«L’Egitto non può più fare a meno di noi donne»
Azzurra Meringolo intervista Dina Zakaria, portavoce del partito Libertà e Giustizia al seminario organizzato con tutti i nuovi soggetti politici egiziani dal Parlamento Europeo 18 agosto 2011

Dopo la caduta di Mubarak la Fratellanza è il principale soggetto politico egiziano. Eppure alla vigilia della manifestazione del 25 gennaio, la leadership del movimento ha chiesto ai suoi membri di non scendere in strada a suo nome. Non credeva nella potenza della manifestazione?

Il movimento ci ha chiesto di non scendere in strada come Ikhwan (fratelli musulmani ndr) ma non ci ha obbligato a non manifestare. Nessuno poteva prevedere la portata della manifestazione del 25 gennaio, nessuno parlava di rivoluzione alla vigilia. Io ero ottimista sin dalle prime ore, ma capivo le motivazioni del movimento. Non si voleva che le forze sicurezza, che per anni hanno avuto il pieno controllo delle nostre mosse e delle nostre conversazioni telefoniche, potessero intercettare messaggi che avrebbero fatto fallire l’evento. Se avessimo dichiarato di partecipare come Fratellanza Musulmana, la polizia si sarebbe mobilitata in massa e sarebbe stato un massacro.

In questa rivoluzione uomini e donne hanno combattuto gli uni al fianco delle altre. Segno di una società meno patriarcale?

Certo, ma dobbiamo farne di strada. La nostra cultura, non la nostra religione, ci spinge ad avere una cura e un’attenzione particolare nei confronti delle donne. Allo stesso tempo, all’interno di una famiglia le donne sanno che devono aiutare il marito nelle difficoltà e devono anche curarsi della crescita e dell’educazione dei figli. Questa idea è in parte cambiata negli ultimi dieci anni, visto che le difficoltà della vita quotidiana hanno costretto le donne a lavorare. A causa dei problemi finanziari, il lavoro, una volta una scelta, è diventato una necessità. Pertanto, uscendo di casa e recandosi nel loro ufficio, le donne hanno iniziato a confrontarsi con gli altri, anche con gli uomini, a capire i problemi della società e a diventare più attive. È cambiato il nostro punto di vista, per questo quando una nuova generazione di giovani ha deciso di manifestare, non c’è stata differenza tra donne e uomini. Questa è stata un’evoluzione della società egiziana, ma per noi della Fratellanza è stato diverso.

Perché?

Perché all’interno del movimento noi donne abbiamo giocato da sempre un ruolo importante e siamo state attive anche nell’organizzazione delle manifestazioni di strada nelle quali si chiedeva la caduta del regime. Per anni ci siamo battute per la causa delle classi meno abbienti egiziane e anche per la questione palestinese. È un nostro dovere farlo. Dobbiamo essere attive perché la nostra religione ci chiede di essere ottimiste e propositive, di essere al servizio di chi ha bisogno. In questo non vi è differenza rispetto ai maschi. Davanti al nostro Dio uomini e donne sono uguali, non vi è differenza.

Eppure a voi, in quanto donne, la leadership del movimento ha chiesto di non partecipare alla manifestazione del 25 gennaio, perché?

A noi, a maggior ragione, è stato chiesto di non scendere in strada per due motivi. Qualora noi donne avessimo partecipato alla manifestazione, saremmo state immediatamente riconoscibili come Ikhwan. Siamo le uniche a indossare questo tipo di hijab (velo che copre la testa lasciando scoperto il volto ndr) che scende fino a metà busto. E non si voleva dare al regime l’occasione di dire che quella manifestazione era guidata da istanze religiose. Era una rivolta di tutti gli egiziani, non solo degli Ikhwan.  In aggiunta, in quanto donne, i nostri leader volevano proteggerci. È sempre stato così nella storia del nostro movimento. Quando partecipavamo a manifestazioni, molti di noi venivano arrestati e sbattuti in carcere. I nostri uomini sono sempre stati attenti a non farci esporci troppo solo per questo motivo, ma ora è cambiato tutto. C’è meno da temere e il nostro ruolo sarà più evidente.

Le donne egiziane avranno più potere nel nuovo Egitto?

Certo questo è evidente e accadrà in tutti i diversi ambiti nei quali le donne sono coinvolte. L’Egitto del 2011 è un paese diverso da quello del 2010. Il nostro popolo sa che può cambiare, che ha potere, che può fare sacrifici per ricostruire il paese distrutto dal vecchio regime. Tutti sanno di avere un ruolo. In ambito sociale, se non politico. Come madre, io ho un ruolo nuovo con i miei figli, devo farli crescere in questo nuovo paese per prepararli ad essere attivi, a battersi per i diritti dei più bisognosi, contro la corruzione e per la libertà del paese. Prima essere madre era diverso, non si pensava di avere un ruolo nel determinare il futuro del paese, molte donne pensavano che la vita dei loro figli fosse già segnata.

E le donne non sposate?

Anche queste si prestano ad avere un ruolo protagonista. Potranno partecipare attivamente alla vita politica del paese perché hanno tempo di farlo. Dovrebbero abbandonare i loro timori di essere donne, capire che sono pari agli uomini e cercare di essere attive nelle strade, tra la gente e nella ricostruzione del paese. Il nuovo periodo sarà molto complesso, dobbiamo cercare di essere pronte e attive perché nei prossimi mesi dovremo affrontare questioni difficili. La rivoluzione è stata solo l’inizio di una transizione lunga e difficile.