Mostre, festival e un reality: i protagonisti del revival
Elisa Pierandrei 29 luglio 2010

Terrorismo, scontro di civiltà, politica estera. Sono questi i temi su cui punta la stampa internazionale quando segue l’attualità nel mondo arabo. Ma un libro, in particolare, dal titolo “1001 Inventions: Muslim Heritage in Our World” (www.1001inventions.com) racconta la storia di un mondo arabo antico protagonista di uno scenario diverso. Il volume, da cui è nata quest’anno una mostra a Londra (che da agosto ha traslocato ad Istanbul) mette in luce che è alto il debito dell’Occidente nei confronti degli scienziati, astronomi e medici arabi che in 1000 anni di storia, dal Nord Africa alla Cina, hanno fornito un ponte con il Rinascimento. Si dice sia stato il medico cairota Ibn Al-Nafisi, per esempio, il primo ad aver descritto accuratamente la parte del sistema cardiovascolare che coinvolge il cuore e i polmoni, spianando la strada a William Harvey, che nel 1628 ne fece una descrizione completa.

Forti di questa eredità, un pugno di scienziati e giornalisti arabi tenta oggi di avvicinare la scienza alla cultura popolare araba, per stimolare un interesse diverso non solo dei media. Non solo perché l’economia araba (e non solo) ha bisogno di nuovi cervelli, non potendo fare a meno della ricerca e dell’innovazione. Ma anche perché, se si trascurano i contributi in questo settore, poi si finisce col sentirsi culturalmente inferiori, il che è pericoloso. A nutrire l’idea di un risveglio scientifico arabo (il rapporto annuale ONU sullo Sviluppo nel Mondo Arabo fino ad ora ha parlato di declino) c’è, da un anno, anche un reality-show.

Realizzato nel Qatar Science and Technology Park di Doha, si intitola “Stars of Science” e si tratta di una trasmissione panaraba (va in onda su 17 canali attraverso tutto il mondo arabo) in cui i partecipanti, giovani dai 18 ai 30 anni, si sfidano a suon di invenzioni. In Egitto invece è nato, sempre di recente, il Cairo Science Festival (www.cairosciencefestival.org), realizzato in collaborazione – e in concorrenza – con il multiculturale Cambridge Science Festival di Cambridge, Massachusetts. Il 2004 invece ha segnato la nascita dell’Arab Science Journalists Association (ASJA) presieduta da una giornalista egiziana, Nadia El Awady.

“Le sfide che deve affrontare il giornalismo scientifico nel mondo arabo sono le stesse del giornalismo arabo in generale – ci spiega El Awady che è anche presidente di turno della World Federation of Science Journalism (WFSJ) – L’accesso alle fonti di informazioni è difficile per tutti i giornalisti arabi, qualunque sia l’argomento che devono seguire. Succede quindi che in un Paese come l’Egitto si scriva molto di scienza sui giornali, ma che manchino articoli di qualità, perché i reporter si piegano alla logica del copia/incolla dai comunicati”. L’Associazione presieduta dal El Awady ospiterà nel 2011, al Cairo, The World Conference of Science Journalists (WCSJ): “Speriamo che questa iniziativa darà ai giornalisti scientifici arabi l’opportunità di conoscere le sfide affrontate e superate dai colleghi occidentali – continua El Awady – E che siccome la conferenza si tiene in un paese in via di sviluppo, sia maggiore la partecipazione da parte araba. Una bozza del programma è disponibile all’indirizzo www.wcsj2011.org”.

I governi delle Nazioni arabe (Arabia Saudita ed Egitto in testa), intanto, investono in nuovi progetti nell’ambito dell’istruzione superiore e della formazione scientifica. Anche la WFSJ si è impegnata in questo senso. “Nel 2006 la WFSJ ha lanciato il primo SjCOOP (Science Journalism Co-op programme) in Africa e nel mondo arabo. E’ stato un programma intenso di 3 anni, costato 2 milioni di dollari, che aveva lo scopo di aggiornare e formare i giornalisti scientifici di queste parti. Ha avuto un successo così grande che abbiamo lanciato una seconda edizione – dice El Awady – Nella seconda fase speriamo di riuscire ad insegnare ai giornalisti a scrivere articoli che abbiano un impatto sulle politiche scientifiche dei loro paesi”. Tuttavia ci vorrà del tempo – anni, forse decenni – prima che le Nazioni arabe possano tornare a vantarsi degli antichi splendori. Principale colpevole è la fuga di cervelli. Il 45 per cento dei giovani arabi che hanno studiato all’estero non rientra in patria una volta ottenuta la laurea. Il risultato? Sono gli Stati Occidentali i principali beneficiari della produzione scientifica dei giovani arabi con una preparazione accademica alta.