Caro Nasr, questo ho imparato da te
Amara Lakhous 9 luglio 2010

All’inizio degli anni Novanta, ero uno studente di filosofia all’Università di Algeri. L’islamizzazione della società dal basso all’alto e vice versa era all’ordine del giorno. Gli studenti fondamentalisti politicizzati si rifiutavano di discutere di problemi concreti, come la disoccupazione, la crisi degli alloggi, la corruzione, la questione della democrazia, ecc. Sostenevano che il Corano fosse una sorta di cassaforte piena di soluzioni per risolvere tutti i problemi della società, perché è parola di Dio e Dio è infallibile. Quindi basta sapere i codici segreti, frutto di fede e di assoluta obbedienza alla volontà divina. Invece, io ed alcuni amici la pensavamo, a nostro rischio e pericolo, molto diversamente. In quel periodo avevamo trovato coraggio e sostegno in un un libro, “Naqd al Khitab al Dini” (Critica del discorso religioso), di un intellettuale egiziano, professore all’Università del Cairo: Nasr Abu Zayd.

Il libro ruota intorno ad una tesi molto semplice, ma allo stesso tempo profonda e rivoluzionaria: il Corano deve essere interpretato nel contesto storico e sociale dell’epoca del Profeta Maometto. I versetti coranici erano risposte a determinate domande circoscritte nel tempo e nello spazio. Insomma non c’è testo senza contesto. In quegli anni ho seguito le pubblicazioni di Abu Zayd e mi sono interessato al suo calvario giudiziario, iniziato quando una commissione accademica esaminò la sua candidatura alla cattedra di ordinario di studi islamici. L’esito fu negativo, perché Abu Zayd era considerato un “apostata”.

In seguito un cittadino egiziano fece causa contro Abu Zayd, accusandolo di apostasia in base alla Hisba, cioè la legge che autorizza un singolo cittadino a poter fare causa in nome di tutta la società, in qualsiasi momento consideri minacciati i valori dell’Islam. Il tribunale che lo processò, ritenendo fondata l’accusa di apostasia, confermò il verdetto del proscioglimento del legame matrimoniale, in quanto Abu Zayd non godeva più dello status di musulmano. Così i coniugi Abu Zayd non ebbero altra scelta che l’esilio.

Bisogna però ricordare che la hisba è in contraddizione con la Costituzione egiziana, perché l’articolo 40 dichiara: «Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, hanno gli stessi diritti e doveri e non devono essere discriminati in base al sesso, alla razza, alla lingua o alla fede». L’articolo 46 sancisce la libertà di fede, e l’articolo 47 garantisce infine la libertà d’espressione. Hanno diritto di ricorrere alla Hisba solo maschi musulmani, e di conseguenza sono escluse le donne e i non musulmani. Nel 1996, questa norma è stata modificata in parte minima, in quanto solo il Procuratore Generale, dopo aver esaminato la richiesta del cittadino «maschio musulmano ed egiziano», può avviare la procedura per il processo.

Il caso di Abu Zayd doveva servire come deterrente per impedire agli intellettuali di esercitare il loro ruolo critico. E infatti, nel 2001, la nota femminista egiziana Nawal Saadawi venne processata e in seguito prosciolta sempre secondo la Hisba. L’accusa nasceva da un’intervista che Saadawi rilasciò il 6 marzo del 2001 al settimanale egiziano Al–Maydan, cui dichiarò che «il pellegrinaggio musulmano alla Mecca e baciare la pietra nera sono residui del paganesimo». Questa riflessione storico-antropologica venne ritenuta un’offesa all’Islam, una vera e propria apostasia che richiedeva, come punizione, l’annullamento del matrimonio. Nel caso di Saadawi si trattava di un divorzio, forzato, dal marito, l’intellettuale egiziano Samir Shahata con il quale era legata da ben 37 anni.

Se il caso Saadawi ha avuto un esito felice, con il suo proscioglimento, non così è stato per lo studioso Nasr Abu Zayd, costretto a rifugiarsi in Olanda e a subire per anni ingiustizie di vario tipo. Solo qualque mese fa, è stato respinto dalle autorità kuwaitiane all’aeroporto, come fosse un criminale. Solo per accontentare l’ala fondamentalista, molte forte nel parlamento kuwaitiano. Ho avuto la fortuna di conoscere Nasr Abu Zayd a Roma nel dicembre 2005. Gli regalai il mio romanzo “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio”, nella versione araba. Mi richiamò il giorno dopo per farmi i complimenti. L’aveva letto in una notte!

In seguito ha accettato la mia richiesta di scrivere una piccola prefazione alla seconda edizione del romanzo, uscita in Libano. Fu un gesto di grande generosità e modestia. E per me un immenso onore.

Amara Lakhous

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