L’umanità al tempo della globalizzazione
Valentina Martina 12 febbraio 2009

La dialettica fra locale e globale, fra particolare e universale, non è da rintracciare nelle radici culturali appartenenti a uno Stato-nazione, ma nell’interazione concreta tra i movimenti del potere e dell’economia globale e i mondi locali. «L’umanità multiculturale non è un universale (…) ma è l’interazione diseguale dell’universale con culture particolari (…) non aspira a risolvere il soggetto nella chiarezza formale delle istituzioni, ma nella concretezza dell’esistenza libera da oppressioni». Con queste parole si apre L’umanità multiculturale di Carlo Galli, docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna, che considera il problema dei particolarismi culturali a partire da una tradizione filosofica e antropologica sulla natura umana. Nondimeno, Seyla Benhabib, docente di Scienze politiche e Filosofia presso la Yale University, rivolge l’attenzione alle dinamiche proprie della globalizzazione del pianeta, ai diritti civili e alle migrazioni, a partire dalla crisi della sovranità statale e della delimitazione territoriale dei diritti umani.

Affrontando l’intreccio fra politica e natura umana, gli autori si propongono di analizzare il ruolo dell’essere umano nel contesto della società attuale. Carlo Galli parte dal carattere precario e instabile della natura umana: sulla scia dell’antropologia filosofica di Gehelen, l’autore insiste sulla non specializzazione e sull’incompiutezza dell’animale umano. Tali caratteristiche si traducono nell’impossibilità da parte dell’uomo di vivere in un ambiente fisso: l’essere umano, a causa della sua instabilità, è un soggetto a rischio e, pertanto, aperto al mondo. L’instabilità della natura umana è dunque speculare ai confini sfumati del territorio. Entrambi considerano anacronistica, da un punto di vista empirico e normativo, l’appartenenza politica definita territorialmente secondo i confini dello Stato-nazione. La realtà contemporanea ha frammentato nelle svariate e molteplici esistenze umane l’istituto della cittadinanza nazionale e la forma tradizionale della territorialità dello Stato-Nazione.

A partire dal fenomeno delle migrazioni transnazionali, che hanno messo in crisi il concetto di cittadinanza nazionale, sono emerse nuove forme di appartenenza politica. Considerare tali forme con un approccio normativo, significa sostenere una concezione della giustizia globale che affronti le contraddizioni tra una dottrina statalistica, che si occupa del controllo e della protezione dei confini nazionali, e una democrazia liberale che sancisce il diritto all’autodeterminazione. In questo senso Seyla Benhabib, nel corso del volume I cittadini globali, propone un modello di democrazia deliberativa, basata su una sfera pubblica non statuale, interessata ai mutamenti sociali che non trovano un’adeguata collocazione politica, o meglio che si collocano in quella zona grigia tra le istituzioni e l’autodeterminazione.

Migranti, rifugiati, stranieri privati della legalità perdono lo status di persona giuridica: così il loro diritto all’autodeterminazione comporta nuove distribuzioni cosmopolitiche, che richiedono la messa a punto di strumenti legislativi in grado di correggere la disarticolazione dei confini tra territorialità, sovranità e cittadinanza. Una condizione di estraneità permanente per queste persone non solo è incompatibile con l’interpretazione liberale della comunità umana, ma rappresenta una violazione dei diritti umani. Ed è proprio per questa ragione che l’autrice considera proficua una costante visibilità delle norme cosmopolitiche, tese a creare nuovi fatti morali e ad aprire nuovi spazi di senso. La diffusione delle norme cosmopolitiche, dalla proibizione dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità e del genocidio, ha prodotto una nuova condizione politica: il locale, il nazionale e il globale sono intrecciati l’uno con l’altro, condizione che apre la strada all’emergere di nuove configurazioni politiche, ispirate dall’interdipendenza fra il locale, il nazionale e il globale.

Ma come è possibile mediare fra le norme giuridiche e quelle morali? E come creare obbligazioni semigiuridiche vincolanti in assenza di un potere sovrano sovraordinato? L’autrice affronta questa domanda a partire dal concetto del diritto di ospitalità, proposto da Kant, ne La pace perpetua. Si tratta principalmente di un diritto che considera centrale la condizione dello straniero nei confronti dell’autorità pubblica di un ordinamento giuridico in cui non gode del diritto di cittadinanza. Il diritto di ospitalità è il diritto di uno straniero di non ricevere trattamenti ostili, una volta giunto sul territorio di un altro Stato. Tale diritto non comporta l’obbligo di accoglienza da parte dei cittadini del paese ospitante, ma grazie a esso lo straniero ha la possibilità di circolare liberamente sul territorio di ogni singolo Stato.

Questo diritto è un diritto naturale, o diritto di ragione, e Kant definisce l’ambito entro cui esso si esercita, sostenendo che l’ospite di uno Stato straniero non può minacciare lo Stato stesso. Tale diritto rientra in un orizzonte normativo che individua un insieme di principi validi universalmente in qualsiasi contesto, originari rispetto all’ordinamento positivo. Tuttavia, il problema con cui devono scontrarsi le società attuali consiste nel trovare un punto di raccordo tra il diritto positivo e i diritti non statuali. Quest’assenza di compatibilità si manifesta nella Dichiarazione universale sui diritti umani, che non dice nulla sugli obblighi degli Stati a garantire l’ingresso agli immigrati, ad accordare il diritto d’asilo. Il problema dunque è che tali diritti non hanno destinatari specifici e non sembrano comportare obblighi altrettanto specifici per il loro adempimento da parte di terzi.

Due volumi che costituiscono un’occasione per riflettere sulla necessità di istituire legami fra l’orientamento giuridico della società attuale e una tradizione di pensiero filosofica che si rivela decisiva nell’ambito delle dinamiche sociali e politiche che coinvolgono gli stranieri e i migranti.