Navid Kermani, lo sguardo viziato dell’occidente
Nicola Missaglia 29 giugno 2011

Navid Kermani, cittadino iraniano e tedesco, è nato nel 1967 in Germania da una famiglia di origine iraniana. È una delle figure più interessanti tra i giovani intellettuali musulmani nati e cresciuti in occidente, molto noto e pubblicato soprattutto in Germania dove, a poco più di quarant’anni, è già membro del prestigioso Wissenschaftskolleg di Berlino. Con una biografia di Nasr Hamid Abu Zayd – il grande riformista e ermeneuta egiziano di cui parliamo spesso su ResetDoc e nel numero 125 della nostra rivista «Reset» – scritta insieme a lui e pubblicata nel 1996 (in italiano nel 2004, Una vita con l’Islam, Il Mulino) Kermani ha attirato per la prima volta l’attenzione del pubblico.

Editorialista del settimanale tedesco Die Zeit e autore di numerosi libri – la lista completa delle sue opere può essere trovata sul suo sito personale www.navidkermani.de – lo studioso si è occupato soprattutto dell’Iran, del rapporto tra l’Europa e i suoi immigrati musulmani (il suo libro più recente su questo tema è Wer ist Wir? Deutschland und seine Muslime, «Chi è noi? La Germania e i suoi musulmani», C.H. Beck, 2009), della tolleranza e di altri temi di carattere teologico-religioso riguardanti soprattutto l’Islam (segnaliamo, in inglese, The Terror of God, John Wiley &Sons, 2011).

Nel 2000 gli è stato conferito il prestigioso premio Ernst Bloch Förderpreis e nel 2011 la medaglia Buber-Rosenzweig. Critico dell’interpretazione sociopolitica del Corano, ritiene che l’Islam e il suo testo sacro non presentino impedimenti maggiori per lo sviluppo della democrazia di quanto non facciano le altre religioni e i loro testi, se interpretati in un certo modo. A suo avviso, il problema del rapporto ambiguo e spesso conflittuale tra il mondo musulmano contemporaneo e l’occidente democratico avrebbe meno a che fare con la religione islamica che con lo squilibrio dei rapporti economico-politici tra il primo, il secondo e il terzo mondo, spesso aggravati da una renitenza occidentale a rendere partecipe del progresso democratico i paesi e i popoli musulmani, inclusi gli stessi immigrati musulmani in Europa o in America.