Il Kuwait è il quarto paese che premia le formazioni islamiche alle urne dopo l’inizio della primavera araba. Il 2 febbraio i cittadini del piccolo emirato del Golfo hanno votato per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale: 34 seggi su 50 sono andati all’opposizione, formata da salafiti e Fratellanza Musulmana, che insieme hanno conquistato 23 deputati, liberali e attivisti laici, accomunati dal rifiuto delle politiche dell’emiro Sabah Al Ahmad Al-Jaber Al Sabah.
Il voto è arrivato con un anno di anticipo rispetto alla fine della legislatura, a causa della crisi di governo, la quarta in sei anni, seguita a uno scandalo per corruzione che ha coinvolto 13 parlamentari e il primo ministro, Nasser Al-Sabah, nipote dell’emiro, in carica per sette mandati consecutivi e che alla fine ha deciso di dimettersi. Per il Kuwait si è trattato di un punto di svolta perché per la prima volta il premier ha dovuto abbandonare l’incarico sotto la spinta delle manifestazioni popolari e della richiesta di riforme.
Il sistema politico del paese, il primo nel Golfo ad aver istituito il parlamento nel 1962, prevede un capo di stato a carica ereditaria, un primo ministro da lui nominato ed un’assemblea unicamerale con 65 membri, dei quali 50 vengono eletti e 15 designati direttamente dall’emiro. Nel corso dell’ultimo anno le proteste di piazza contro il governo e le tensioni all’interno della Camera fra maggioranza e opposizione si sono fatte sempre più frequenti. E non a caso il voto ha punito le forze a favore dell’emiro: il reale potere decisionale è di fatto concentrato nelle sue mani, e in quelle del governo, composto in larga parte da membri della sua stessa famiglia. Se è vero che l’Assemblea Nazionale ha potere di controllo e può emettere voto di sfiducia sull’operato dell’esecutivo, di fatto non ha mai esercitato questa opzione.
La vera sconfitta però è arrivata per le donne, perché su 23 candidate nessuna è riuscita a conquistare un seggio, nemmeno le quattro deputate uscenti elette per la prima volta alle scorse parlamentari, dopo la conquista del diritto di voto attivo e passivo nel 2005.
I kuwaitiani aventi diritto hanno partecipato alle urne per il 60%, quando nel 2009 erano stati il 58%. Coloro che godono dei diritti civili sono però una netta minoranza nel paese, circa 400mila persone su 3 milioni e 600mila abitanti. Questi numeri si spiegano per la presenza di due fattori: i cittadini stranieri provenienti soprattutto dal Sud est Asiatico che vivono e lavorano nel paese e che rappresentano l’80% del totale della forza lavoro, e i cosiddetti bidun, gli apolidi senza diritti.
Il lavoro e lo sfruttamento dei migranti è stato denunciato anche da Human Rights Watch nel Rapporto 2012: la relazione fra dipendenti, soprattutto nel settore domestico, e datori di lavoro in Kuwait è basata sul sistema della sponsorizzazione, per cui il soggiorno legale dello straniero sul suolo dell’emirato dipende solo dal suo sponsor, e lo vincola per almeno tre anni. Così può succedere che nei casi, molto frequenti, di abusi e maltrattamenti, il lavoratore non possa denunciare la sua situazione e lasciare il posto perché sarebbe bollato come fuggitivo e rischierebbe il carcere o la deportazione.
Nel giugno scorso il governo ha approvato una legge per il lavoro domestico nel settore privato che fissa il numero massimo di ore lavorative, la giornata di riposo settimanale e le ferie annuali; ma ancora una volta esclude i lavoratori del Sud Est Asiatico.
Gli apolidi in Kuwait sono oltre 100mila, e sono stati loro i primi a scendere in piazza sull’onda delle manifestazioni esplose in tutto il mondo arabo all’inizio dello scorso anno. Molti di loro risiedono nel paese da generazioni, alcuni sono figli di cittadini uccisi durante l’invasione irachena che non possono più dimostrare la loro cittadinanza, ma allo stesso tempo non hanno gli strumenti per riacquistarla. Per il governo sono persone che soggiornano illegalmente e che hanno distrutto le prove di nazionalità, e che non hanno diritto a documenti, né servizi pubblici. Ma il cambiamento per il paese, se ci sarà, sarà partito soprattutto da loro.