Iran, la parola chiave è cambio generazionale
Intervista a Pejman Abdolmohammadi di Antonella Vicini 12 dicembre 2011

“Anche se i media italiani non ne parlano – spiega Abdolmohammadi – c’è uno scontro piuttosto forte fra il fronte vicino alla guida suprema e quello vicino al presidente che si farà sentire durante il 2012, visto che a marzo ci sono le elezioni politiche. Queste divisioni potrebbero essere anche all’origine dell’assalto all’ambasciata britannica ad opera di studenti basiji, anche se, naturalmente, non esiste una versione ufficiale della vicenda. Sui alcuni blog e siti iraniani, però, si parla di parlamentari conservatori vicini all’ayatollah Khamenei come possibili promotori di questo assalto. Se così fosse, si confermerebbe l’idea che l’Iran possa essere al tempo stesso un attore razionale o irrazionale ed è molto importante in questo momento dialogare con la parte razionale che secondo i miei studi, anche se può sembrare paradossale, è la parte presidenziale.

Ahmadinejad che potrebbe dialogare con l’Occidente: questo vuol dire che il presidente sente di aver perso peso al suo interno?

La situazione è molto complessa. Si parla semplificando di scontro tra clero e pasdran, ma ci sono elementi interni ai pasdaran che sono con la guida e viceversa. Ahmadinejad ha un gruppo di potere che lo sostiene di cui fanno parte anche i pasdaran, ma non è esatto dire che tutti i pasdaran sostengano Ahmadinejad, anche perché i capi dei Guardiani della Rivoluzione sono nominati dalla Guida Suprema. Questo per spiegare la complessità del gioco. È quindi difficile dire quale dei due fronti adesso sia il più forte. Molti dei miei colleghi e molti analisti ritengono che attualmente sia il presidente la parte più debole; io però non ne sarei così sicuro.

Dopo un periodo di relativa calma si è deciso di imprimere una nuova accelerata alle pressioni. Perché ora?

Io credo che l’Iran faccia parte di un disegno che punta al cambiamento del Medio Oriente; quello che io chiamo colonialismo soft, postmoderno. La questione iraniana si è riaccesa a seguito di grandi cambiamenti nella regione. Inoltre, c’è stata una presa di coscienza radicale da parte della finanza occidentale del gioco duro che sta facendo la Cina che rende necessario rimodulare tutta l’area e ricreare alleanze anche economico-finanziarie dell’Occidente (alleanze euro-atlantico-nordafricano-mediorientali) per fermare l’onda cinese. Perciò è importante avere ora un Iran diverso che possa garantire questo gioco. Non è un caso che attualmente, invece, l’unico alleato stabile della Repubblica islamica alle Nazioni Unite sia la Cina. Senza un’analisi economica è difficile capire ciò che sta accadendo.

Un passo avanti dal Grande Medio Oriente dei repubblicani?

Rispetto al disegno di Bush il progetto è cambiato, tanto che nella regione si è passato dall’idea di jihaidismo all’idea di demo-islam, cioè di democrazia islamica. Prima ci trovavamo di fronte al paradigma di Bush e di al Qaida, ora con la primavera araba il paradigma nuovo che si va affermando vede protagoniste le democrazie islamiche. La via per un nuovo Medio Oriente è quella delle democrazie islamiche e moderate. In Iran il discorso, però, è diverso perché esiste una società civile con spinte molto laiche che chiede la separazione della politica dalla religione. Quindi l’Iran non è un monolite; né un attore irrazionale. La parola chiave è: cambio generazionale.

Cosa intende per cambio generazionale? Un cambio ai vertici o il rinnovarsi della base popolare?

Tutti e due. In Iran abbiamo 35 milioni di persone sotto i 33 anni (su un totale di 77 891 220, stimate al luglio 2011, ndr), di questi circa 20 milioni sono tra i 27 e i 33. Tra cinque anni questa fascia di età sarà quella che creerà una classe dirigente nuova, pensatori nuovi, giornalisti di rilievo. Sfido qualunque sistema a contenerli. Neppure un sistema democratico aperto potrebbe essere indifferente. Questo vuol dire che tra pochissimo tempo la Repubblica islamica dell’Iran dovrà fare i conti con questo cambio enorme. Attualmente, invece, c’è un gap generazionale. Nel 2009, chi erano i leader dell’Onda Verde? Erano Moussavi e Karroubi, uomini dell’entourage khomeinista.

Negli ultimi tempi, e soprattutto durante il precedente governo, i rapporti tra Roma e Teheran sembrano essersi un po’ freddati. Qual è il rischio maggiore?

Il richiamo dell’ambasciatore dopo l’assalto all’ambasciata britannica di Teheran è stata la scelta di tutti i Paesi europei, ma attenzione a non chiudere completamente. L’Italia in questo può avere un ruolo importante perché è il partner culturale ideale e quindi dovrebbe valutare bene la situazione e cercare di avviare percorsi diplomatici qui a Roma per ammorbidire le relazioni, tenendo conto di quello che sta accadendo ai vertici iraniani e per capire le mosse migliori. La gestione precedente, da ciò che è apparso, non ha avuto alcuna sofisticatezza diplomatica nei confronti di Teheran.

Come giudica il rapporto dell’Aiea?

Quel rapporto ha un valore chiaramente politico. I contenuti sono molto vaghi e quando si deve stabilire un intervento economico così pesante contro una nazione, o eventualmente anche un potenziale attacco militare, bisogna avere dati certi.

Le minacce di un attacco militare sono credibili, in questa fase? O sono solo un modo per sollevare la tensione?

Credo che siano utili a sollevare la tensione, ma in un momento così particolare di crisi regionale, crisi interna all’Iran e crisi economica in Occidente possono facilmente cambiare natura. Non credo ci sia la volontà di attaccare ora, anche se Ehud Barak ha sottolineato che nulla è da escludersi.

Le sanzioni sono realmente efficaci?

Penso che sì, possano avere un ruolo rilevante perché la situazione economica del Paese è in questo momento piuttosto grave, con inflazione e disoccupazione molto alte. Sicuramente queste sanzioni renderanno il sistema socio-economico ancora più fragile. E questo potrebbe essere uno strumento per premere sulla popolazione, anche se io voglio insistere sull’importanza del cambio generazionale in corso come fattore determinante per il futuro dell’Iran.