I musulmani, gli ebrei e la vittima sacrificale
Amara Lakhous 15 marzo 2007

C’è un legame tra le reazioni suscitate dal libro “Pasque di sangue” di Ariel Toaff e l’ossessione della maggioranza dei musulmani nel negare l’Olocausto? Forse bisogna cercare la risposta nell’eredità di Abramo, andando oltre l’unicità di Dio per approfondire la questione del monopolio dello status della vittima. È chiaro che la Terra Santa non è l’unica eredità geografica, storica e politica a dividere la “gente del libro”. Infatti, ebrei, cristiani e musulmani si contendono la paternità di Abramo. E molto spesso viene evocata questa figura per promuovere il dialogo interreligioso fra i tre monoteismi, dimenticando però, che il sacrificio di Abramo presenta due narrazioni contrastanti: la Bibbia indica Isacco (1) come vittima sacrificale mentre il Corano insiste su Ismaele (2). Come si spiega questa contesa secolare?

Il sacrificio di Abramo è l’atto di fede per eccellenza, e per questo riveste un’importanza fondamentale sul piano della legittimità religiosa. Nell’Islam, Allah ha concesso lo statuto di amico ’Al Khalil’ ad Abramo come ricompensa alla prova superata (3). Inoltre il figlio sacrificato è il prototipo della vittima in assoluto perché suscita pietà, stima, ammirazione, solidarietà, partecipazione, ecc. Sul piano etico, emerge sempre la necessità di decolpevolizzare la vittima e distinguerla dal suo carnefice.

Da bambino ero turbato ed affascinato dalla storia del sacrificio di Abramo. Nel salotto di casa mia ad Algeri, c’era e c’è tuttora una riproduzione del quadro di questo sacrificio. L’immagine raffigura il momento culminante ed estremo quando l’angelo interviene per fermare la mano di Abramo che sta per sgozzare il figlio, sostituendolo con un ariete. Il sacrificio è un atto fondamentale nell’educazione del musulmano, basti pensare che la grande festa ‘Aid al ‘adha’, chiamata anche la festa del montone, di ricorrenza annuale, esalta proprio il gesto di Abramo.

Per noi bambini, bisognava identificatasi con Ismaele e l’insegnamento da trarre era quello di obbedire sempre al padre perché la volontà del padre coincide con quella di Allah, insomma la sottomissione incondizionata al padre ci avrebbe resi dei veri musulmani! La stessa rappresentazione si riscontra nel contesto educativo ebraico (4). Questi sono spunti di riflessione per capire meglio fenomeni sociali e culturali come il paternalismo, il maschilismo, la democratizzazione dal basso, l’addomesticamento dei figli, l’esclusione delle donne, la secolarizzazione della società sia nel mondo ebraico che in quello musulmano.

Per quanto riguarda le conseguenze della controversia su Isacco ed Ismaele, occorre notare la diffusione di un’apologia che consiste nel rivendicare il monopolio dello status di vittima sacrificale. Esistono privilegi per le vittime quando ottengono giustizia, riparazione o addirittura ricompensa per la sofferenza patita in seguito ad una prova. In questo quadro di riflessione, è possibile analizzare due questioni che suscitano aspre reazioni:

Primo. Esiste un’ossessione di tanti musulmani nel negare l’Olocausto, nonostante la loro assoluta estraneità alla follia nazista. Probabilmente riconoscere lo stermino degli ebrei durante la seconda guerra mondiale per il musulmano di oggi significa ammettere la grande sofferenza dei sopravvissuti ai campi di concentramento, ai parenti dei morti, ecc. E questo porterebbe a concedere all’ebreo lo status di vittima assoluta e ad accettare, di conseguenza, lo Stato di Israele come riparazione del mondo occidentale alle colpe dei nazi-fascisti.

Tale ammissione comporterebbe il rischio di mettere in secondo piano le sofferenze dei palestinesi, mostrati quotidianamente sui canali satellitari come Al Jazeera, costretti ad abbandonare le loro case e a rifugiarsi in campi disumani in paesi vicini o restare all’interno del muro e sopportare le aggressioni dell’esercito israeliano. Il grande studioso Edward Said (1935 – 2003) definiva il dramma del popolo palestinese come “la tragedia delle vittime delle vittime”. È una denominazione pertinente che ci permette di capire la competizione patologica tra ebrei e musulmani, tra israeliani e palestinesi per monopolizzare la condizione della vittima unica.

Secondo. Il caso Ariel Toaff è molto significativo perché suscita ancora forti polemiche non solo nel mondo accademico ma anche nella stessa comunità ebraica. È davvero sorprendente sapere che la Knesset ha condannato “Pasque di sangue”, perché ha “causato danni agli ebrei, alla professione di storico in Israele e alla verità scientifica per l’offesa alla verità che c’è nel libro e nei suoi echi”. Inoltre, un deputato israeliano di estrema destra ha chiesto l’espulsione di Toaff dall’Università di Bar Ilan.

Occorre ricordare che l’autore di “Pasque di sangue” analizza un caso che risale al 1475 a Trento, dove furono condannati ebrei askhenaziti per l’uccisione di un bambino cristiano Simonino per usare il suo sangue con fini rituali e terapeutici. Perché una vicenda così remota causa tale reazioni? Perché gli ebrei di oggi si sentirebbero danneggiati da una tesi o ipotesi storiografica che riguarda il Medioevo? La spiegazione consiste nel rifiutare che Simonino possa essere una vittima, e quindi il carnefice non può essere un ebreo. In altri termini, l’altro non può godere dello statuto della vittima sacrificale.

L’eredità di Abramo dunque, va al di là dell’unicità di Dio, un punto che unisce ebrei, cristiani e musulmani. La grande controversia tuttavia, rimane aperta perché riguarda la nomina della vittima sacrificale: Isacco o Ismaele. Dubito che i credenti dei tre monoteismi siano disposti a fare concessioni o compromessi. Allora viene da chiederci: perché si debba insistere sul dialogo interreligioso senza una nuova critica di concetti come unicità, alterità, verità, ecc? L’approccio laico, basato sulla pluralità, il confronto e l’inclusione dell’altro, è la risposta al dogmatismo religioso?

Note:
(1): Genesi 22. Sacrificio d’Isacco.
(2): La sura degli angeli a schieri, versetti 99-113. Il Corano, trad. Alessandro Bausani, Rizzoli, 1995,  pp. 330 – 331.
(3): Sura delle donne, versetto 125, idem, p. 68.
(4): Per conoscere l’interpretazione ebraica del sacrifico di Abramo, si consiglia di leggere il commento di Elie Wiesel, in Sei riflessioni sul Talmud, Bompiani, Milano 2000. pp. 3 -27.