nel processo di assegnazione dei voti di lista. C’è poi chi ha osservato che c’erano partiti più organizzati, presenti in tutti i seggi; ma non mi pare nulla di strano. Capita anche in Italia che i partiti più grandi abbiano più esponenti e che quelli più piccoli abbiano maggiori difficoltà. C’è stato poi il problema degli analfabeti.

L’analfabetismo femminile nel sud del Paese arriva anche al 25%. Per votare avrebbero dovuto essere accompagnate. In alcuni seggi si è deciso di rinunciare a una parte consistente di elettori in nome della trasparenza totale, per evitare polemiche successive.

Quali erano i maggiori timori alla vigilia del voto?

Si temeva un colpo di coda di Ben Ali e dei suoi dirigenti, che non hanno votato in queste lezioni perché sono stati privati dei diritti civili per un periodo di tempo; si temeva che qualche potesse fare pressioni, invece la gente tunisina ha dato un segnale chiaro e cioè che il Paese ha una sua via per garantire la libertà, il rispetto dei diritti umani, le regole democratiche.

Il 23 ottobre si è votato in Tunisia e in Libia si è festeggiata la liberazione, con un discorso che di fatto ha aperto alla sharia. Esiste un parallelismo?

I libici guardano alla Tunisia come modello, socialmente e culturalmente Jibril di fatto ha vagheggiato una road map sul modello tunisino: un’autorità indipendente e otto mesi per le elezioni. La differenza è che qui siamo in una fase di “democracy building” e lì in una fase di “state building” quindi ci sono basi di partenza diverse. La Tunisia avrà un valore di esempio? Io spero che queste elezioni abbiano un valore condizionante in positivo per i paesi dell’area. Sicuramente l’avranno per il Marocco che ha vissuto una situazione simile; non ha avuto la sua rivoluzione, ma ha votato la sua costituzione con una partecipazione che ha un valore rivoluzionario. Spero che funga da traino anche per l’Algeria, per la Libia, mentre per l’Egitto resta un grande punto interrogativo.

Se dovesse definire in una frase le elezioni appena svolte.

La Tunisia ha vinto e ha votato e posso dire che dal punto di vista metodologico lo ha fatto un po’ meglio della Gran Bretagna.  È una provocazione per dire che non possiamo chiedere alla Tunisia di mantenere standard più alti di quelli che si chiedono agli europei. E mi auguro che tutte le parti e i tunisini accettino serenamente i risultati delle urne.